Bias di genere sul lavoro: cosa sono gli stereotipi che influiscono sulla parità

I bias di genere influiscono sulla carriera delle donne e la loro indipendenza economica, allontanando la parità di genere

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Gli stereotipi di genere (o bias di genere) influenzano profondamente le nostre vite, anche nel mondo del lavoro. Una ricerca condotta dall’Università Bicocca di Milano, pubblicata su Brain and Language, rivela come questi bias abbiano effetti tangibili sulla produttività aziendale e sulla carriera dei professionisti.

Anche nel mondo accademico, come in quello professionale, i bias di genere continuano a sopravvivere, influenzando le opportunità e le percezioni dei candidati, ma soprattutto delle candidate, rispetto alla loro carriera. Un esempio eloquente di questi bias emerge dall’analisi delle lettere di referenza per le posizioni accademiche nel campo dell’Economia e della Finanza. Uno studio condotto da ricercatrici di Banca d’Italia ha esaminato oltre 8.000 lettere di referenza, rivelando pattern discriminatori basati sul genere che influenzano il processo di selezione.

Si tratta di un vero e proprio gender schema, teoria introdotta nel 1981 dalla psicologa americana Sandra Bem per spiegare come gli individui acquisiscono il genere attraverso la trasmissione di caratteristiche associate al sesso assegnato alla nascita. Per esempio si crede che le donne sono meno assertive degli uomini e quindi meno adatte ai ruoli di leadership. In Italia nel 2023 ci sono state più donne nei ruoli manageriali (+8,1%), ma restano comunque il 20% rispetto ai ruoli similari occupati dagli uomini. La colpa è quindi proprio dei bias di genere che si coltivano a tramandano nel tempo e che, anche se subiscono attacchi e prove della loro inefficienza, continuano a sopravvivere.

Cosa sono i bias di genere: stereotipi difficili da abbattere

I bias di genere sono una categoria dei più noti bias cognitivi. Si tratta di automatismi mentali che servono per prendere decisioni rapide e, come tali, spesso portano a errori di giudizio. Nello specifico i bias di genere (dall’inglese gender bias) sono un insieme di ipotesi semplici e falsamente intuitive che attribuiscono a uomini e donne caratteristiche in base al loro genere. Sono pensieri semplici e rapidi, innestati durante la fase di educazione e che forniscono una base per la società, com’è e come viene percepita.

Degli esempi di bias di genere, calati nel mondo del lavoro, vedono per esempio l’ideale di leader nella figura maschile. Ancora oggi è possibile riscontrare questo stereotipo nelle parole che accompagnano una professione, dall’avvocato al dottore, passando per gli articoli determinativi; le donne in posizione di potere preferiscono non declinare la professione al femminile. Anche se in grammatica è corretto far concordare genere e nome, il bias di genere vuole le professioni declinate al maschile perché “suonano meglio” o perché “si è sempre detto così” e infine perché “il maschile è più professionale”.

I bias di genere si manifestano quindi attraverso stereotipi culturali e pregiudizi impliciti che influenzano le percezioni e le valutazioni delle persone in base al loro genere. Nel contesto accademico e professionale, per esempio, questi bias possono influenzare il modo in cui i candidati vengono valutati e trattati durante il processo di selezione. Lo studio condotto dalle ricercatrici di Banca d’Italia mostra che le lettere di referenza per le posizioni accademiche tendono a caratterizzare i candidati maschi con aggettivi come “brillanti” e “intelligenti”, mentre le candidate femminili vengono descritte come “laboriose” e “diligenti”. Questi stereotipi possono influenzare le opportunità di carriera e il successo professionale delle donne nel campo dell’Economia e della Finanza. Un altro ambito non adeguatamente rappresentato è quello delle materie STEM.

Le conseguenze dei bias di genere sul lavoro

I bias di genere si riflettono sul mondo del lavoro, sulla carriera e sulla retribuzione. Una lista non esaustiva delle conseguenze dei bias di genere in ambito lavorativo contiene:

  • disparità retributiva (gender pay gap)
  • sottorappresentazione nei ruoli di leadership
  • assunzione selettiva che preferisce i candidati maschi (spesso per motivi legati alla possibilità della donna di andare in maternità)
  • mancanza di opportunità per sviluppare la propria carriera

A partire dalla mancanza di parità di salario per stessa mansione, che in Europa costa alle donne 46 giorni di lavoro gratis all’anno, ha effetti anche sull’indipendenza nel lungo periodo: dal matrimonio alla pensione più magra. Ma non solo. I bias di genere, con il loro forte peso sulla fase di selezione per le assunzioni e valutazione dei risultati, hanno un grande impatto etico e morale e di conseguenza sulla felicità sul posto di lavoro.

Nel primo caso si cercano per le assunzioni qualità spesso considerate maschili (associate al sesso), perché le donne sono considerate meno autorevoli, più simpatiche, modeste e disponibili al lavoro di gruppo. Caratteristiche positive, ma non apprezzate nella ricerca di un(a) leader. Questo stesso discorso vale per le valutazioni delle prestazioni di lavoro delle donne e sull’attribuzioni di competenze. In molti casi gli uomini sono giudicati sul loro potenziale, mentre le donne sui fatti.

I dati ci dicono questo: nonostante l’aumento della partecipazione femminile alla forza lavoro, le donne sono ancora ampiamente sottorappresentate, soprattutto nelle posizioni di vertice. Rompere il “soffitto di cristallo” e passare a posizioni manageriali è ancora ostacolato. Non è cambiato molto da dati Eurostat del 2015, quando meno del 16,6% delle posizioni nei consigli di amministrazione era occupato da donne. Infatti oggi (analisi dei dati relativi al 2023 in Italia) appena il 20% delle poltrone sono occupate delle donne. Dati che evidenziano un persistente “gender gap” nel mondo del lavoro.

Tale disparità è la prova che ancora oggi persistono dei bias di genere in diverse fasi del lavoro di una donna, dei veri e propri ostacoli nell’avanzamento di carriera.

Le prospettive per il futuro: come eliminare i bias di genere

È fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza sui bias di genere e delle loro implicazioni nel mondo del lavoro, sia attraverso programmi di formazione sia attraverso politiche organizzative volte a promuovere l’equità di genere e la diversità. Solo affrontando attivamente i bias e promuovendo un ambiente lavorativo inclusivo ed equo si potrà sperare di creare opportunità paritarie per tutti i professionisti e le professioniste, indipendentemente dal loro genere.

Affrontare i bias di genere richiede un impegno concreto e continuo da parte dello Stato in primis, perché figura capace di permeare la società con spinte più o meno gentili volte alla cancellazione degli stereotipi (tra cui quelli di genere). Esempi positivi di iniziative volte a promuovere l’inclusione e a contrastare i pregiudizi di genere esistono e mostrano che è possibile creare ambienti di lavoro più equi e inclusivi, ma anche più produttivi ed efficienti.

Un esempio di successo proviene da Snam, un’azienda nel settore del gas naturale, che ha adottato diverse iniziative per favorire l’inclusione e ridurre il gender bias. Attraverso workshop e iniziative di sensibilizzazione promosse in collaborazione con Valore D, Snam ha incoraggiato il dialogo aperto sulle questioni di genere tra i dirigenti e ha promosso la fiducia e l’empatia in tutto l’ambiente aziendale. Questi sforzi si sono tradotti in azioni concrete, come l’eliminazione del gender pay gap e un impegno a garantire almeno il 50% delle posizioni di staff occupate da donne.

Un altro esempio interessante è quello offerto da Work Wide Women, una start-up che si occupa di formazione digitale al femminile. La loro iniziativa, Diversity@work, propone alle aziende un videogioco innovativo progettato per sensibilizzare i dipendenti sui pregiudizi, inclusi quelli di genere, sul posto di lavoro. Attraverso situazioni di gioco realistiche, i partecipanti imparano a gestire in modo efficace la diversità e ad affrontare i bias impliciti che possono influenzare le decisioni e le interazioni quotidiane in ufficio. Questi esempi dimostrano che, con l’impegno e le risorse adeguate, è possibile promuovere una cultura organizzativa inclusiva e combattere attivamente i bias di genere sul luogo di lavoro.

Rimuovere i bias di genere è un lavoro complesso, ma necessario, capace di far evolvere la cultura del lavoro. Il primo passo però è riconoscerli e l’unico modo è partire dalla scuola. Il percorso educativo è più lento e i risultati sono visibili nel medio-lungo periodo, ma sono anche i più pervasivi e capaci di generare un cambiamento duraturo. Nel frattempo però si deve agire sul posto di lavoro e nei luoghi di studio per formare, mettere in piedi politiche contro le molestie, condurre analisi e fornire criteri di valutazione degli obiettivi standardizzati per tutte le aziende. Nel pratico c’è molto da fare per favore l’empowerment femminile, come per esempio pensare misure di work-life balance per supportare i genitori e permettere una più corretta divisione del lavoro famigliare.

Solo affrontando apertamente i bias di genere e promuovendo comportamenti inclusivi si potrà realizzare una cultura organizzativa equa e adattiva alle sfide del futuro, come la sostenibilità che sembra essere pane per i denti delle donne che fanno impresa.