Rifiuti tessili e alimentari, la Direttiva Ue che punta a ridurre gli sprechi

Fissati target più ambiziosi di riduzione dello spreco alimentare, concordati inoltre tempi più serrati per la definizione delle regole per l'industria tessile

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Il 13 marzo, il Parlamento europeo ha ratificato le sue proposte legislative volte a prevenire e ridurre ulteriormente gli sprechi di prodotti alimentari e tessili nell’intera Unione europea. Con 514 voti a favore, 20 contrari e 91 astensioni, i deputati hanno approvato la loro posizione in prima lettura riguardo alla proposta di revisione della Direttiva quadro sui rifiuti (presentata dalla Commissione europea a luglio 2023). Il fascicolo sarà oggetto di ulteriori dibattiti nel nuovo Parlamento dopo le elezioni europee del 6-9 giugno.

Verso un futuro sostenibile, la lotta dell’Ue contro i rifiuti

Ogni anno, l’Unione europea è testimone della produzione di 60 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, pari a 131 kg per individuo, e di 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Tra questi, abbigliamento e calzature da soli generano 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, che equivalgono a 12 kg per persona all’anno. È allarmante che meno dell’1% dei tessuti globali venga riciclato per la creazione di nuovi prodotti.

Le normative adottate mercoledì segnano un passo cruciale verso la realizzazione di un’economia completamente circolare. La revisione della direttiva quadro sui rifiuti proseguirà sotto la vigilanza del nuovo Parlamento, che si insedierà dopo le elezioni europee del 6-9 giugno. I neo-eletti eurodeputati riprenderanno i lavori sui dossier interrotti, conducendoli verso le tappe successive. In particolare, il trilogo con il Consiglio e la Commissione avrà luogo non appena i rappresentanti dei governi nazionali nel Consiglio avranno ratificato la loro posizione negoziale. Questo argomento è già in agenda per il prossimo Consiglio Ambiente, che si terrà il 25 marzo 2024.

Il Parlamento Europeo alza l’asticella per la riduzione degli sprechi

Secondo le modifiche adottate dal Parlamento, la direttiva propone obiettivi vincolanti più ambiziosi per la riduzione dei rifiuti da raggiungere a livello nazionale entro il 31 dicembre 2030. Questi obiettivi includono una riduzione di almeno il 20% nella trasformazione e produzione alimentare, anziché il 10% proposto inizialmente dalla Commissione, e una diminuzione del 40% pro capite nella vendita al dettaglio, nei ristoranti, nei servizi alimentari e nelle famiglie, invece del 30% inizialmente proposto.

Il Parlamento dell’Unione europea propone anche di promuovere la commercializzazione di frutta e verdura esteticamente non perfetta, al fine di ridurre gli sprechi. Inoltre, si propone di rendere più chiare le etichette riguardanti le date di scadenza e di agevolare la donazione degli alimenti invenduti ma ancora consumabili.

In aggiunta, il Parlamento ha richiesto alla Commissione di valutare se sia necessario introdurre obiettivi ancora più ambiziosi per il 2035, con una proposta di riduzione del 30% nella trasformazione e produzione alimentare e del 50% nelle vendite al dettaglio, nei ristoranti, nei servizi alimentari e nelle famiglie.

Lo spreco alimentare in Italia: un costo da 9 miliardi di euro

Ogni anno nel mondo viene sprecato un terzo del cibo prodotto, con l’Italia che registra una perdita di ben 9 miliardi di euro. La maggior parte degli sprechi alimentari nel nostro Paese ha origine nelle case, rappresentando il 42% del totale, seguiti dalla ristorazione con il 14% e dalla vendita al dettaglio con solo il 5%. Il restante 39% degli sprechi è legato alla produzione.

Le diverse fonti dello spreco alimentare in Italia

Analizzando i dati italiani, emerge una netta prevalenza dello spreco domestico, che rappresenta il 42% del totale. A seguire, con il 14%, troviamo lo spreco generato dalla ristorazione, mentre la distribuzione e la vendita ne producono rispettivamente il 5% e il 3%. La quota restante, pari al 39%, è attribuibile alla fase di produzione.

Lo spreco alimentare nelle case italiane, un problema diffuso

Le nostre abitazioni rappresentano la principale fonte di spreco alimentare, con un media di circa 524,1 g di cibo sprecato ogni settimana per cittadino. In altre parole, si stima che in Italia vengano sprecati circa 1000 container di cibo settimanalmente. È importante sottolineare che si tratta di una stima basata su un campione rappresentativo della popolazione e che ci saranno casi di persone che sprecheranno meno o più di questa quantità.

Il cibo sprecato in gran parte è costituito da frutta, verdura, pane fresco e insalata, spesso dimenticati in frigo fino a quando diventano inutilizzabili. Altri motivi dello spreco alimentare includono il calcolo errato degli acquisti, o il disgusto per gli avanzi che porta alla loro eliminazione. In definitiva, le ragioni sono molteplici ma ruotano attorno a questi concetti chiave.

Spreco alimentare, le diverse sfide lungo la filiera

La produzione alimentare rappresenta una delle principali fonti di spreco, comprendendo la raccolta dei prodotti agricoli, l’allevamento e la macellazione degli animali, nonché la lavorazione dei prodotti e le relative problematiche tecniche. Questo settore si configura come uno dei più ostici da ridurre, in quanto ciascun alimento segue un proprio percorso di produzione con conseguenti scarti.

Nei ristoranti, circa il 51% degli sprechi è attribuibile al consumo e al cibo lasciato nel piatto, mentre il 25% si verifica durante la fase di preparazione e un altro 25% riguarda la merce che si deteriora in magazzino. Un’efficace strategia per ridurre questi sprechi è l’adozione diffusa delle doggy bag, contenitori che consentono di portare a casa il cibo non consumato. Attualmente, però, solo circa il 15% dei clienti dei ristoranti utilizza tale soluzione, con la maggior parte del cibo finito inesorabilmente nella spazzatura.

Infine, i supermercati, sebbene contribuiscano al fenomeno dello spreco alimentare, rappresentano paradossalmente una delle fonti meno impattanti. In media, ogni supermercato spreca circa 43.000 tonnellate di cibo all’anno, per un totale di circa 200.000 tonnellate annue. Questo dato equivale a circa 6.600 container all’anno, una cifra rilevante ma nettamente inferiore ai 52.000 container di spreco domestico.

Il peso globale dello spreco alimentare

Analizzando lo spreco medio settimanale, emerge che la Germania consuma il 32% rispetto alla media italiana, mentre gli Stati Uniti quasi raddoppiano il nostro spreco, con il 98% in più. Alcuni Paesi, tuttavia, mostrano risultati migliori: la Francia ha uno spreco inferiore del 6% rispetto all’Italia, mentre se si guarda ai dati del Giappone, questi sono il 46% inferiori se confrontati con quelli italiani.

Lo spreco alimentare rappresenta una perdita economica colossale: in Italia si stima un valore di 9 miliardi di euro, mentre a livello globale la cifra si aggira intorno ai 700 miliardi. Oltre al danno economico, vi è un impatto ambientale significativo: circa l’8-10% delle emissioni di gas serra è direttamente collegato alla filiera del cibo sprecato. Se lo spreco alimentare fosse considerato uno stato, sarebbe il terzo maggiore emettitore di gas serra al mondo, subito dopo Stati Uniti e Cina.

Ridurre gli sprechi alimentari e affrontare il cambiamento climatico

Circa dieci anni fa, l’Unione europea insieme ai suoi Stati membri si sono impegnati a perseguire gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, tra cui la riduzione del 50% degli sprechi alimentari lungo l’intera catena di approvvigionamento come indicato nell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12.3. Tuttavia, secondo Theresa Mörsen, responsabile della Politica sui Rifiuti e sulle Risorse di Zero Waste Europe, i decisori politici stanno esitando nell’adottare azioni decisive nonostante la proposta sia sul tavolo. Questo avviene in un contesto in cui i recenti rapporti del Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici mettono in guardia sull’importanza cruciale dell’impatto dei rifiuti alimentari sul cambiamento climatico.

Spreco alimentare, obiettivi ambiziosi ma ancora insufficienti

La Prevent Waste Coalition on food waste, che include Zero Waste Europe, the European Environmental Bureau, Too Good To Go, Feedback Eu e Safe Food Advocacy Europe, ha espresso la sua opinione sulla recente definizione degli obiettivi di riduzione dello spreco alimentare a livello europeo. Secondo la coalizione, “La definizione dei primi obiettivi di riduzione dello spreco alimentare a livello europeo conferma l’impegno politico ad affrontare l’impatto ambientale e sociale dello spreco alimentare. Tuttavia, il risultato è in contrasto con i precedenti impegni del Parlamento europeo di ridurre del 50% i rifiuti alimentari dall’azienda agricola alla tavola, un impegno espresso nel Green Deal dell’Ue e negli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.

Riduzione degli sprechi alimentari, un’opportunità mancata

Secondo Fynn Hauschke, Policy Officer for Circular Economy & Waste dell’European Environmental Bureau (EEB), il Parlamento ha riconosciuto la necessità di un’azione più ambiziosa contro gli sprechi alimentari ma gli obiettivi concordati non sono sufficienti per affrontare efficacemente il problema e rispettare gli impegni internazionali. Inoltre, il Parlamento non ha affrontato in modo significativo la questione delle perdite e degli sprechi alimentari nella produzione primaria. Secondo Hauschke, l’accordo costituisce un’occasione persa per ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la sicurezza alimentare e la biodiversità.

Estensione della responsabilità estesa del produttore ai prodotti tessili

I membri del parlamento hanno convenuto con la proposta della Commissione di ampliare i regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR – Extended Producer Responsibility) ai prodotti tessili. Di conseguenza, i soggetti definiti come “produttori” – che includono tutti coloro che commercializzano, anche attraverso piattaforme online, prodotti tessili nell’Unione Europea – sarebbero tenuti a sostenere i costi relativi alla raccolta differenziata, al vaglio e al riciclaggio dei rifiuti derivanti da prodotti quali abbigliamento e accessori, coperte, biancheria da letto, tende, cappelli, calzature, materassi e tappeti, compresi quelli che contengono materiali tessili come cuoio, gomma o plastica. Gli Stati membri dovrebbero implementare tali regimi entro 18 mesi dall’entrata in vigore della direttiva, rispetto ai 30 mesi proposti dalla Commissione.

Impatto ambientale dell’industria tessile

L’industria tessile si distingue per il suo elevato consumo di acqua ed energia e per la produzione di una vasta quantità di acque reflue contaminate. È importante sottolineare che solo una minima parte dei tessuti prodotti viene effettivamente riciclata. Un problema rilevante di questa industria è rappresentato dalle acque reflue, che contengono sostanze come i coloranti utilizzati per tingere i tessuti. Si stima che ogni anno vengano rilasciate nell’ambiente circa 105 tonnellate di coloranti attraverso 200 miliardi di litri di acque reflue. Queste cifre sono considerevoli, ma non si esauriscono qui: dati del Parlamento Europeo indicano che l’industria tessile è responsabile da sola di circa il 20% dell’inquinamento globale delle acque. Ogni anno, inoltre, circa mezzo milione di tonnellate di microfibre finiscono nei mari, costituendo circa il 35% di tutte le microplastiche primarie immesse nell’ecosistema. In aggiunta, il 10% delle emissioni globali di CO2 è attribuibile a questo settore, superando quelle generate dal settore aeronautico e marittimo combinati.

Critiche e proposte per la gestione dei rifiuti tessili nell’Ue

Secondo Emily Macintosh, Senior Policy Officer per i tessili di EEB, il Parlamento ha votato per valutare la possibilità di fissare obiettivi di riduzione dei rifiuti tessili per il 2032 entro il 2025. Sebbene si tratti di un miglioramento significativo rispetto alla proposta della Commissione, è ancora troppo vago e fa perdere troppo tempo. Gli eurodeputati hanno anche riconosciuto l’impatto della spedizione di prodotti tessili usati in paesi terzi, ma non sono riusciti a definire un vero quadro di responsabilità globale per garantire che il sostegno finanziario raggiunga i paesi che sopportano il peso dell’eccessivo consumo di prodotti tessili in Europa.

Critiche all’assenza di obiettivi nella gestione dei rifiuti tessili

“Anche se siamo tutti d’accordo sul ridurre i periodi di recepimento, è evidente una grave lacuna nell’assenza di obiettivi per la gestione e la prevenzione dei rifiuti tessili – afferma Theresa Mörsen, ZWE. La nostra esperienza ci insegna che senza obiettivi precisi, gli schemi EPR diventano solo una sorta di tassa che i grandi marchi di abbigliamento sono pronti a pagare pur di inquinare. Il ritardo nel fissare obiettivi significa che i produttori avranno scarso o nessun incentivo ad investire in infrastrutture per il riutilizzo e il riciclaggio. L’impegno del Parlamento dello scorso anno nella prevenzione dei rifiuti sembra essere solo una promessa vuota”.

Riforma direttiva rifiuti, tempi stretti e incertezze per l’entrata in vigore

A poco più di un mese dal 25 aprile, data che segnerà la sospensione delle attività del Parlamento Europeo in vista delle elezioni di giugno, arriva il via libera alla posizione negoziale sulla riforma della direttiva rifiuti.

Tuttavia, la tempistica appare strettissima. Sarà compito del prossimo Parlamento procedere con i negoziati a tre coinvolgendo gli Stati membri che non hanno ancora definito una posizione negoziale, oltre alla futura Commissione. Infatti, considerando il tempo necessario per il passaggio di consegne su questo dossier (solo uno dei tanti in agenda) e per l’avvio e la conclusione dei negoziati stessi, è improbabile che si possa raggiungere un accordo definitivo prima della fine della legislatura in corso.

È quindi improbabile che si possa raggiungere un accordo definitivo sul testo e pubblicare la nuova direttiva nella Gazzetta Ufficiale dell’Ue entro il 31 dicembre di quest’anno.

Secondo gli eurodeputati, la nuova Commissione dovrebbe definire le regole per l’istituzione dei sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR) entro la stessa data.

Il governo italiano è direttamente coinvolto in questa situazione, in quanto ha deciso di mettere in stand by i lavori sulla propria proposta di regolamento EPR per l’industria tessile in attesa delle nuove regole europee.

Un futuro da definire

Il futuro della riforma della direttiva rifiuti appare incerto. Il ritardo nell’entrata in vigore potrebbe avere ripercussioni significative sull’attuazione dei sistemi EPR, con possibili conseguenze per il governo italiano e per il settore industriale.

Rimangono da monitorare gli sviluppi futuri per comprendere come si evolverà la situazione e quali saranno le tempistiche definitive per l’entrata in vigore della nuova direttiva.