Abbiamo un problema con il vino italiano: l’allarme

I cambiamenti climatici pesano sulla stagione della vendemmia 2023: a lanciare l’allarme vino italiano è Coldiretti, sottolineando come alcune regioni siano messe peggio di altre

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

L’emergenza clima e le condizioni meteo incerte pesano sulla stagione della vendemmia 2023: sì, abbiamo un problema con il vino italiano e a lanciare l’allarme è Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura nel nostro Paese.

L’allarme

Secondo le prime stime rese note da Coldiretti, in occasione dell’avvio della vendemmia in Italia, tenendo conto della stagione complessa dal punto di vista meteorologico, le attività nel 2023 inizia pagando “un pesante dazio agli effetti dei cambiamenti climatici che, fra maltempo e ondate di calore, hanno danneggiato i vigneti con la produzione nazionale stimata in calo di circa il 14% ma con crolli fino al 50% nel Centro Sud facendo segnare, per quelle aree, il peggior risultato del secolo”.

La produzione italiana (qui alcuni numeri) dovrebbe scendere intorno ai 43 milioni di ettolitri contro i 50 milioni registrati la scorsa stagione, facendo entrare il 2023 fra i peggiori anni della storia del vigneto Italia nell’ultimo secolo insieme al 1948, al 2007 e al 2017, sottolinea la Coldiretti. In Italia si attende comunque una produzione di qualità, ma per quanto riguarda i volumi: “Molto dipende dall’evoluzione delle temperature e delle precipitazioni nelle prossime settimane e dall’impatto dei cambiamenti climatici, con i viticoltori che devono stare sempre più attenti alla scelta del giusto momento per la raccolta e la lavorazione in cantina”.

La situazione nelle regioni italiane

In base alle prime proiezioni, in assenza di ulteriori eventi avversi (che potrebbero incidere negativamente sulla rendita in generale), per la conquista del primo posto come produttore mondiale di vino si prospetta un testa a testa fra l’Italia e la Francia, che sta facendo i conti con malattie della vite e maltempo. La Spagna, dove il meteo ha anticipato la raccolta di almeno due settimane, dovrebbe invece restare terza con 36,5 milioni di ettolitri e un calo dell’11% rispetto allo scorso anno.

In Italia, nonostante gli investimenti fatti dagli agricoltori a tutela della salute dei vigneti, con un incremento dei costi di produzione che pesa sui bilanci delle aziende, ci sono regioni importanti come Sicilia e Puglia, che rappresentano oltre 1/5 di tutto il vino del Belpaese, cui perdite si sono attestate purtronno intorno al 40%, ha fatto sapere Coldiretti. Peggio in alcune zone fra Molise e Abruzzo, dove si registra un crollo anche del 60% dei grappoli da raccogliere. La situazione è difficile anche in Toscana, mentre migliora spostandosi verso Nord, dove le rese sono stabili o crescono leggermente rispetto lo scorso anno.

In Emilia, nonostante le grandinate, la produzione invece resiste, mentre dal Piemonte al Veneto, ma anche in Lombardia “le rese sono stabili nonostante nubifragi e grandinate che hanno colpito a macchia di leopardo nelle ultime settimane, in un Nord che quest’anno dovrebbe produrre il 65% di tutto il vino nazionale”.

Perché abbiamo un problema?

Lo scenario prospettato da Coldiretti è preoccupante e deve essere trattato come un problema da risolvere perché la vendemmia in Italia non sostiene, tradizionalmente, solo la produzione di spumanti di punta come Pinot e Chardonnay, ma si allarga e prosegue a settembre ed ottobre con la Glera per il Prosecco e con le grandi uve rosse autoctone Sangiovese, Montepulciano, Nebbiolo e si conclude addirittura a novembre con le uve di Aglianico e Nerello su 658mila ettari coltivati a livello nazionale. Si tratta, cioè, di un importante giro di affari, che si traduce in investimenti, crescita economica e lavoro.

La produzione tricolore – sottolinea la Coldiretti – può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai francesi, con le bottiglie Made in Italy destinate per circa il 70% a Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% per i vini da tavola a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità su cui può contare l’Italia che vanta lungo tutta la Penisola la possibilità di offrire vini locali di altissima qualità grazie ad una tradizione millenaria.

“Con la vendemmia in Italia si attiva un sistema che offre opportunità di lavoro a 1,3 milioni di persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, sia per quelle impiegate in attività connesse e di servizio” ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.

La crescita del settore principe dell’economia agricola va di pari passo con il grande successo delle etichette e dei vini a denominazione esportati anche all’estero. Basti pensare che, in dieci anni, secondo le stime rese note al Vinitaly 2023 da Vigneto Toscana, l’associazione dei viticoltori di Coldiretti, le esportazioni dei vini italiani sono cresciute del 78% toccando, nel 2022, la cifra record di 1,2 miliardi di euro. Il vino si conferma il prodotto più esportato ed il più amato fuori dai confini italiani (qui le stime delle vendite durante le feste), con il 74% delle bottiglie spedite nei paesi extra Ue su tutti Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Giappone e Cina.