Dove la benzina sta iniziando a mancare (e cosa sta succedendo)

L'inflazione sta travolgendo anche i distributori di benzina e diesel. E proprio dove il prodotto inizia a scarseggiare stanno nascendo i primi disagi

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Scarseggiano le risorse e, di conseguenza, aumentano i prezzi dei prodotti più difficili da trovare: è una delle regole che meglio riassume la spinta inflazionistica, che si sta trascinando dietro diversi settori, tra qui quello dei distributori di benzina e diesel. E proprio dove il prodotto inizia a mancare stanno nascendo i primi disagi.

In Francia, per, la situazione è più complessa: alcune stazioni di servizio hanno finito il carburante, ma non è – solo – colpa della guerra in Ucraina.

Distributori rimasti senza benzina: cosa sta succedendo in Francia

Molte stazioni di servizio in Francia – quasi un terzo secondo i media locali – hanno dovuto fare i conti con la carenza di carburante domenica 9 ottobre, conseguente a uno sciopero in corso annunciato e portato avanti dai lavoratori impiegati nel settore energetico. La protesta, nello specifico, ha interessato TotalEnergies ed ExxonMobil, tra i principali fornitori di carburante nel Paese, che hanno dovuto interrompere le attività nei principali impianti di stoccaggio e nelle loro raffinerie a seguito delle rimostranze del personale.

Lo sciopero, però, ha praticamente bloccato il Paese (si stima uno stop del 60% circa della produzione in Francia) con conseguenti disordini anche a livello sociale. Mancanza di carburante vuol dire trasporti bloccati e disagi per i cittadini, che hanno iniziato a protestare e a manifestare i propri malumori in fila – per ore – ai distributori di benzina. C’è stato chi, spinto dall’allarme per la mancanza di approvvigionamenti, domenica ha aspettato tutta la giornata per poi rimanere comunque senza carburante.

Ma cosa c’entra, tutto questo, con il caro energia e la crisi scatenata dal conflitto in Ucraina?

Secondo recenti report, i profitti di TotalEnergies tra aprile e giugno di quest’anno sono più che raddoppiati, salendo a 5,85 miliardi di euro a causa della guerra in Ucraina (che ha fatto aumentare i prezzi globali all’ingrosso dell’energia). Quello che chiedono i lavoratori, quindi, è un aumento dei salari che tenga conto della spinta inflazionistica e del conseguente aumento dei prezzi (e delle entrate derivanti dalla vendita di carburante). In sostanza, vogliono che gli aumenti salariali riflettano l’aumento dell’inflazione e i profitti delle compagnie energetiche.

I sindacati, nello specifico, hanno chiesto un aumento del 10% degli stipendi nel 2022, di cui il 7% destinato a corrispondere all’inflazione e un altro 3% per la condivisione della ricchezza.

Di tutta risposta, il colosso dell’energia francese ha proposto di anticipare i colloqui salariali annuali così da scongiurare il blocco totale, mentre il ministro dell’Energia Agnes Pannier-Runacher ha dichiarato ai media che “il governo sta facendo tutto il possibile per riportare la situazione alla normalità”, con l’auspicio che si trovi presto una soluzione.

L’Italia rischia di rimanere senza benzina? Qual è la situazione nel nostro Paese

Come già accennato sopra, la situazione in Francia è complessa e diversa da quella in Italia (di quali potrebbero essere le conseguenze delle proteste francesi per il nostro Paese ne avevamo parlato già qui), dove una crisi – ora – potrebbe scatenarsi ma per la penuria di materia prima proveniente dalla Russia. Se Putin, dopo le sanzioni e gli ultimi avvertimenti (qui cosa rischia), decidesse di bloccare veramente tutti i rifornimenti, le politiche di austerity diventerebbero ancora più rigide. Ma questa, bisogna dirlo, è l’ipotesi peggiore.

C’è da dire infatti che da Mosca arriva solo una percentuale di petrolio compresa tra il 10% e il 15% del totale. È molto improbabile, dunque, che l’attuale scenario possa in qualche modo lasciare a secco i distributori di carburante e scatenare la paralisi di interi settore.

La chiusura dei rubinetti da parte del Cremlino, tuttavia, potrebbe accelerare l’inflazione.

C’è da fare dunque un discorso più ampio e esteso ad altre forniture di materie prime (come il gas, l’energia, il grano etc.). Se queste infatti iniziano a scarseggiare i mercati inizieranno inevitabilmente a traballare, pertanto diventerebbe sempre più difficile assicurare un certo equilibrio tra domanda e offerta. Un aumento generale dei costi a causa dell’inflazione coinvolgerebbe anche i prezzi di benzina e diesel (qui quelli attuali), fino a coinvolgere il potere di acquisto dei singoli cittadini.

Se uno stipendio medio di un italiano finisce col non essere più abbastanza per arrivare a fine mese, insomma, non è da escludere che il malcontento nel Paese aumenti. I cittadini, di conseguenza, potrebbero in qualche modo seguire l’esempio dei francesi o comunque – direttamente o indirettamente – iniziare ad avanzare le stesse richieste relative alla protezione dei salati e agli aumenti degli stessi.