Addio allo zar, l’economia russa sta implodendo: i veri effetti delle sanzioni

Secondo un nuovo studio dell'Università di Yale, le sanzioni a Putin e ai suoi stanno mettendo a dura prova l'economia, che è completamente paralizzata

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Quanto impattano davvero le sanzioni occidentali sull’economia russa? Secondo un nuovo studio dell’Università di Yale, le sanzioni a Putin e ai suoi stanno mettendo a dura prova l’economia, nonostante l’affermazione di Mosca secondo cui il Paese non accuserebbe quasi il colpo (Peskov ha usato l’espressione “grande tempesta globale”, ma assicurando che la Russia è in grado di reggere la stabilità).

Il team di esperti di Yale è riuscito a dimostrare la falsità delle affermazioni di Mosca secondo cui l’economia nazionale sarebbe rimasta solida e sarebbe invece l’Occidente a soffrire di più, a causa di “una guerra di logoramento economico”.

Sanzioni e economia, i dati della Russia sono fuorvianti

A sette mesi dall’invasione russa dell’Ucraina continua ad esserci una sorprendente mancanza di comprensione da parte di molti politici e commentatori occidentali delle dimensioni economiche dell’invasione di Putin e di cosa abbia significato per il posizionamento economico della Russia, sia a livello nazionale che globale, scrive Foreign Policy.

“Lungi dall’essere inefficaci o deludenti, come molti hanno sostenuto, le sanzioni internazionali e i ritiri volontari degli affari hanno esercitato un effetto devastante sull’economia russa. Il deterioramento dell’economia è servito da potente, anche se sottovalutato, complemento al deterioramento del panorama politico che Putin deve affrontare”.

C’è un innegabile problema di dati. Spesso le analisi utilizzano comunicati economici diffusi dallo stesso governo russo, ma i numeri veicolati dal Cremlino cercano di eliminare sempre di più le metriche sfavorevoli, dando un quadro del tutto distorto. Il governo russo ha progressivamente trattenuto un numero crescente di statistiche chiave che, prima della guerra, venivano aggiornate mensilmente, inclusi tutti i dati sul commercio estero.

Tra questi – spiega Foreign Policy – ci sono le statistiche relative alle esportazioni e alle importazioni, in particolare con l’Europa, i dati sulla produzione mensile di petrolio e gas, la quantità di merci esportate, gli afflussi e i deflussi di capitali, i bilanci delle grandi società, che prima venivano comunicati su base obbligatoria dalle stesse società.

E ancora, i dati di base monetaria della Banca centrale, gli investimenti diretti esteri, i prestiti e atri dati relativi alla disponibilità del credito. Anche Rosaviatsiya, l’agenzia federale per il trasporto aereo, ha interrotto bruscamente la pubblicazione di dati sui volumi di passeggeri di compagnie aeree e aeroporti.

Russia, crollo delle esportazioni: il falso mito dell'”eldorado” Asia

Ciò che emerge dallo studio dell’Università di Yale è che il posizionamento strategico della Russia come esportatore di materie prime è “irrevocabilmente deteriorato”, poiché ora affronta, da una posizione di debolezza, la perdita dei suoi mercati principali di un tempo.

Non solo: deve anche affrontare sfide difficili tentando una virata verso l’Asia, con esportazioni di beni non fungibili come gasdotti. Che la Russia possa reindirizzare le sue esportazioni di gas e vendere in Asia invece che in Europa è uno dei punti di discussione preferiti, ma anche più fuorvianti, di Putin.

Il gas naturale non è un’esportazione possibile per la Russia. Meno del 10% della capacità di gas della Russia è gas naturale liquefatto, quindi le esportazioni di gas russe continuano a dipendere da un sistema di gasdotti fissi che trasportano gas convogliato.

Foreing Policy nelle sue analisi spiega bene come la stragrande maggioranza degli oleodotti russi scorre verso l’Europa. Questi gasdotti, che hanno origine nella Russia occidentale, non sono collegabili alla nascente rete separata di gasdotti che collegano la Siberia orientale all’Asia, che contiene solo il 10% della capacità della rete europea di gasdotti.

Infatti, i 16,5 miliardi di metri cubi di gas esportati dalla Russia in Cina lo scorso anno rappresentavano meno del 10% dei 170 miliardi di metri cubi di gas naturale inviati da Mosca all’Europa. Inoltre, i progetti di gasdotti asiatici a lungo pianificati attualmente in costruzione sono ancora lontani anni dall’entrare in funzione.

Giù anche importazioni e produzione nazionale

Anche le importazioni russe sono in gran parte crollate dall’inizio della guerra e il Paese deve affrontare dure sfide per assicurarsi input, componenti e tecnologia cruciali da partner commerciali “esitanti”, portando a una diffusa carenza di forniture all’interno della sua economia nazionale

La produzione interna russa si è “completamente bloccata”, senza la capacità di sostituire le attività, i prodotti e i talenti perduti, ha rilevato i report. “Lo svuotamento dell’innovazione interna e della base produttiva della Russia ha portato all’aumento dei prezzi e all’angoscia dei consumatori”.

Con l’esodo di circa 1.000 aziende globali, la Russia ha perso aziende che rappresentano circa il 40% del Prodotto interno lordo, invertendo quasi tutti i tre decenni di investimenti esteri e rafforzando la fuga simultanea di capitali e popolazione senza precedenti, in un vero e proprio “esodo di massa” della base economica russa.

I nuovi dati della produzione industriale russa di giugno mostrano che è stata significativamente depressa in una serie di settori rispetto allo scorso anno. Per le auto la produzione è diminuita dell’89%, mentre per i cavi in ​​fibra ottica di quasi l’80%.

Tracollo Russia sui mercati finanziari

I mercati finanziari nazionali russi, come indicatore sia delle condizioni presenti che delle prospettive future, sono quelli con le peggiori performance nel mondo intero quest’anno, nonostante i severi controlli sui capitali, e hanno scontato una debolezza sostenuta e persistente all’interno dell’economia con liquidità e contrazione del credito.

Tutto questo oltre al fatto che la Russia è stata sostanzialmente tagliata fuori dai mercati finanziari internazionali, limitando la sua capacità di attingere ai capitali necessari per il rilancio della sua economia che è totalmente “paralizzata”.

Putin sta ricorrendo a un intervento fiscale e monetario “palesemente insostenibile e drammatico” per appianare queste debolezze economiche strutturali, che hanno già mandato in deficit il suo bilancio del governo per la prima volta da anni e prosciugato le sue riserve estere anche con i prezzi elevati dell’energia. Le finanze del Cremlino – dicono i dati senza ombra alcuna – sono in condizioni molto più gravi di quanto si pensi convenzionalmente.

Mosca non ha via d’uscita dall'”oblio economico”, scrivono gli autori di Yale, finché gli alleati occidentali rimarranno uniti sulle sanzioni aumentando sempre di più la pressione contro Putin e i suoi. Motivo per cui Mosca terrà le forniture di gas all’Europa sospese fino a che le sanzioni non verranno ritirate, ha detto il portavoce del Cremlino Peskov.

Gli effetti delle sanzioni stanno appena iniziando a manifestarsi: i problemi della catena di approvvigionamento si stanno intensificando e la domanda sta diminuendo rapidamente. A lungo termine, l’economia russa diventerà – concludono gli analisti – più “primitiva”, perché si scollegherà parzialmente dal commercio internazionale”.

I titoli disfattisti che sostengono che l’economia russa è rimbalzata semplicemente non sono reali: “I fatti sono che, in base a qualsiasi parametro e a qualsiasi livello, l’economia russa sta vacillando e ora non è il momento di frenare”.