Cos’è la Global Minimum Tax, la tassa che costerà 380 milioni alle aziende italiane

Si tratta di un’imposta sul reddito delle multinazionali che per il 2024 garantirà le coperture finanziarie del governo all’interno della manovra di bilancio

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Dal 1° gennaio 2024 arriva la Global Minimum Tax, una nuova imposta minima che si estende a tutte le multinazionali con un fatturato annuo di almeno 750 milioni di dollari. L’accordo, firmato nel 2021 da oltre 130 Paesi, ha l’obiettivo specifico di contrastare la concorrenza fiscale, fenomeno che ha spinto le aziende a collocare le proprie sedi nei Paesi con le aliquote più convenienti. Nel corso degli anni, ciò ha portato a una concentrazione di quartier generali in Paesi che applicavano tassi fiscali particolarmente bassi.

L’accordo nato nel 2021

Ad esempio, Amazon ha stabilito la sua sede principale in Europa nella capitale del Lussemburgo, mentre Apple ha scelto la cittadina di Cork, in Irlanda. La Global Minimum Tax mira a prevenire questa pratica, assicurando che nessuna multinazionale con un fatturato significativo possa eludere un’aliquota fiscale inferiore al 15%.

La recente imposizione fiscale è il risultato di un accordo stipulato nel 2021 da oltre 130 Paesi, tra cui tutti gli Stati dell’Unione Europea, nonché Regno Unito, Norvegia, Australia, Canada, Corea del Sud e Giappone. Il meccanismo della Global Minimum Tax prevede un’aliquota del 15% sulle holding con sede in Paesi aderenti all’accordo. Nel caso in cui la sede della holding fosse situata in un Paese non firmatario, la tassa si applica alle sussidiarie. Secondo l’Ocse, uno degli artefici principali dell’accordo, questo sistema genererà un gettito fiscale supplementare di 220 miliardi a livello globale, parte del quale sarà redistribuito in base alla nazionalità dei consumatori. Tuttavia, questo meccanismo si applicherà solo ai gruppi con ricavi superiori ai 20 miliardi.

Secondo le stime della Cgia di Mestre, il nuovo regime fiscale dovrebbe apportare all’Italia entrate di 381,3 milioni di euro nel 2025, con un aumento a 426 milioni nel 2026 e una proiezione di avvicinamento a quota 500 milioni nel 2033.

Come funziona

In Italia, la normativa relativa alla Global Minimum Tax è stata recentemente introdotta tramite un decreto legislativo specifico, in ottemperanza alla direttiva 2022/2053 dell’Unione Europea. Tale direttiva introduce due regole finalizzate a contrastare le strategie delle multinazionali per eludere le imposte nazionali.

La prima di queste regole è la Income Inclusion Rule (IIR), che impone alle società operanti in Italia di versare un’imposta aggiuntiva nel caso in cui le loro controllate estere abbiano pagato tasse inferiori in un paese a bassa imposizione fiscale. Nello specifico, le società controllanti sono tenute a corrispondere la differenza tra il 15% e l’eventuale tassazione inferiore pagata dalle loro controllate all’estero.

La seconda regola, chiamata Undertaxed Profit Rule (UPR), entra in gioco quando la IIR non può essere applicata, ad esempio, perché una delle entità della società, inclusa la casa madre, opera in uno Stato in cui tale norma non è in vigore. In tal caso, la regola consente di dedurre fiscalmente i pagamenti effettuati a entità non soggette alla IIR, al fine di compensare l’effetto della mancata imposizione fiscale.

Deroghe e limiti

Nonostante l’accordo storico, permangono alcune incertezze sull’efficacia effettiva della Global Minimum Tax. Un primo segnale dei limiti della misura emerge nel caso della Svizzera, che ha dovuto apportare modifiche alla propria costituzione per poter applicare l’aliquota del 15%. Attualmente, la normativa prevede che nel Paese siano mantenuti alcuni trattamenti agevolati per le holding, riguardanti dividendi e plusvalenze. Inoltre, sono presenti deroghe per le multinazionali che dimostrano di effettuare investimenti diretti nel Paese.

Un altro elemento rilevante da considerare è la presenza di due Paesi di notevole importanza, la Cina e gli Stati Uniti, tra i firmatari dell’accordo che ancora non hanno incorporato la tassa sulle multinazionali nelle loro legislazioni nazionali. Questo rappresenta un ulteriore elemento di incertezza sulla piena adesione e implementazione della Global Minimum Tax a livello globale.