Dazi Ue rinviati al 9 luglio, Trump ascolta Von der Leyen

Trump concede all’Europa tempo fino al 9 luglio sui dazi del 50%, riapre i negoziati ma resta il sospetto che la minaccia sia solo una mossa tattica per ottenere concessioni rapide

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 26 Maggio 2025 08:24

Il presidente Usa Donald Trump ha annunciato di aver accettato di estendere al 9 luglio 2025 il termine per la decisione finale sull’imposizione di nuovi dazi del 50% contro l’Unione Europea. La notizia è stata data sul social Truth dallo stesso Trump, che ha riferito di aver concesso la proroga dopo una telefonata con Ursula von der Leyen.

I dazi, inizialmente previsti dal primo giugno, sono stati quindi rinviati alla scadenza proposta direttamente dalla presidente della Commissione europea. Il Tycoon ha detto ai giornalisti, prima di salire sull’Air Force One, che la richiesta di proroga è arrivata durante un colloquio telefonico “molto cordiale” con Ursula von der Leyen.

Il presidente americano ha aggiunto che i rispettivi team negoziali torneranno presto al tavolo per cercare una soluzione, lasciando intendere che la finestra aperta potrebbe non durare a lungo.

Scadenza dazi Usa-Ue rinviata: cosa cambia

Il gesto di Trump si inserisce in un braccio di ferro commerciale che va avanti da mesi, e che sembra più teatrale che tecnico. Stando al Wall Street Journal, il presidente sarebbe stato infastidito dalla lentezza dei negoziati con Bruxelles e dal consueto attendismo europeo nei confronti della Cina.

Qualche giorno prima aveva già agitato la clava: dazi al 50% su tutto ciò che arriva dall’Europa. Trump ha liquidato il tutto su Truth come sempre scrivendo:

i nostri colloqui con loro non stanno andando da nessuna parte.

Il peso commerciale degli scambi Usa-Ue è notevole: nel 2024 gli Stati Uniti hanno esportato beni per 370,2 miliardi di dollari verso l’Unione Europea e ne hanno importati per 605,8 miliardi, con un deficit di circa 235,6 miliardi.

L’introduzione di tariffe così elevate rischierebbe di avere effetti stagflazionistici sull’economia globale. Diversi analisti osservano che la strategia di Trump sembra quella di usare la minaccia dei dazi per spaventare mercati e interlocutori commerciali, per poi negoziare compromessi (come già avvenuto in passato con la Cina).

Perché Trump minaccia nuovi dazi contro l’Europa

In Europa la reazione istituzionale è stata di cautela. La Commissione Ue ha ribadito che nei rapporti transatlantici serve “rispetto reciproco, non minacce”. Ursula von der Leyen ha scritto su X di aver avuto un’ottima telefonata con Trump.

L’Ue e gli Stati Uniti condividono le più importanti e strette relazioni commerciali del mondo. L’Europa è pronta a portare avanti i colloqui in modo rapido e deciso. Per raggiungere un buon accordo, abbiamo bisogno del tempo necessario fino al 9 luglio.

Cosa rischiano mercati e aziende con i dazi Usa-Ue: le reazioni dopo l’annuncio

Sul piano finanziario la decisione di rinviare i dazi ha avuto un impatto positivo sui mercati. I futures azionari statunitensi sull’S&P 500 e sul Nasdaq 100 sono saliti di circa l’1%, mentre l’indice europeo Euro Stoxx 50 ha guadagnato l’1,6%, attutendo parte del panico delle sessioni precedenti.

Anche le borse asiatiche hanno parzialmente recuperato terreno, e il dollaro si è leggermente indebolito rispetto ai massimi di fine 2023. Il segretario al Tesoro Scott Bessent aveva del resto ammesso che l’intimidazione di Trump mirava proprio a “mettere un po’ di fuoco sotto l’Ue”, e almeno temporaneamente i mercati sembrano aver interpreto positivamente la tregua.

Trump bluffa? La strategia dei dazi come leva negoziale

Il rinvio dei dazi al 9 luglio alimenta un sospetto diffuso: che si tratti di una mossa calcolata, più che di una reale intenzione di alzare le tariffe. Non sarebbe la prima volta che Trump agita lo spettro delle tariffe per spostare l’ago delle minacce dei dazi per poi andare sui negoziati, come abbiamo visto fare subito prima degli accordi con il Regno Unito per esempio. Lo schema è sempre lo stesso: minacciare, generare tensione nei mercati e tra gli alleati, poi capitalizzare la pressione per strappare concessioni.

Secondo l’Ispi, si tratta di una strategia già sperimentata con la Cina e, più recentemente, anche con il Messico. Il premio Nobel James Heckman ha definito questa impostazione “una forma moderna di pressione bilaterale”, dove il contenuto economico passa in secondo piano rispetto all’effetto mediatico e politico.