Un toro rosso per il Toro. Le voci di un interessamento della Red Bull sul Torino fanno scatenare i sogni della tifoseria granata, spesso in disaccordo con l’attuale proprietà, mai come negli ultimi anni al centro delle contestazioni dei propri supporter. La notizia è stata però nettamente smentita dal presidente Urbaino Cairo che l’ha subito bollata come falsa.
L’interessamento
Indiscrezioni che sarebbero state svelate da La Stampa, secondo cui il patron granata avrebbe incontrato almeno in tre occasioni nelle ultime settimane i rappresentanti dell’impero fondato da Dietrich Mateschitz e guidato oggi dal figlio Mark.
Ad alimentare le ricostruzioni di una trattativa per la compravendita, l’accordo di partnership stretto a settembre tra Torino e il colosso delle bibite: “Red Bull, leader mondiale degli energy drink, sarà Official Energy Drink Partner del Torino Football Club per la stagione 2024/25” recitava il comunicato ufficiale.
Da quanto riportato dal quotidiano piemontese, sarebbe il primo passo di un piano di acquisizione graduale della multinazionale austriaca: prima estendere la collaborazione con il club fino a diventarne main sponsor dal 2025, per poi fare la mossa decisiva.
“Non c’è nulla di vero, non ho alcuna intenzione di vendere il Torino, non ho incontrato nessuno” ha replicato Urbano Cairo in una dichiarazione rilasciata all’Ansa.
“Anni fa fu la vicenda Ciuccariello, adesso Red Bull: cambia il soggetto ma la costante è la totale falsità delle notizie pubblicate” avrebbe aggiunto il presidente.
Come ricordato da Repubblica, non sarebbe però la prima volta che il colosso dell’energy drink viene accostato al Torino: già nell’estate del 2011 le indiscrezioni avrebbero portato a formulare delle ipotesi su un affare chiuso a circa 50 milioni di euro.
Il modello Red Bull
Anche soltanto l’eventualità di rientrare nel sistema Red Bull può giustificare la frenesia generata dalla notizia tra i tifosi granata. Il colosso dell’energy drink, infatti, è una delle multiproprietà più solide e diversificate nel mondo dello sport, presente nella Formula 1, nell’hockey, nel calcio, nel ciclismo, nei sport estremi e in tante altre discipline. Una presenza capillare da cui riceve un ritorno di immagine essenziale per il suo impero basato su una strategia marketing ben precisa.
L’azienda creata nel 1987 da Dietrich Mateschitz, morto nel 2022, è oggi una multinazionale da 10,5 miliardi di fatturato l’anno che sugli investimenti nello sport è dietro soltanto a colossi come Nike, Adidas o Coca-cola.
Negli ultimi 30 anni si è imposta in diverse discipline, raccogliendo successi in particolar modo dalla Formula 1, dove è approdata nel 1995 con la sponsorizzazione della Sauber, per poi rivoluzionare il mondo delle quattro ruote con la creazione nel 2005 dell’omonima scuderia, vincitrice di sei Mondiali Costruttori.
Sempre 19 anni fa la Red Bull ha fatto ingresso nel mondo del calcio, a partire dall’acquisizione del Salisburgo, squadra della città dove ha sede l’azienda austriaca, per sbarcare un anno dopo nella MLS statunitense, diventando così proprietaria dei New York Red Bulls.
Nel 2009 l’arrivo anche in Bundesliga, con l’acquisto del SSV Markranstadt, società che in quel momento militava nella quinta divisione tedesca. La scelta si basava sulle potenzialità di Lipsia, dove aveva sede il club e dall’assenza di vere e proprie concorrenti in quella parte di Germania: il club diventa il RasenBallsport Leipzig (RB Lipsia), un espediente per sfruttare le iniziali della Red Bull (dato che, a parte per il Bayer Leverkusen, in Bundesliga è vietato dare alle squadre nomi di prodotti e brand commerciali), e in sette anni compiere la scalata fino al massimo campionato tedesco, con una presenza quasi fissa in Champions.
Tra le ultime operazioni ci sarebbe anche la partecipazione della Red Bull nel Paris Fc, un progetto in collaborazione con il miliardario Arnault per il rilancio della seconda squadra di Parigi. In totale, il gruppo è diventato proprietario di 16 realtà sportive, con quasi 18 mila dipendenti sparsi in 177 paesi.
Il successo della strategia Red Bull si basa sull’applicazione di un modello replicabile e immediatamente riconoscibile, che ha spinto in questi anni il colosso a investire in prima persona sulla gestione delle società sportive.
Quando Red Bull entra in una società impone il cambio del nome, del logo e dei colori sociali, una scelta che ha fatto spesso scontentare i tifosi, come accaduto proprio nel Salisburgo, quando una delle prime decisioni della nuova proprietà fu cancellare il colore storico imponendo il bianco e il rosso e modificando anche la data di nascita del club
Tra i fattori centrali del modello anche lo stadio di proprietà e forti investimenti nelle giovanili: nel 2018 proprio il Salisburgo acquistò a 18 anni il ragazzo prodigio Haaland per 8 milioni, rivenduto l’anno dopo a 20 al Borussia Dortmund.
L’ultimo mattone in questo senso è stato affidare al manager tedesco Jurgen Klopp, allenatore di successo con Liverpool e Borussia Dortmund, la gestione tecnica di tutte le squadre di calcio della rete Red Bull.