Udito, ipoacusia e sordità: chi rischia di più l’inquinamento acustico e perché

Il calo dell’udito è invalidante per chi ne soffre, incidendo anche sulla qualità della vita. È quindi fondamentale puntare sulla diagnosi precoce e sulla prevenzione

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Più o meno 12 su 100. Tante sarebbero, in base alla ricerca EuroTrak Ita 2022, le persone che in Italia soffrono di perdita dell’udito. Attenzione però. Spesso questo problema non si trasforma nella ricerca di una soluzione. A dirlo sono i dati della stessa indagine, secondo cui solo poco più del 4% delle persone nel nostro Paese utilizza apparecchi acustici, con un trend di crescita comunque significativo con la pandemia Covid-19. Il tutto, considerando che sempre sulla scorta della ricerca il ricorso ad apparecchi acustici migliori la qualità della vita, le situazioni di ascolto, limitando il rischio che una persona si senta emarginata per l’ipoacusia o comunque diventi anche più sicura di muoversi, rinunciando meno alla propria vita sociale. Perché sentire bene significa anche stare meglio. E non solo sul fronte della capacità di sentire suoni e parole, ma anche sul fronte del benessere fisico e psicologico globale.

Quanto pesa l’inquinamento uditivo e perché facilita la presbiacusia

Tra clacson che strombazzano nel traffico, musica da discoteca a palla, cuffiette che riproducono per ore le note preferite direttamente nell’orecchio il nostro udito può andare in crisi. Basti pensare che l’esposizione a rumori superiori a 90 decibel per otto ore al giorno, in pratica una soglia che definisce il rumore forte come la sirena di un’ambulanza che passa, può indurre negli anni una perdita uditiva permanente. Peraltro, se si vive in una zona particolarmente rumorosa, l’inquinamento uditivo può interferire con la qualità del sonno e può condurre anche ad alterazioni della circolazione del sangue, aumentando i pericoli per la salute del cuore.
L’orecchio percepisce in modo ottimale una gamma di intensità sonore comprese tra 50 e 65 decibel – il cosiddetto livello di comoda udibilità – che corrisponde all’intensità della normale voce di conversazione; suoni molto leggeri pari a 5-10 decibel sono percepibili solo in ambienti insonorizzati, mentre suoni con intensità di 80-90 decibel sono percepiti come forti.
Il rumore può determinare un effetto lesivo sulle cellule cigliate interne (orecchio interno) e portare progressivamente ad una sordità, a seconda dell’intensità e del tempo di esposizione: l’esposizione a rumori superiori a 90 decibel per otto ore al giorno, per molti anni, provoca una perdita uditiva permanente. La continua esposizione ad una eccessiva rumorosità ambientale benché non direttamente traumatica per l’orecchio, può inoltre determinare alterazioni dello stato di salute (effetti extrauditivi del rumore). Se ad esempio il rumore interferisce con il riposo e la qualità del sonno – anche con livelli di rumore inferiori a 80 decibel – si possono riscontrare stress e alterazioni cardiocircolatorie.

Non esagerate con la musica

Naturalmente se i livelli di pressione sonora sono molto alti, il rischio di trauma anche per esposizioni limitate nel tempo è più elevato. Oltre al rumore, gioca un ruolo importante la sinergia tra ritmi sonori ed impulsi luminosi, in quanto si attivano nel cervello reazioni controllate che, a seconda della frequenza, possono modificare i tempi di reazione agli stimoli esterni. Per evitare danni psicosomatici ed audiologici, è consigliabile quindi almeno alternare l’esposizione al suono di alto livello con pause di “decompressione” dello stress uditivo. L’esposizione eccessiva alla musica può comunque compromettere temporaneamente il sistema uditivo, quando si avvertono segnali di allarme come: abbassamento temporaneo dell’udito, comparsa di fischi od “acufeni” e senso di stordimento. Questo rischio si corre più facilmente, provocando a volte conseguenze irreversibili, nell’ascolto in cuffia: in questo caso il livello di pressione sonora può superare 110 decibel ed i tempi di esposizione spesso sono di diverse ore al giorno.

Cos’è la presbiacusia

Insomma. In questa epoca di suoni verso cui siamo esposti, rischia di diventare progressivamente più difficile sentire le voci ci chi ci sta accanto, oppure occorre sempre alzare il volume del televisore per seguire il programma preferito. Sono questi alcuni dei segnali della presbiacusia, un problema quasi fisiologico per gli over 60 ma sicuramente accentuato dal rumore della vita quotidiana.
Cosa accade in questi casi? Si altera quello che si definisce livello di comoda udibilità (tra 50 e 65 decibel), che corrisponde all’intensità della normale voce di conversazione. Quindi chi parla deve aumentare il volume, per essere ascoltato.

Il problema è che il calo dell’udito è invalidante per chi ne soffre, incidendo anche sulla qualità della vita. Si hanno difficoltà a comprendere e conversare con familiari e amici, si ascoltano meno radio e tv, insomma ci si isola. Così si rischiano isolamento sociale e perdita di interessi e attività, nonché perdita di autostima fino a sviluppare un disturbo dell’umore di tipo depressivo. L’incapacità di comprendere determinata dall’ipoacusia è la condizione più grave e più sottostimata e presenta apparenti disturbi cognitivi quali quello della memoria, dell’attenzione, della comprensione verbale fino a un quadro di apparente stato confusionale. Ad esempio, chi sente poco può andare più facilmente incontro a cadute, e a fratture del femore.

L’audiometria, cosa può dire e come si fa

L’importante è non sottovalutare quel calo dell’udito che dovrebbe agire da segnale d’allarme, e spesso non ci si sottopone ai controlli che sarebbero necessari. Eppure sarebbe sufficiente un semplice esame, l’audiometria, per cominciare a comprendere che qualcosa non funziona. L’esame richiede pochi minuti e si esegue in una speciale cabina isolata acusticamente per evitare l’impatto di rumori ambientali. Chi la esegue indossa una coppia e riferisce all’esaminatore se sente o meno lo stimolo acustico inviato. Lo scopo dell’esame è valutare il valore della minima intensità percepita, la cosiddetta soglia uditiva, parametro che si abbassa significativamente nelle persone più avanti con gli anni.

Il ritardo che intercorre tra la comparsa dei primi sintomi e la diagnosi di presbiacusia può variare da otto a venti anni. Puntare sulla diagnosi precoce e sulla prevenzione è quindi fondamentale. Lo hanno ricordato gli esperti presenti al Congresso di Otorinolaringoiatria dal titolo “Il futuro in ascolto”, organizzato dalla Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale. Segnalando anche come a fianco della prevenzione e delle cure oncologiche avanzano poi i progressi della riabilitazione chirurgica alla sordità.
“Oggi – spiega Giovanni Danesi, presidente del Congresso – con una diagnosi ragionevolmente precoce e l’assistenza specialistica, nessuno è condannato a rimanere sordo. Questo significa che la sordità è reversibile. Oggi possiamo, ovviamente con fatica e un lungo percorso riabilitativo, far tornare a sentire chi ha perso l’udito”.

Importante superare le barriere

Le conseguenze delle sordità lievi e medie, nella maggior parte degli adulti, si aggravano a causa di una forte componente psicologica che porta con sé questa patologia: i soggetti affetti da ipoacusia spesso rifiutano di associare il disturbo alla sordità e soprattutto di indossare l’apparecchio acustico. Non venendo identificati precocemente e curati, gli effetti della sordità tendono così a peggiorare.
Per questo l’attenzione alla psicologia del paziente è il primo step verso il successo della terapia protesica: il paziente deve essere automotivato e consapevole del proprio problema uditivo. E’ quindi fondamentale incoraggiare gli anziani a sottoporsi a test uditivi in ambiente clinico, oltre che educare ed informare le loro famiglie sulle conseguenze psico-attitudinali dell’isolamento uditivo e soprattutto sulle possibilità di intervenire con cure mediche o riabilitative. Una volta diagnosticato il deficit uditivo, il paziente deve essere avviato ad una terapia protesica corretta e compatibile con le esigenze e i limiti della terza età, ricordando che esistono soluzioni protesiche personalizzate adeguate alla singola situazione audiologica e ambientale.

Attenzione a tutte le età

Limitare solo alla terza età il problema delle ipoacusie può essere comunque riduttivo. L’esposizione al rombo di un jet in fase di decollo ci porta a subire 130 decibel o anche un semplice dispositivo musicale ad alto volume fornisce uno stimolo elevato per l’orecchio, quindi quasi tutti siamo esposti al rischio dell’inquinamento acustico. Le statistiche peraltro dicono che si può diventare sordi a qualsiasi età, si può nascere sordi o divenirlo nei primi mesi o anni di vita. Insomma: il problema delle ipoacusie non riguarda solo gli adulti. L’incidenza dei casi di sordità nei neonati è di circa l’1 per 1000, percentuale che nei neonati ricoverati nei reparti di terapia intensiva raggiunge il 5%. Oltre al deficit di carattere uditivo il bambino riporta pesanti conseguenze nell’apprendimento del linguaggio verbale e nello sviluppo psicologico-cognitivo, così come la perdita dell’udito può essere inoltre l’esito di ripetute infiammazioni dell’orecchio medio che determinano una progressiva distruzione degli ossicini della cassa del timpano o di infezioni croniche che provocano, a lungo andare, un danno al timpano e alla cassa timpanica. Scoprire presto il quadro è fondamentale: grazie alla tecnologia e alla riabilitazione esiste la concreta possibilità di individuare la sordità alla nascita, di intervenire precocemente e di educare il bambino come un normoudente.

Come è fatto l’orecchio

Per comprendere quanto queste condizioni possano essere significative occorre ricordare che nell’orecchio si trovano i punti nevralgici di due diversi “sensi” del corpo umano: il controllo dell’udito e quello dell’equilibrio.
Partendo dal fuori, in questo “viaggio” anatomico, incontriamo prima l’orecchio esterno: è un lembo di cartilagine che fa da confine a un condotto lungo poco meno di tre centimetri. Questo canale è disseminato di peli e ghiandole che producono cerume, sostanza che frena l’entrata dei germi e dei granelli di polvere verso l’interno.
L’orecchio medio è invece pieno d’aria e rappresenta una catena fondamentale per la trasmissione dei suoni. Le onde sonore infatti, in presenza di un rumore fanno vibrare i tre ossicini (martello, incudine e staffa), che trasportano le vibrazioni fino alla piccola finestra ovale, la via di passaggio alla parte più interna dell’organo.
Infine nell’orecchio interno si trova la chiocciola, simile alla tastiera di un pianoforte, che ha il compito di trasformare i suoni in segnali nervosi, che verranno poi decodificati dal cervello. A questo punto infatti inizia il viaggio dello stimolo sonoro verso l’area uditiva, zona del sistema nervoso specificamente impegnata in questo senso.