Manovra ed emendamenti, il governo ci ripensa: Meloni costretta a cedere

Lungo tira e molla tra Fratelli d'Italia e gli alleati Lega e Forza Italia per una Manovra che doveva essere "inemendabile": alla fine Meloni deve cedere

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Alla fine Giorgia Meloni e il governo da lei presieduto sono stati costretti a fare un passo indietro sulla legge di Bilancio, venendo meno a uno dei diktat principali che erano stati imposti sulla Manovra che è ormai agli sgoccioli. Quell’animo intoccabile, quella Finanziaria “inemendabile“, alla fine, così non è stata perché dopo lunghi tira e molla e frecciate mandante anche ai suoi colleghi d’esecutivo, la premier è stata costretta a cedere per il bene della creatura pensata per il 2024, ma che, senza trovare punti d’incontro con gli altri partiti, difficilmente sarebbe passata com’è.

E allora il “taglia e cuci” è stato necessario, anzi obbligatorio dopo i malumori in Forza Italia e Lega, con tanto di riunione tra i tre partiti che si è tirata per le lunghe e che, addirittura, ha vissuto momenti di tensione a Palazzo Madama.

Una Manovra non tanto inemendabile

Presentando la nuova legge di Bilancio Giorgia Meloni era stata chiara con la destra, che voleva compatta e decisa sulla Finanziaria appena varata e che sarebbe arrivata di lì a giorni in Parlamento. “Nessun emendamento” aveva detto a metà ottobre, ma due mesi dopo si è dovuta ricredere. Sì, perché blindare la Manovra non è stata di certo la migliore idea per Meloni e Giorgetti, con la premier e il ministro che si sono ritrovati ad affrontare non solo l’ostruzionismo dell’opposizione, ma anche i malumori degli alleati.

E più volte, tanto da Forza Italia quanto dalla Lega, il monito è stato sempre lo stesso: apertura. Un tira e molla durato settimane, quasi mesi a dir la verità, che ha portato allo scontro tra le parti. Fino a martedì 12 dicembre, quando effettivamente l’apertura è arrivata.

In Senato, dal pomeriggio, è infatti andata in scena la riunione tra i partiti di maggioranza, incontro abbastanza agitato per cercare di risolvere tutti i problemi. Sarebbero volate parole grosse, la tensione si sarebbe avvertita anche dai corridoi mentre nelle aule interne c’era discussione. Ma al termine della riunione fiume si è trovato l’accordo.

E la palla è passata all’ufficio di presidenza della commissione Bilancio, cioè l’organo con cui i principali rappresentanti dei vari partiti nella commissione stabiliscono come procedere nei lavori. Nella notte tra martedì e mercoledì hanno depositato 17 emendamenti, non pochi per una legge di bilancio che doveva essere “inemendabile”.

Una tensione continua che fa male alla Finanziaria

Ma a chi ha fatto bene questo tira e molla? A nessuno, non di certo alla Manovra stessa che ora dovrà seguire un iter rigido per arrivare all’approvazione. Il Senato aveva programmato di votarla tra il 18 e il 19 dicembre, per poi inviarla alla Camera, che poi avrebbe comunque avuto poco tempo per confermare il voto favorevole senza poter intervenire sul testo del disegno di legge.

Ma queste tempistiche non potranno essere rispettate. Lo stallo, infatti, ha portato allo slittamento inevitabile di una settimana, col Senato che difficilmente vedrà la Finanziaria di passaggio prima del 23 dicembre. Poi toccherà alla Camera, che sarà costretta agli straordinari post Natale, con l’approvazione che potrebbe arrivare tra il 27 e il 30 dicembre, giusto in tempo prima della scadenza del 31.

E non ha fatto bene neanche ai rapporti interni di governo, con Lega e Forza Italia risentiti con Fratelli d’Italia per l’atteggiamento del partito della premier.