Se l’Ucraina viene sconfitta, la Nato farà davvero guerra alla Russia?

Le dichiarazioni del segretario della Difesa Usa, Lloyd Austin, hanno acceso tensioni e angoscia per una possibile guerra nucleare con Mosca. Ma il messaggio era ben diverso. Cosa c'è di vero? Cosa succede ora?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Negli ultimi giorni ci sono state dichiarazioni di grandi esponenti di Usa e Russia che hanno fatto salire i livelli di angoscia e tensione a livello globale. Prima i timori per un’escalation nucleare, poi quelli legati a un intervento diretto della Nato in Ucraina contro la Russia. Senza farsi prendere dal panico o da un’insana bulimia da titoloni di giornale, proviamo a capire se tutto questo può effettivamente verificarsi.

Al netto di tutto l’ottimismo e il pessimismo di questo mondo, a seconda delle inclinazioni singole di ognuno di noi, la risposta più probabile è: no, non ci sarà una guerra nucleare e la Nato non interverrà direttamente in Ucraina. Ma allora di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di propaganda e narrazione delle grandi potenze del pianeta, che non vanno confuse con dichiarazioni di intenti o, peggio, di promesse d’intervento. Come quella propugnata dal segretario alla Difesa americano Lloyd Austin, che proveremo a restituire al suo reale contesto: “Se Kiev cade, la Nato combatterà contro Mosca”.

Nato contro Russia, cosa ha detto davvero Austin e cosa intendeva

Le parole di Austin hanno fatto molto rumore per due motivi principali: innanzitutto perché è la carica apicale dell’apparato più importante del Paese più importante del mondo, e poi perché ha parlato di fronte ai deputati del Congresso americano, cioè l’istituzione che stanzia e muove i fondi per qualunque questione nazionale e internazionale. Il contenuto, poi, è stato davvero dirompente nella sua forma. “Sappiamo che se Putin avrà successo non si fermerà e continuerà a essere più aggressivo. E anche altri leader autocrati del mondo guarderanno al caso ucraino e saranno incoraggiati dal fatto che ciò è accaduto senza che noi siamo riusciti a difendere uno Stato democratico”. E ancora: “Se sei un Paese baltico, hai molta paura di essere il prossimo a essere invaso: le Repubbliche Baltiche conoscono Putin, sanno di cosa è capace e, francamente, se l’Ucraina cede credo davvero che la Nato entrerà in guerra contro la Russia”.

A giudicare alla lettera questo intervento, viene fuori quella “responsability to protect” che gli Usa si sono intestati una volta diventati monopotenza globale, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e cioè quella “responsabilità di proteggere” tramite la Nato i vari Paesi del mondo minacciati da potenze “cattive” che vogliono sconfiggere la democrazia. Propaganda, nulla più, che però ha portato a risvolti tragici come dimostrano gli ultimi trent’anni di guerre al terrorismo (tutte perse) e conflitti regionali. La missione autoimposta di Washington è dunque, ancora una volta, impedire che l’autocrazia – in questo caso putiniana – si diffonda oltre i suoi confini non solo occidentali, e dunque in Europa, ma anche orientali, in quell’area più strategica del mondo che è l’Asia Centrale. Cosa sono disposti a fare gli Usa per impedire l’espansione violenta russa? La guerra, evidentemente. E invece no, perché le parole di Lloyd ci dicono altro al momento.

In estrema sintesi: il Pentagono non chiama alla guerra i suoi alleati atlantici, ma tenta di fare pressioni sul Congresso americano nell’approvazione degli aiuti militari e finanziari all’Ucraina, ridotta allo stremo dalla mancanza di uomini e munizioni. Un messaggio interno alla nazione statunitense, dunque, e non rivolto all’Europa, con lo scopo di infrangere quello stallo che le divisioni interne rischiano di rendere drammatico. Solo poche ore prima lo stesso presidente Joe Biden aveva dichiarato che gli Usa non invieranno truppe occidentali a combattere per Kiev. Parole che sovrascrivono o, meglio, indicano la direzione di quelle di Lloyd e che riguardano l’imperativo strategico americano di non combattere direttamente contro la Russia. Perché? Perché si rischierebbe la guerra nucleare, certo, ma anche perché gli Stati Uniti sono in una fase di stanchezza imperiale e non sarebbero in grado – in questo particolare momento della loro storia – di sostenere un tale sforzo e aprire l’ennesimo fronte bellico (compreso quello mediorientale).

Nel dettaglio, il segretario della Difesa statunitense ha risposto alla sollecitazione della deputata democratica del Texas Veronica Escobar, sull’opportunità di sbloccare i fondi per l’Ucraina. A Lloyd è stato chiesto di spiegare ai cittadini americani “perché è così importante per gli Usa supportare la causa di Kiev” con l’invio dei 60 miliardi di dollari ostaggio da mesi delle resistenze soprattutto repubblicane. Il Senato ha autorizzato gli aiuti, ma lo speaker della Camera Mike Johnson si rifiuta di porre ai voti il testo. La parlamentare Escobar poi incalza se stessa e rincara la dose di pressione sul capo del Pentagono: “Cosa ci aspetta fra cinque anni se l’Ucraina cade nelle mani di Putin?”. Da lì la risposta accorata di Lloyd.

Cosa vogliono davvero gli Usa

Le parole di Lloyd tradiscono certamente una preoccupazione diffusa, ma offerte all’Occidente tramite la sofisticata propaganda americana. Anche perché, anche nel caso in cui gli aiuti venissero sbloccati dal Congresso, non riuscirebbero a far vincere l’Ucraina. E non avrebbero neanche l’intenzione di farlo, visto che la volontà primaria degli Usa è quella di congelare il conflitto con la Russia nel Paese invaso. Gli aiuti americani, al più, servirebbero a far resistere Kiev a oltranza, a carissimo prezzo di sangue per gli ucraini.

L’interesse fondamentale per Washington è quello di restare forte nell’Indo-Pacifico, nell’ottica di contenere la Cina attraverso il controllo marittimo di Taiwan. Non sono ammesse “distrazioni”, figurarsi ulteriori sacrifici per impegnarsi militarmente contro una grande potenza come la Russia. In definitiva, gli Usa vogliono impedire il sodalizio sino-russo, esattamente come nella seconda metà del Novecento. Per questo motivo chiunque vincerà le elezioni presidenziali americane del 2024 dovrà parlare col Cremlino, e dunque assai probabilmente con Vladimir Putin. Perché lo impone la grammatica strategica della nazione: se si hanno due nemici, si punta il più debole per non farlo alleare con il più forte.

Per lo stesso motivo gli Usa – e dunque la Nato, e dunque l’Ue – non vogliono annientare la Russia nella guerra in Ucraina (realizzando la “profezia” di Kissinger), perché in quel modo diventerebbe facile preda della Cina. Il tutto a scapito dei mal di pancia di Volodymyr Zelensky, che invece costruisce tutto il suo consenso sulla guerra totale al Cremlino (ne avevamo parlato anche qui). La guerra d’Ucraina potrà dunque finire soltanto con un negoziato tra russi e americani. Al momento la Cina è troppo debole per sfidare apertamente gli Stati Uniti, ma assieme alla Russia ha il coraggio di alzare la posta in gioco.

I militari della Nato si trovano già in Ucraina?

Dire le cose come stanno, o almeno provarci, è la via maestra per analizzare questo nostro mondo annebbiato da propagande nemiche. In questo senso nella retorica del Cremlino veicolata dal ministro Lavrov c’è un fondo di verità: dall’invasione del febbraio 2022, la Nato ha inviato funzionari e militari in Ucraina. Il primo motivo per cui l’Alleanza Atlantica non invierà truppe in terra ucraina è che si sono già, seppur non in assetto da guerra. Se, da un lato, le parole di Lavrov paventano l’improbabile e retorica intenzione occidentale di inviare truppe in Ucraina, dall’altro afferma che “ci sono già, anche se in modo non ufficiale”.

“L’Ucraina non sarebbe in grado di usare le cosiddette armi a lungo raggio contro le città russe senza istruttori occidentali”, ha spiegato ancora Lavrov in un forum diplomatico ad Antalya, in Turchia. “Lo capiamo tutti perfettamente. Le prove sono abbondanti: alcuni attacchi ucraini agli aeroporti strategici della Russia non sarebbero avvenuti senza gli specialisti americani”. Nello specifico, il capo della diplomazia russa ha risposto così all’ipotesi avanzata dal presidente francese Emmanuel Macron sull’invio di truppe “non combattenti” in Ucraina.

È davvero così? Per confermare la presenza di militari della Nato in Ucraina non ci voleva certo Lavrov. E si tratta proprio del personale “non combattente” al quale ha fatto riferimento. Macron. Fin dal febbraio 2022 sono inoltre presenti in terra ucraina anche funzionari legati ai servizi segreti occidentali, finti agenti diplomatici sotto copertura ma di fatto attori con status militare, che svolgono la mansione di “consiglieri militari” per la strategia bellica. Ci sono le Forze Speciali di Stati occidentali che addestrano le unità d’élite ucraine anche in loco.

Guerra nucleare, cosa ha detto davvero Putin

Mentre la Russia si avvicina alle elezioni presidenziali del 17 marzo che certificheranno l’ennesimo mandato putiniano, il capo del Cremlino ha rilasciato un discorso alla nazione che non è stato compreso a fondo alle nostre latitudini. Ci si è concentrati sugli inevitabili aspetti propagandistici, che a loro volta alimentano la nostra retorica occidentale: la minaccia della guerra nucleare che, va detto, è decisamente improbabile. Putin ne ha parlato convinto dell’effetto: preoccupare noi e fomentare i suoi, soprattutto le fazioni più radicali della Federazione definite “turbo-patriottiche”.

Uno degli aspetti davvero importanti del discorso del presidente russo riguarda la promessa di “una nuova cortina securitaria in Eurasia”, che verrà realizzata “nel prossimo futuro” con la collaborazione di “tutti quei Paesi e quelle associazioni di Paesi che potrebbero essere interessate al progetto”. Tradotto: un revival del Patto di Varsavia, ma spostato molto più a Oriente. Tradotto meglio: un’alleanza militare da contrapporre alla Nato. Una dichiarazioni ancora più importante di questo, perché chiude definitivamente la fase russa di ricerca di un dialogo con l’Occidente, il cui tramonto è iniziato nel 2012 con il volgere dello sguardo a Est. Da lì l’avvicinamento e il partenariato di comodo con la Cina e l’Iran e i pesanti investimenti infrastrutturali e industriali con i Paesi dell’Asia Centrale.

La strategia anti-occidentale del Cremlino si dipana e si dipanerà anche nel rafforzamento della propria influenza in Africa e America del Sud, nonché nel Medio Oriente. Guidando quel Sud Globale, ancora molto diviso nel suo consesso ufficioso dei Brics, che sta apertamente voltando le spalle agli Usa e alla vecchia Europa che fu colonialista.