Sinwar, il capo di Hamas, è stato ucciso durante un raid casuale: gli ultimi momenti

Sinwar, leader di Hamas, è stato identificato dopo un'operazione dell'Idf a Gaza. Ucciso in fuga, conferma del Dna arrivata dopo il test in Israele

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 18 Ottobre 2024 08:13

Yahya Sinwar, leader di Hamas e mente dietro gli attacchi del 7 ottobre, ha passato l’ultimo anno nascosto nel sottosuolo di Gaza, protetto da pochi uomini fidati e ostaggi israeliani utilizzati come scudo umano. Nonostante i suoi piani per rimanere al sicuro, la sua fine è arrivata in modo del tutto inatteso, durante una pattuglia di routine delle truppe israeliane nel sud della Striscia. Nessun ostaggio è stato trovato sul posto.

Una scoperta inaspettata

Una pattuglia dell’Idf, l’esercito israeliano, stava perlustrando Tal al-Sultan, nel quartiere di Rafah. Tre militanti sono stati intercettati e neutralizzati. Nulla di strano, almeno fino al giorno dopo. Quando i soldati sono tornati sul luogo per esaminare i corpi, hanno notato una somiglianza inquietante tra uno dei cadaveri e Sinwar.

Troppo rischioso toccare il corpo, che poteva essere stato minato. Così, invece di spostarlo, hanno prelevato un campione da un dito e l’hanno inviato in Israele per le verifiche del Dna. Solo più tardi, con l’area sicura, il corpo è stato trasferito.

Daniel Hagari, portavoce dell’Idf, ha spiegato che le forze israeliane non sapevano che Sinwar fosse lì. I soldati avevano avvistato tre uomini che correvano tra le case e li avevano affrontati. Sinwar, identificato successivamente, aveva cercato rifugio in un edificio, da solo.

Una scoperta casuale, ma che non ha comunque impedito al ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, di esultare: “Sinwar è morto in fuga, non da comandante”. Il video diffuso dall’esercito mostra un uomo, ferito, che tenta di scagliare un oggetto contro un drone, prima che tutto finisca.

L’identificazione del corpo e la conferma

Israele ha confermato ufficialmente la morte di Sinwar solo dopo il test del Dna, celebrando l’evento come un momento importante nella sua offensiva contro Hamas.

Come spesso accade, Israele non ha avuto nessuna remora e ha postato sui social le immagini agghiaccianti del suo corpo devastato, con il cranio fracassato ma il volto riconoscibile. Questo ha messo fine ai falsi allarmi che per mesi avevano alimentato speranze e illusioni.

Netanyahu: “Il conto è stato pagato”

Non si è fatto attendere il discorso di Benyamin Netanyahu, che in serata ha parlato agli israeliani. “Sinwar è morto. Il responsabile del massacro del 7 ottobre non è più tra noi. Il conto è stato pagato, ma la nostra missione non è finita“, ha dichiarato il primo ministro, avvertendo che la guerra non si fermerà finché gli ostaggi israeliani non saranno liberati, o finché non moriranno tutti i palestinesi, vista la pulizia etnica in corso che si sta consumando soprattutto dal 7 ottobre. Poi ha lanciato un appello ai terroristi di Gaza: arrendetevi, e la vostra vita sarà risparmiata.

Nel frattempo, il gruppo Hezbollah in Libano ha annunciato una nuova fase nella guerra contro Israele, utilizzando per la prima volta missili a guida di precisione per colpire le truppe israeliane. Un segnale chiaro che il conflitto non si ferma qui.

Chi era Yahya Sinwar

Yahya Sinwar, leader supremo di Hamas dal 2017, è stato per anni uno degli uomini più ricercati da Israele. Nato nel 1962 a Khan Yunis, nella Striscia di Gaza, ha dedicato gran parte della sua vita alla lotta armata contro Israele. Sinwar ha trascorso 22 anni in prigione in Israele, durante i quali ha imparato l’ebraico e scritto cinque libri, tutti incentrati sulla resistenza e la lotta armata palestinese. Rilasciato nel 2011 nell’ambito dello scambio di prigionieri per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, ha poi preso il comando delle operazioni militari di Hamas.

Considerato uno dei principali artefici dell’attacco del 7 ottobre 2023, in cui sono stati uccisi oltre 1.200 israeliani e presi più di 200 ostaggi, Sinwar è stato un leader temuto e rispettato, capace di gestire la complessa rete sotterranea di Hamas e mantenere il controllo su Gaza. Nonostante le voci che lo davano all’estero, è rimasto nascosto a Gaza fino alla sua morte, non ha mai abbandonato la sua terra. Sinwar era noto per non riconoscere il diritto di Israele a esistere e per aver stabilito forti legami con l’Iran e Hezbollah, nonostante le differenze religiose tra sunniti e sciiti.

Le reazioni dei capi di Stato

Dall’altra parte dell’oceano, le reazioni non si sono fatte attendere. Joe Biden ha definito la morte di Sinwar “un bel giorno per Israele, per gli Stati Uniti e per il mondo”, paragonando il momento all’uccisione di Osama Bin Laden. Ma dietro i sorrisi diplomatici, il presidente americano ha fatto eco alla richiesta di un accordo politico che possa porre fine al conflitto.

Anche il nuovo primo ministro britannico, Keir Starmer, ha condannato duramente Sinwar, definendolo “l’artefice della giornata più mortale nella storia ebraica dalla Shoah” e ribadendo che il Regno Unito “non piangerà la sua morte”.

In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha ricordato con emozione le vittime, compresi 48 cittadini francesi, dichiarando che Sinwar era “il principale responsabile degli atti terroristici del 7 ottobre”.

Da parte sua, Justin Trudeau, primo ministro canadese, ha affermato che la morte di Sinwar “pone fine a un regno di terrore” e ha ribadito la necessità di un cessate il fuoco immediato. Anche il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha condannato Sinwar, descrivendolo come “un brutale assassino e terrorista.”

Giorgia Meloni: “Si avvii una nuova fase”

“Con la morte di Yahya Sinwar viene meno il principale responsabile del massacro del 7 ottobre 2023. La mia convinzione è che ora si debba iniziare una nuova fase: è tempo che tutti gli ostaggi siano rilasciati, che si proclami un immediato cessate il fuoco e che si avvii la ricostruzione a Gaza”. Così ha dichiarato la premier Giorgia Meloni in una nota ufficiale. La presidente del Consiglio ha poi aggiunto: “Continueremo a sostenere con determinazione ogni sforzo in questa direzione e per la ripresa di un processo politico serio e credibile, che conduca alla soluzione dei due Stati”.

Sì, dal 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato l’attacco contro Israele, sono morte oltre 1.200 persone in Israele, inclusi israeliani e stranieri. Peccato che, in risposta, l’esercito israeliano abbia intensificato gli attacchi su Gaza, dove le vittime palestinesi hanno superato le 42.000 persone, con la maggior parte dei decessi tra i civili. E non stiamo parlando di terroristi, ma di civili, di bambini. Questo conflitto ha provocato anche decine di migliaia di feriti e ha esacerbato la già grave crisi umanitaria nella Striscia di Gaza.

Onu condanna Israele: timidissimi approcci

La narrativa prevalente sui raid a Gaza si concentra sulla ricerca degli ostaggi israeliani, mentre la drammatica realtà delle vittime civili, soprattutto bambini, riceve meno attenzione di quanto meriti. Le operazioni vengono giustificate come necessarie, ma il prezzo umano, in termini di vite innocenti perse quotidianamente, sono condannabili per la totale assenza del rispetto per la vita civile.

Ma qualcosa, per fortuna, si sta muovendo. Numerosi stati membri delle Nazioni Unite hanno condannato le azioni di Israele nel conflitto in corso con i palestinesi. In una recente risoluzione non vincolante, 124 paesi hanno chiesto a Israele di porre fine alla sua occupazione dei territori palestinesi entro 12 mesi.

Tra i paesi che si sono opposti alla risoluzione vi sono gli Stati Uniti, che hanno definito la decisione “infiammatoria”, insieme a nazioni come Ungheria e Repubblica Ceca. Altri 43 paesi, inclusi molti in Europa, si sono astenuti (Italia compresa) dal voto. La risoluzione ha chiesto anche un embargo sulle armi a Israele in caso di sospetto che possano essere usate nei territori occupati.

Israele ha criticato duramente la risoluzione, affermando che alimenta il terrorismo e allontana la possibilità di pace. Allo stesso tempo, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stato dichiarato “persona non grata” da Israele, provocando la condanna di 104 stati membri, che hanno difeso il ruolo dell’Onu come mediatore nel conflitto.