Fuga all’estero: cosa succede alla pensione

Un lavoratore che versa contributi in Italia e in seguito in un altro Paese perderà i contributi? Tutto quello che dovete sapere sulla pensione divisa tra più Stati

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Sentiamo sempre più il bisogno di scappare verso luoghi con un ritmo di vita più compassato. Lo stress ci attanaglia e così per molti il sogno della fuga all’estero diventa realtà.

Parliamo di persone appartenenti a differenti generazioni, con più o meno contributi alle spalle, che decidono di colpo di fare il grande passo e reinventarsi alle Canarie, ad esempio. Rifarsi una vita a Lanzarote non è di certo il piano peggiore al mondo, ma cosa accade alla pensione quando si “scappa all’estero”?

Trasferimento all’estero: contributi nell’Unione europea

L’esempio delle Canarie, che vantano un clima caldo tutto l’anno e spingono tanti a investire nell’immobiliare, aprire un ristorante o altro, è soltanto uno dei tanti da poter fare. Ipotizziamo genericamente che un italiano, dopo aver lavorato per svariati anni, decida di accettare una proposta di lavoro all’estero.

Il suo nuovo contratto contribuirà alla sua pensione ma è naturale chiedersi cosa accadrà ai suoi contributi in Italia.  Per la libera circolazione dei lavoratori, l’Ue garantisce le prestazioni previdenziali a tutti i residenti dei Paesi membri.

Questo perché vengono applicati dei regolamenti comunitari. Il tutto si traduce in una “semplice” addizione. Salvo la necessaria burocrazia, infatti, i contributi maturati in differenti Paesi membri dell’Unione europea vengono cumulati.

Esiste però un vincolo di cui tener conto, non di secondaria importanza. Il Paese chiamato a effettuare il calcolo finale, dunque il cumulo, richiederà un minimo di contributi versati all’interno dei suoi confini. Se si decide di trasferirsi nella già citata isola di Lanzarote, quindi, si dovrà versare qui almeno un anno di contributi per poter ottenere la somma necessaria per godere della propria pensione.

Lavorare all’estero: accordi internazionali per la pensione

La frequenza dei nostri spostamenti è oggi ben maggiore rispetto a quella dei nostri genitori. Cambiare vita e trasferirsi al di fuori dell’Unione europea, volando magari negli Stati Uniti o in Sud America, non richiede più la stessa dose di coraggio di un tempo.

È bene chiarire, quindi, in che modo vengano calcolati i contributi maturati in Italia al momento della pensione, dopo aver lavorato svariati anni negli USA, ad esempio. Differenti sistemi in atto e concreto timore di veder perso parte di quanto versato. In soccorso dei cittadini italiani (e non solo, ndr) giungono però degli accordi internazionali di sicurezza sociale.

Le specifiche norme possono cambiare a seconda del Paese estero di riferimento ma, in linea generale, si garantisce la portabilità dei diritti dei cittadini. Accordi bilaterali di questo tipo permettono una totalizzazione dei contributi versati su scala internazionale. Sappiamo che in Italia occorrono almeno 20 anni di contributi per maturare la pensione. Non è però importante che siano stati registrati tutti nei confini del nostro Paese.

Gli accordi comunitari e quelli internazionali consentono di sommare gli anni di contributi, al fine di rientrare nel piano previdenziale governativo. È però importante evidenziare come occorra essere ben consci dei regolamenti interni, ovvero delle legislazioni in termini previdenziali dei singoli Paesi nei quali si è deciso di lavorare.

Ogni Stato farà valere le proprie norme, com’è giusto che sia. In parole povere non esiste rischio di perdita della pensione o di “frammenti” della stessa. Se si versano però 10 anni di contributi in Italia, 5 in Spagna e 5 negli Stati Uniti, ad esempio, verranno applicati ben tre criteri differenti, potenzialmente simili su determinati fronti e totalmente differenti su altri. L’unico rischio è dunque la poca informazione preventiva, ma per quello lo Stato non è responsabile e tutto ricade nel campo dei doveri del cittadino.