Merendine per bambini, boom post Covid in Europa: +29% e modello americano

Dal post-pandemia in Europa la spesa per merendine ultra-formulate è cresciuta del 29%, colpendo soprattutto i consumi infantili e gravando sui bilanci sanitari

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 24 Giugno 2025 11:14

Non è più solo l’America il Paese delle merendine ultraformulate. Anche in Europa aumentano i prodotti superzuccherati e lavorati come snack per la mattina o la merenda. Il comparto sta vivendo un vero e proprio boom e dal 2019 a oggi è cresciuto del +29% per un totale di spesa di 310 miliardi di euro l’anno.

Non si tratta di un dato positivo, cioè quello di un settore in espansione, ma anzi di una scelta alimentare che può avere conseguenze gravi soprattutto sui più piccoli, che sono proprio il target di simili prodotti. I numeri arrivano dalla Fondazione Aletheia, che ha presentato al ministero dell’Istruzione il rapporto intitolato “Cibo e bambini”.

Troppe merendine: la nuova malnutrizione

Il rapporto “Cibo e bambini” parte dal ripensare l’idea di malnutrizione. Questo termine infatti viene spesso associato alla malnutrizione per difetto, cioè la carenza di nutrienti. Si tratta, scrivono nel rapporto, di un retaggio culturale e sociale legato a un’epoca di fame, di scarsità alimentare e di problematiche nutrizionali. Ma nella società moderna il termine “malnutrizione” andrebbe in realtà legato a una sovrabbondanza di risorse alimentari fatta di cibi ipercalorici e trasformati. Insomma sì, malnutrizione per difetto di nutrienti essenziali, ma perché prevalgono zuccheri e grassi.

Sono questi infatti che portano a rischi per la salute, non soltanto per una condizione di obesità o sovrappeso, ma anche per tutta una serie di conseguenze più difficili da notare. Si potrebbe perfino parlare dell’impatto economico attribuibile all’obesità, che supera i 13,3 miliardi di euro l’anno e rappresenta il 59% dei costi sanitari diretti per la cura delle malattie strettamente collegate, come quelle cardiovascolari, il diabete, diverse tipologie di tumori e interventi di chirurgia bariatrica.

In ogni caso, in Italia si considera in condizioni di eccesso di peso quasi 1 adulto su 2 (il 34,6% è in sovrappeso e l’11,8% in condizione più grave di obesità). In particolare lo studio, concentrandosi sul rapporto tra cibo e bambini, analizza la fascia di età infantile e giovanile. Non è un caso infatti se anche secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’obesità infantile è considerata un’emergenza sanitaria del nostro secolo.

I Paesi con le condizioni peggiori

Le nazioni europee si trovano in una condizione migliore rispetto ad altre zone del globo per la prevalenza di obesità nella fascia 5–19 anni. Basta fare un confronto con la prevalenza negli Stati Uniti (17%), nel Mediterraneo orientale (11,9%) o nel Pacifico occidentale (10,8%). L’Europa presenta una prevalenza di obesità infantile-giovanile attorno all’8%, superiore comunque all’Africa (4%) e al Sud-est asiatico (4,6%).

In particolare, nei Paesi UE i tassi di obesità infantile e giovanile più elevati si registrano in:

  • Ungheria (14,8%);
  • Cipro (14,1%);
  • Finlandia (12,6%).

E l’Italia?

In Italia, secondo i dati Istat, il fenomeno dell’obesità infantile e giovanile è diffuso, ma in lieve calo o stabile negli ultimi anni. Tra i 3 e i 17 anni il 27,2% dei minori è in condizione di sovrappeso od obesità, con un’incidenza maggiore nei maschi rispetto alle femmine.

Negli ultimi 10 anni comunque si è registrata una riduzione, seppur lieve. A determinare tali condizioni, in Italia e nel resto del mondo, sono diversi fattori non solo genetici, ma anche l’ambiente circostante, il background familiare e sociale. Ovviamente le abitudini alimentari ricoprono un ruolo fondamentale ed è questo aspetto in particolare che il rapporto della Fondazione Aletheia ha voluto sottolineare.

Modello americano: sempre più snack

Ci troviamo di fronte a un eccesso di presenza di cibi ultraformulati. Si tratta, come suggerisce il nome, di formulazioni multi-ingrediente spesso ottenute dalla scomposizione, modifica e sintesi di componenti degli alimenti originali, mescolati con ingredienti non comuni in cucina. Come spiega il rapporto, sono aggiunti additivi, tra cui coloranti e conservanti, aromi artificiali, stabilizzanti, emulsionanti, schiumogeni e altre sostanze che esaltano la palatabilità.

Tra questi rientrano:

  • prodotti a lunga conservazione;
  • prodotti confezionati e pronti da riscaldare e consumare;
  • bevande gassate;
  • bevande energizzanti;
  • snack confezionati;
  • dolci e biscotti;
  • gelati confezionati;
  • torte e pasticcini industriali.

Sono proprio questi prodotti che hanno avuto un vero e proprio boom dal 2019 a oggi, con un effetto post-pandemico che ha visto un aumento dei consumi tra bambini e adolescenti. Nel 2023 il mercato globale di cibi e bevande ultraformulati ha raggiunto i 2.000 miliardi di dollari e solo in Europa la spesa annuale complessiva è stata di 310 miliardi di euro, segnando un +29% in appena cinque anni. Si parla di circa 690 euro a persona, con picchi soprattutto nei Paesi nordici come Finlandia e Irlanda e valori inferiori ma non di molto in Italia (580 euro), in Grecia e nei Paesi dell’Est come la Romania.

Il boom post-Covid delle merendine ultra-formulate riflette un modello alimentare “all’americana”, dove costo e comodità spesso prevalgono sulla qualità nutrizionale. In Europa la spesa per questi snack continua a crescere, con effetti diretti sull’aumento dei costi sanitari legati all’obesità o a patologie legate a una cattiva nutrizione. Per questo investire in politiche di prevenzione e in mense scolastiche di qualità non è solo una necessità di salute, ma anche un modo per contenere le spese economiche future.