La cucina italiana patrimonio dell’Unesco

Quali tradizioni della cucina italiana sono patrimonio dell'Unesco alimentare e quali effetti hanno avuto sull'economia Made in Italy

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

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L’Italia vanta un ricco elenco di tradizioni e saperi che sono stati riconosciuti Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco e sono intrinsecamente legati al cibo. Non si tratta tuttavia di prodotti finiti, come spesso si legge online. Si tratta invece delle pratiche, dei mestieri e delle conoscenze che rendono unici i nostri piatti. Vediamoli nel dettaglio.

La dieta mediterranea

Tra le pratiche e le tradizioni della cucina italiana riconosciute dall’Unesco, un posto centrale spetta alla dieta mediterranea, iscritta nel 2013 nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Si tratta di un riconoscimento che coinvolge Italia, Spagna, Grecia, Marocco, Cipro, Croazia e Portogallo. Per dieta mediterranea non si intende infatti solo un modello alimentare tipico del nostro Paese, ma un insieme di abitudini, pratiche sociali e conoscenze che vanno dalla produzione agricola al consumo in una vasta area geografica.

L’Unesco ha voluto premiare non solo l’aspetto nutrizionale, noto per i suoi benefici sulla salute, ma soprattutto i valori culturali e sociali, quali l’ospitalità, la creatività, il rispetto della diversità, la convivialità.

Mercati, feste popolari e celebrazioni sono gli spazi privilegiati in cui questo patrimonio prende vita, trasformandosi in un’occasione di incontro tra generazioni e culture.

Vite ad alberello di Pantelleria

Riconosciuta dall’Unesco è la pratica agricola tradizionale della coltivazione della vite ad alberello dell’isola di Pantelleria, iscritta nel 2014 nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Questa tecnica, tramandata da generazioni di viticoltori panteschi, rappresenta un esempio unico di agricoltura sostenibile e di adattamento dell’uomo a un ambiente difficile, caratterizzato vento forte, scarsità di acqua e suoli vulcanici.

Circa 5.000 abitanti dell’isola possiedono e coltivano piccoli appezzamenti di terreno, mantenendo viva una tradizione che definisce l’identità stessa della comunità.

La pratica della vite ad alberello prevede una serie di fasi precise:

  • il terreno viene livellato e scavato in una piccola conca dove viene piantata la vite;
  • il tronco viene potato con cura per ottenere sei rami principali, disposti a raggiera, formando così un cespuglio basso e protetto;
  • la conca, periodicamente rimodellata, garantisce alla pianta il microclima ideale per resistere alle difficili condizioni naturali;
  • la vendemmia, che inizia a fine luglio, è svolta rigorosamente a mano ed è accompagnata da rituali comunitari che celebrano non solo il raccolto, ma anche la continuità di un sapere antico.

Pertanto l’Unesco ha voluto riconoscere in questa tradizione non solo il valore agricolo ed enologico ma anche il forte legame identitario della popolazione con la propria terra.

L’arte del Pizzaiuolo Napoletano

Nel 2017 l’arte del Pizzaiuolo napoletano è stata iscritta nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale. Il riconoscimento non è andato alla pizza napoletana come piatto, ma all’intero processo e alla maestria artigianale di chi la prepara.

Si tratta di un’arte che comprende la conoscenza degli ingredienti, la manualità nel manipolare l’impasto, il movimento per stenderlo, lo “schiaffo” e la cottura nel forno a legna.

Questa pratica non è solo una tecnica culinaria, ma anche un momento sociale che coinvolge comunità e generazioni, un vero e proprio rituale che si tramanda di padre in figlio. L’arte dei pizzaiuoli si compone di quattro fasi principali:

  • la preparazione dell’impasto;
  • la sua lavorazione;
  • la lievitazione;
  • la cottura nel forno a legna, caratterizzata dal tipico movimento rotatorio che permette una cottura uniforme.

È un patrimonio vivo, nato a Napoli, capitale della Campania, dove operano circa 3.000 pizzaioli che tengono viva questa tradizione. Il processo di creazione della pizza diventa così un simbolo identitario, che per questo va riconosciuto e tutelato.

Caccia e raccolta del tartufo

Nel 2021, l’Unesco ha iscritto nella lista la cerca e cavatura del tartufo in Italia. Anche in questo caso, il riconoscimento non riguarda il tartufo in sé, ma l’insieme delle conoscenze e delle pratiche ad esso connesse.

I protagonisti di questa tradizione sono i tartufai, veri custodi di un sapere tramandato oralmente di generazione in generazione. La pratica si articola in due momenti fondamentali:

  • la caccia, ossia l’individuazione delle zone dove cresce la pianta simbionte del tartufo;
  • la raccolta, che avviene grazie all’aiuto di cani appositamente addestrati.

Una volta individuato il punto esatto, il tartufaio utilizza un particolare attrezzo, la vanghetta, per estrarre il tartufo senza danneggiare il terreno e senza compromettere la capacità rigenerativa dell’ecosistema.

Si tratta di un’attività tradizionale che combina la conoscenza dei boschi e delle piante, l’addestramento del cane tartufaio e un forte legame con il territorio. La cerca del tartufo è un rituale antico, che si tramanda in famiglia e rappresenta un patrimonio di saperi e solidarietà.

L’impatto sull’economia

Le tradizioni culinarie italiane, attraverso questo tipo di riconoscimenti, acquisiscono un’importanza strategica per la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese e la sua proiezione a livello internazionale, offrendo nuove opportunità per diversi settori chiave per l’economia.

In primo luogo, con il turismo enogastronomico che ha visto un forte impulso negli ultimi anni, i viaggiatori sono sempre più alla ricerca di esperienze che possano coniugare l’arte culinaria con la scoperta di territori unici.

Il marchio Unesco rappresenta una garanzia di qualità in questo senso e, ovviamente, contribuisce ad attirare visitatori da tutto il mondo.

Inoltre, tutto questo contribuisce a sostenere il prestigio del Made in Italy, incrementando le esportazioni di prodotti agroalimentari e aumentando la competitività delle aziende italiane.

Di conseguenza, l’attrattiva internazionale di questi prodotti favorisce la creazione di alleanze commerciali e lo sviluppo di nuovi canali di distribuzione, con un conseguente aumento del valore economico delle eccellenze italiane e un impatto su occupazione e commercio.