Occupazione, la classifica delle lauree con cui si trova più lavoro

I corsi che hanno resistito meglio alla crisi globale secondo il rapporto 2022 di Almalaurea. Gli studenti si dicono soddisfatti, anche se persistono profonde differenze regionali, di genere e di qualità

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Redazione

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Arrivano notizie confortanti dal fronte dell’istruzione universitaria orientata alla ricerca di un lavoro. Secondo l’ultimo rapporto (2022) di Almalaurea su profilo e condizione occupazionale dei laureati, presentato a Bologna, i tassi di occupazione non solo ritornano ai livelli pre-Covid, ma li superano perfino.

Si parla di un tasso di impiego in forte incremento e di una grande attrattività internazionale. Nonché di una soddisfazione complessiva degli studenti che viaggia a livelli decisamente elevati (qui abbiamo parlato delle migliori università al mondo: ai primi posti anche un’italiana).

Quali sono le lauree con cui si trova lavoro

In cima alla lista delle migliori performance sul mercato del lavoro ci sono ben poche sorprese: Informatica e Ingegneria industriale primeggiano assieme al corso a ciclo unico di Medicina. Buone performance riguardano anche Architettura e i laureati in Economia, tutti nettamente sopra il 90% di tasso di occupazione a cinque anni dal conseguimento. Una situazione molto simile è segnalata anche per i laureati in discipline scientifiche, come Chimica e Fisica.

Le facoltà più in difficoltà, oltre a quelle letterarie e umanistiche, appaiono Psicologia e Giurisprudenza, a causa del numero massiccio (e crescente) di laureati. Il rapporto Almalaurea segnala anche una statistica “curiosa”: a un anno dal titolo, i figli dei laureati registrano una minor probabilità (-7,2%) di essere impiegati rispetto al membro della famiglia che ha raggiunto per primo il traguardo.

Dopo quanto tempo si trova lavoro

Il report di Almalaurea ha analizzato la situazione di 76 atenei per un totale di oltre 660mila laureati, focalizzandosi sui risultati raggiunti nel mercati del lavoro da chi ha conseguito un titolo universitario negli anni 2020, 2018 e 2016. I giovani presi in esame sono stati contattati rispettivamente a uno, a tre e a cinque anni dalla laurea (crisi demografica: quali Università rischiano la chiusura in Italia).

I dati sono senza dubbio positivi. Nel 2021 il tasso di occupazione è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 74,5% tra i laureati di primo livello e al 74,6% tra i laureati di secondo livello del 2020. Un tendenziale miglioramento si registra rispetto al 2019, per un +2,9% per i laureati di secondo livello. Per quelli di primo livello l’incremento è invece più modesto (+0,4%).

Anche a cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione è in aumento. Nel 2021 è pari a 89,6% per i laureati di primo livello e a 88,5% per quelli di secondo livello, mentre nel 2019 erano rispettivamente dell’88,7% e dell’86,8%.

Gli stipendi dei neo laureati

Per quanto riguarda la retribuzione mensile netta a un anno dal titolo, nel 2021 è pari in media a 1.340 euro per i laureati di primo livello e a 1.407 euro per i laureati di secondo livello. Rispetto ai risultati del 2019 si registra un aumento del 9,1% per i laureati di primo livello e del 7,7% per quelli di secondo livello.

Lo stipendio mensile netto a cinque anni dal titolo è invece pari a 1.554 euro per le triennali e a 1.635 euro per le magistrali, con una crescita rispetto al 2019 rispettivamente del +8,3% e del +7,3%.

La classifica dei più ricchi e dei più poveri

Se si volesse stilare una classifica dei laureati che guadagnano di più, in cima alla lista ci sarebbero sicuramente medici e farmacisti (1.898 euro netti al mese), seguiti da ingegneri industriali e informatici (1.851 euro). Un gradino sotto ci sono i laureati in Economia (1.706 euro), poi quelli in Architettura e Ingegneria civile (1.680 euro). Percepiscono in media ancora meno i laureati nelle discipline scientifiche (1.625 euro) e quelli in Giurisprudenza (1.619).

I più “poveri” invece sono educatori, operatori sociali, maestre d’asilo e delle elementari (per stipendi che oscillano fra i 1.300 e i 1.400 euro netti al mese). Seguono gli psicologi (1.331 euro) e i laureati in materie umanistiche (1.399).

I contratti

Il quadro generale evidenzia però anche una crescita del lavoro precario. A un anno dal titolo poco più di un laureato su quattro viene però assunto in via definitiva. La maggior parte è inquadrata come dipendente a tempo determinato: il 41,4% laureati di primo livello e il 38,5% di secondo. A tre anni dalla laurea i lavoratori precari sono quasi dimezzati (20-25%), mentre a cinque anni scendono ulteriormente (un dottore su sei).

Proprio in quest’ultimo gruppo, nel 2021 la forma contrattuale più diffusa è risultato il contratto alle dipendenze a tempo indeterminato, ottenuto da oltre la metà degli occupati (65,5% tra i laureati di primo livello e 55,8% tra quelli di secondo livello). Per quanto riguarda il lavoro autonomo la quota si attesta al 9,4% tra i laureati di primo livello e al 19,8% tra quelli di secondo livello.

Studenti universitari soddisfatti

L’indagine descrive poi una generale soddisfazione degli universitari per i diversi aspetti dell’esperienza di studio compiuta. Non mancano tuttavia picchi negativi, provocati dalla riduzione dei servizi subita durante la pandemia da Covid e dai sempre altissimi flussi migratori di ragazzi da Sud verso Nord.

A un anno dal conseguimento del titolo, oltre il 60% degli occupati (60,6% per i laureati di primo livello e 66,3% per i laureati di secondo livello) considera la laurea “molto efficace o efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro. Anche in questo caso parliamo di dati in aumento rispetto al rapporto del 2019, sia per i laureati di primo livello (+2,3%) sia per quelli di secondo livello (+4,9%).

L’altra faccia della medaglia: i dati negativi dell’Università italiana

Non è però tutto oro quello che luccica. L’Italia resta comunque la maglia nera in Europa, seconda sola alla Romania, per numero di giovani laureati. Non solo: il nostro Paese mostra un trend negativo in costante aumento negli ultimi sette anni, segnando un nuovo record di cui non andare fieri. Quest’anno per la prima volta le immatricolazioni registrano un calo notevole: il -3% su base nazionale e addirittura il -5% al Sud.

L’ultimo dato va però contestualizzato. Già da diversi anni gli atenei del Mezzogiorno perdono oltre un quarto dei ragazzi diplomati in istituti regionali che, terminate le superiori, decidono di iscriversi in università situate nel Centro-Nord. Una tendenza confermata dalla controtendenza degli atenei di Milano rispetto al dato nazionale: nella città meneghina anche quest’anno si è infatti registrato un aumento delle iscrizioni.

Parlando di disparità di genere, le donne rappresentano quasi il 60% del totale dei laureati italiani. Un bel dato, “sporcato” però da quelli sull’occupazione: a un anno dal titolo gli uomini hanno il 12,8% di probabilità in più di trovare lavoro. Ciò dipende in gran parte dai percorsi universitari scelti dalle donne: i più gettonati sono Scienze della formazione, Lettere, Lingue, Psicologia, Arte e Design. Le donne dominano però anche nel gruppo medico-sanitario (75,6%).