Sciopero del tessile a Prato, proteste contro gli abusi delle aziende cinesi

È cominciato uno sciopero a oltranza dei lavoratori di alcune aziende tessili della provincia di Prato spesso di proprietà cinese

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 7 Ottobre 2024 13:06Aggiornato: 7 Ottobre 2024 20:40

Nella giornata di domenica 6 ottobre è cominciato uno sciopero di tutto il personale di 5 aziende del distretto produttivo tessile di Prato. I lavoratori denunciato di essere costretti a turni da 12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana all’interno delle fabbriche, spesso di gestione cinese. I controlli sono insufficienti e le sanzioni troppo basse per costringere i proprietari a rispettare la legge.

Il tessile in Italia sta attraversando una crisi molto profonda, dovuta soprattutto al crollo delle vendite in alcuni mercati di riferimento, dalla Russia alla Cina fino al Medio Oriente. Alcune aziende, come dimostrato da alcuni recenti casi di cronaca, utilizzano lo sfruttamento dei lavoratori per tagliare i costi.

Lavoratori come schiavi: lo sciopero del tessile a Prato

Lo sciopero del distretto tessile di Prato è cominciato di domenica, il 6 ottobre. Inusuale per una mobilitazione sindacale iniziare in un giorno in cui le fabbriche sono normalmente chiuse, ma anche questo è un indicatore della situazione nelle industrie tessili della zona. A fermarsi, fino a che non avranno ottenuto minime garanzie e diritti, sono i lavoratori di 5 aziende, quasi tutte di proprietà cinese.

In maggioranza si tratta di persone provenienti dal Pakistan, spesso richiedenti asilo, che sono state assunte nelle industrie tessili pratesi proprio sfruttando la situazione di debolezza dovuta alla condizione di rifugiato. Lavorano circa 80 ore a settimana quando la legge italiana concede al massimo 40 ore ogni 7 giorni. Sono quasi sempre pagati in nero e, quando hanno un contratto, vengono costretti a restituire la tredicesima.

A organizzare lo sciopero è stato il sindacato Sudd Cobas Prato-Firenze, che ha anche denunciato la totale inefficacia delle misure prese dall’ispettorato del lavoro. Questo nonostante a Prato ci sia anche il distretto più ecosostenibile d’Europa, TIPO. Controlli rari e sanzioni irrisorie per il fatturato dell’azienda permettono a queste realtà di continuare a sfruttare i lavoratori, per superare un periodo di crisi molto intensa del settore tessile in Italia.

La crisi del tessile e lo sfruttamento dei lavoratori

Dal 2022 il tessile italiano, in particolare nel distretto di Prato, è in crisi. In meno di due anni la produzione industriale è calata del 25%, diverse aziende stanno chiudendo e quasi un lavoratore su 10 è in cassa integrazione. Le ragioni di questa crisi hanno radici profonde, ma è significativo che la situazione sia precipitata a partire dal 2022.

Alcuni dei mercati di riferimento dell’industria, come la Russia e la Cina, hanno drasticamente cambiato abitudini di acquisto sia per ragioni esterne, le sanzioni per la guerra in Ucraina, sia interne, una crescente diffidenza verso l’occidente spinta dal Partito comunista cinese e la politica Covid zero che ha rallentato l’economia di Pechino.

Ad aggiungersi a questi problemi è arrivata anche la concorrenza proprio dalla Cina di marchi di fast fashion come Temu e Shein, che offrono prodotti a bassissimo prezzo grazie a una strategia che prevede la spedizione diretta nei Paesi occidentali delle merci senza particolari strutture sul territorio, sfruttando il regime doganale “de minimis”.

Lo sfruttamento dei lavoratori nelle aziende tessili italiane, già denunciato negli anni scorsi anche prima della crisi, ha però raggiunto anche i marchi del lusso. Una recente inchiesta ha scoperto come alcuni degli articoli del marchio Dior prodotti in Italia fossero in realtà creati in laboratori di aziende terze dove decine di lavoratori, soprattutto cinesi, erano impiegati in condizioni di sfruttamento rasenti la schiavitù.