I permessi 104 vanno concordati con il datore di lavoro? Cosa dice la legge

Con l'ordinanza n. 5611 di pochi giorni fa, la Cassazione ha spiegato che l'uso dei permessi 104 non deve essere concordato con l'azienda, ma va comunicato. In mancanza, il licenziamento è però illegittimo

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 21 Marzo 2025 13:53

I permessi contenuti nella nota legge 104 rappresentano una delle più importanti conquiste per i lavoratori subordinati. Se oggi il novero dei diritti riconosciuti ai dipendenti è ampio e aderente al dettato della Costituzione e delle leggi che regolano i rapporti in ufficio, come lo Statuto dei lavoratori, il merito va anche al testo che disciplina l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità e dei loro familiari.

Recentemente la Corte di Cassazione è intervenuta in materia, ricordando che la comunicazione dell’utilizzo dei permessi è dovuta al datore di lavoro, ma non l’autorizzazione.

Più nel dettaglio, il dipendente che non rende tempestivamente nota la sua intenzione di assentarsi all’azienda, potrà subire conseguenze a livello disciplinare ma senza rischiare il posto di lavoro. In sintesi, il licenziamento in tronco è illegittimo se manca una previsione contrattuale in tal senso.

In considerazione dell’importanza generale di questi temi, vediamo insieme l’ordinanza n. 5611 della Cassazione dello scorso 3 marzo e facciamo chiarezza su che cosa cambia per la generalità dei lavoratori subordinati che vogliono usare un permesso 104.

Il caso concreto e la decisione del tribunale

L’iter giudiziario riguardava un dipendente di una Srl che, alcuni anni fa, ha dovuto fronteggiare la scelta del recesso unilaterale da parte dell’azienda datrice di lavoro. Egli fu infatti licenziato per assenza ingiustificata, una mancanza dall’ufficio non dovuta a negligenza o scarsa attitudine all’impegno professionale, ma a un utilizzo dei permessi 104 che l’azienda aveva ritenuto non consono, in quanto a modalità di esercizio. L’uomo peraltro si era assentato per più di una settimana.

In particolare il datore di lavoro:

  • contestò il fatto che non aveva previamente e formalmente comunicato all’azienda la volontà di non andare al lavoro per la cura di un familiare non autosufficiente;
  • equiparò il fatto a un’assenza arbitraria e ingiustificata, procedendo al licenziamento disciplinare.

Ne seguì l’impugnazione della decisione datoriale da parte dello stesso dipendente che, a sua difesa, sostenne la sproporzione della sanzione adottata e, anzi, di aver legittimamente sfruttato i permessi ex art. 33, comma 3, della legge 104/92. L’uomo in particolare affermò la legittimità dell’utilizzo dei 12 giorni aggiuntivi, a loro tempo previsti dal decreto Cura Italia (D.L. 18/2020) per la cura di un familiare disabile grave.

In primo grado il giudice del lavoro respinse però la tesi del dipendente licenziato, confermando la correttezza della decisione del licenziamento disciplinare, l’assenza di sproporzione tra condotta e sanzione e l’effettiva assenza arbitraria dal lavoro.

Il ragionamento della Corte d’Appello e l’esito del secondo grado

In secondo grado, l’esito è stato opposto. La Corte d’Appello, infatti, ha accolto l’impugnazione della sentenza di tribunale, annullando gli effetti del licenziamento e condannando la società alla reintegrazione del lavoratore e al risarcimento di 12 mensilità.

In particolare questo giudice ha sottolineato che i permessi 104 non abbisognano dell’ok dell’azienda – e quindi di una esplicita richiesta – ma soprattutto ha chiarito la questione relativa alla comunicazione degli stessi, che è costata il posto al dipendente:

  • la legge e il Ccnl applicato nel contesto in oggetto (settore autotrasporto merci e logistica) non dispongono specifiche modalità o tempistiche di comunicazione dell’utilizzo di tali agevolazioni, ossia non prevedono che la mancata comunicazione integri una grave violazione punibile con il licenziamento;
  • il dipendente era comunque tenuto a rendere nota la fruizione del beneficio al capo, in modo da assicurare la buona organizzazione aziendale e la continuità delle attività;
  • il mancato rispetto dell’obbligo non equivale a un’assenza ingiustificata, e quindi l’inerzia del dipendente non poteva giustificare un licenziamento disciplinare.

In particolare, per la Corte, il fatto che il contratto collettivo applicato non prevedesse l’equiparazione della mancata comunicazione all’assenza ingiustificata, ha escluso la legittimità del recesso unilaterale. Tanto più che tale equiparazione non era prevista neanche dalla legge.

Anzi, nella sua sentenza il giudice di merito ha fatto notare che la legittimità dell’assenza del dipendente era dovuta al fatto che l’utilizzo dei permessi fosse comunque deducibile da concreti elementi di prova, come il contatto e la discussione con l’azienda in merito all’utilizzo dei 12 giorni aggiuntivi, disposti dal decreto Cura Italia.

La decisione della Cassazione

Come è tipico del ruolo dei giudici di piazza Cavour, l’ordinanza n. 5611 non ha diversamente configurato i fatti di causa, ma ha semplicemente valutato la correttezza del ragionamento giuridico compiuto dai giudici dell’appello.

La Cassazione ha così confermato la bontà dell’esito del giudizio di secondo grado, rigettando il ricorso della Srl datrice e ribadendo in particolare che, pur non essendo richiesta un’autorizzazione ad hoc, la comunicazione dell’uso dei permessi 104 è un dovere che scaturisce dai principi generali di cui al Codice Civile.

In particolare anche l’obbligazione di lavoro, come le altre obbligazioni, va svolta con correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.) e va valutata in base al parametro della diligenza. Conseguentemente la citata comunicazione del ricorso ai permessi 104 aderisce a queste regole civilistiche, oltre che al comune buon senso.

Ma la non comunicazione non equivale all’assenza ingiustificata che consente il licenziamento. Permette di adottare, semmai, una sanzione meno grave. La Cassazione ha infatti rimarcato che la massima sanzione aziendale era scaturita dalla mancata comunicazione e non da un asserito inesistente diritto ai permessi 104 che anzi, ricorrendo i presupposti di legge, sono sempre dovuti. Di conseguenza la Corte ha confermato sia il risarcimento che il diritto al reintegro del lavoratore.

Che cosa cambia

L’esito di questa vicenda è importante perché la Cassazione, con l’ordinanza n. 5611, ha dato una serie di indicazioni applicabili a una pluralità di casi analoghi, in differenti settori e ambienti lavorativi.

La Corte sposa una linea “garantista” nell’interpretazione e applicazione della legge 104, peraltro in conformità a una giurisprudenza dello stesso tenore (anche in tema di spese personali e shopping).

Nel 2018 con la sentenza n. 119 la Corte d’Appello di Milano affermò che l’utilizzo dei permessi 104 è soltanto da comunicare con debito preavviso, tranne casi straordinari e imprevisti, per consentire all’azienda di organizzarsi. Nessun obbligo di concordarli, quindi.

In sostanza, se non ci sono disposizioni contrattuali specifiche su modalità e tempistiche di comunicazione, non è licenziabile chi ha diritto ai permessi 104 e li sfrutta, senza tempestivamente renderlo noto all’azienda in cui è stato assunto. La sanzione disciplinare è infatti del tutto sproporzionata.

Semmai, per evitare rischi di equivoci o intoppi organizzativi, il datore di lavoro potrà richiedere la compilazione di un modulo di domanda per usufruire dei permessi 104.