Tornano i voucher per il lavoro occasionale e stagionale. I buoni lavoro sono stati reintrodotti in Manovra con l’obiettivo di avere “uno strumento utile per regolarizzare il lavoro stagionale e quello occasionale” da accompagnare a “controlli molto rigidi” per “evitare storture”, ha detto il premier Giorgia Meloni presentando i contenuti della legge di Bilancio 2023.
Voucher lavoro reintrodotti in Manovra, la novità
I buoni lavoro potranno essere usati dal 1° gennaio 2023 in agricoltura, nel comparto horeca (cioè del settore alberghiero e di ristorazione) e della cura alla persona, in particolare per quanto riguarda i lavori domestici.
Avranno un valore nominale di 10 euro lordi all’ora, 7,50 euro netti, e un tetto di reddito per i lavoratori, fino a 10mila euro.
Si tratta di un tetto doppio rispetto a quanto previsto attualmente dalle norme introdotte con il Dl dignità che aveva fissato a 5mila euro, per le prestazioni occasionali rigidamente circoscritte, il reddito massimo per i lavoratori.
Voucher lavoro, cosa sono e come funzionano
I voucher lavoro, o buoni lavoro, sono un sistema di pagamento che i datori di lavoro possono usare i casi di lavoro accessorio, cioè svolto in modo discontinuo, al di fuori di un contratto di lavoro normale. I voucher sono esenti da tasse per chi li riceve come pagamento e li può avere anche chi è già in pensione (a meno che il governi cambi questa formula).
Il pagamento di contributi da parte dell’azienda è ridotto: nei rapporti di lavoro regolati con i voucher, c’è la copertura Inail per infortuni, ma non danno diritto a malattia, maternità, disoccupazione o altre forme di welfare lavorativo, quindi il pagamento di contributi da parte dell’azienda è ridotto.
Il datore di lavoro li acquista dall’Inps (in alcuni casi anche in tabaccheria, in banca o alle Poste) e ha un margine di tempo prestabilito per usare i voucher che ha acquistato per pagare un lavoratore. Il lavoratore autonomo occasionale può poi riscuotere i voucher dall’Inps. La cifra che gli viene pagata non è pari a 10 euro (che è il prezzo pagato dal datore di lavoro all’Inps) ma 7,50 euro. La differenza, che di solito è circa il 25% del totale, viene trattenuta per pagare principalmente le prestazioni contributive all’Inps, l’assicurazione Inail.
Quando sono nati i voucher lavoro
I buoni lavoro sono stati introdotti nel 2003 con la legge Biagi e negli anni la misura è cresciuta molto, fino a raggiungere utilizzi record dal 2008 al 2017: in 104 mesi infatti, ha calcolato l’Inps, furono venduti complessivamente 433 milioni di buoni lavoro.
Una valanga di buoni lavoro, esentasse e che non prevedevano a quel tempo nessun tetto di utilizzo a carico del datore di lavoro, duramente criticato da Cgil, Cisl e Uil per i quali gli ‘assegni’ mascheravano una forma di elusione ed erano in molti casi una forma di precariato estremo e povero.
Nel 2012, il governo Monti ha alzato la soglia dai 3mila euro iniziali a 5mila euro all’anno e ne ha allargato l’utilizzo a tutti i settori. L’idea era di agevolare le assunzioni regolari in specifici settori. Nel 2013, il governo Letta ha previsto che nel lavoro non dovesse essere per forza “di natura occasionale” per usare i buoni.
Una delle norme inserite nel Jobs act, la riforma del lavoro fatta dal governo Renzi, nel 2015 ha alzato la soglia annuale a 7mila euro all’anno e ha creato due tipi di voucher: uno per i lavori domestici, uno per le aziende. I buoni lavoro sono stati poi aboliti nel 2017 dal governo Gentiloni, che ha utilizzato altri strumenti per regolare il lavoro occasionale.
Nel 2018, il decreto Dignità del primo governo Conte ha infine previsto una forma ridotta di voucher, utilizzabili nei settori agricolo e turistico solo dalle piccole aziende (non più di 8 dipendenti).