In un solido rapporto di lavoro il dipendente svolge con tempestività e diligenza le mansioni di cui al suo contratto, e con la stessa prontezza ricorda di dare al proprio capo tutte le comunicazioni utili alla buona organizzazione e alla produttività aziendale. Questo vale anche per l’obbligo di certificato medico che, se non convalidato in tempo, rischia di far perdere il posto.
Lo ha spiegato la Cassazione con una decisione dello scorso 22 maggio: il lavoratore che non si attiva puntualmente, comunicando la sua assenza dall’ufficio per motivi di salute, può essere licenziato per questa negligenza.
Vediamo più da vicino il caso concreto che ha portato alla pronuncia, perché molto più frequente di quanto si possa pensare, e chiariamo come comunicare il certificato necessario a giustificare l’assenza.
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Il caso della dipendente licenziata per il ritardo
A causa di motivi di salute, una donna era stata improvvisamente assente dal lavoro per cinque giorni, avvisando il datore con certificato medico in evidente ritardo. L’azienda decise così di infliggergli il licenziamento per giusta causa per il venir meno della fiducia.
Ma la dipendente, ritenendo di essere nel giusto e di non dover subire la massima sanzione disciplinare per una mera dimenticanza o distrazione, non si diede per vinta e si rivolse alla magistratura per invalidare il recesso unilaterale e ottenere un congruo ristoro.
Nei primi due gradi di merito, gli esiti non le sono stati però favorevoli, perché sia il tribunale che la corte d’appello hanno valutato attentamente le prove offerte dall’azienda, elementi che hanno inchiodato la donna alle sue responsabilità.
Combinata alla palese violazione dei doveri di comunicazione, la prolungata assenza ingiustificata, oggi in generale sanzionata con le nuove dimissioni per fatti concludenti, non consentiva al datore di lavoro di proseguire il rapporto.
D’altronde è lo stesso Codice Civile, all’art. 2104, a sottolineare che il dipendente deve sempre usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione per cui è stato assunto e dall’interesse dell’impresa.
L’onere della prova spetta all’azienda?
Nella convinzione di aver subito decisioni sproporzionate rispetto alla sua effettiva negligenza, la donna ha proseguito la disputa giudiziaria con il ricorso in Cassazione che, però, si è concluso anch’esso negativamente con la dichiarazione di inammissibilità dell’atto.
Ciò che è maggiormente interessante della pronuncia del 22 maggio non è tanto l’esito stesso della controversia, che era già stato “prefigurato” nei precedenti gradi di giudizio, ma le precisazioni offerte dai giudici di piazza Cavour sull’onere della prova in tema di obblighi di comportamento e conseguenze disciplinari delle violazioni.
In sostanza, per la Corte se la giusta causa del licenziamento è da rintracciarsi nell’assenza ingiustificata, all’azienda è sufficiente dimostrare l’effettività dell’assenza, ossia che il lavoratore o la lavoratrice non sia andata in ufficio per un certo numero di giorni e senza far sapere nulla.
Il datore di lavoro può produrre in tribunale i registri di presenza elettronici o cartacei (badge, timbrature, software di rilevazione presenze) che dimostrano l’assenza del dipendente nei giorni contestati.
In sostanza, l’assenza di timbrature o la mancata registrazione in entrata e in uscita sono certamente prove documentali valide.
Questo è il caso, ad esempio, del dipendente che risulta assente dal 10 al 15 maggio, senza alcuna timbratura o giustificazione inserita nel sistema. L’ufficio HR stampa il report giornaliero che lo dimostra e fornisce all’azienda il materiale utile a giustificare il licenziamento disciplinare.
Ma si pensi anche al differente esempio delle comunicazioni aziendali inevase.
Se nei giorni dell’assenza il datore di lavoro o il responsabile del reparto ha inviato comunicazioni ufficiali al lavoratore (ad esempio Pec, e-mail, messaggi tramite app aziendali) chiedendo spiegazioni sull’assenza e queste sono rimaste senza risposta, il silenzio rafforza la prova dell’ingiustificata assenza.
Conseguentemente le comunicazioni senza risposta potranno essere prodotte in udienza a dimostrare l’assenza non giustificata.
Cosa deve provare il dipendente per giustificare l’assenza
Invece, spiega la Cassazione, è compito di chi è stato licenziato provare che l’assenza era giustificata e, in conformità alle regole vigenti, che l’eventuale ritardo nella comunicazione o nell’invio della documentazione era dovuto a un motivo a lui non imputabile, ossia a un ostacolo oggettivo che gli ha reso impossibile avvisare subito l’azienda.
Si pensi ad esempio al caso del ricovero ospedaliero d’urgenza e alla conseguente impossibilità materiale a comunicare con il datore.
Se il lavoratore è stato colto da un malore improvviso ed è stato ricoverato d’urgenza (in Pronto Soccorso o reparto intensivo), per giustificare l’assenza potrà mostrare in giudizio la certificazione sanitaria emessa dal personale medico dell’ospedale, che attesti sia la patologia, sia le condizioni di urgenza e la totale impossibilità di comunicare con l’esterno.
Ma è anche la situazione, non infrequente, di chi abbia subito un incidente stradale con ricovero lontano dalla sua residenza, senza poteri aver accesso alla rete, a Sim funzionanti o a dispositivi informatici. Egli analogamente potrà dimostrare di non aver potuto contattare l’azienda per ragioni di emergenza.
In ambo i casi è essenziale però che il lavoratore porti con sé una documentazione ufficiale, possibilmente rilasciata da enti terzi (ospedali, medici, soccorritori), che comprovi la non intenzionalità e l’impossibilità concreta di avvisare il datore nei tempi previsti.
Nel caso specifico analizzato dalla Cassazione con la pronuncia del 22 maggio scorso, non è emerso alcun elemento che provasse l’effettiva impossibilità della donna di comunicare la propria assenza fin dal primo giorno.
Cosa devono sapere i lavoratori per non rischiare il posto
La decisione della Cassazione sottolinea l’importanza di rispettare sempre, e con tempestività, gli obblighi di buona fede, correttezza e diligenza non solo nello svolgimento del lavoro, ma anche nelle comunicazioni utili alla buona organizzazione aziendale o alla sostituzione del personale in caso di assenza.
Infatti, la comunicazione tempestiva del problema di salute, anche con un messaggio provvisorio se non si ha ancora il certificato medico, è un dovere giuridico, non soltanto una buona prassi.
Ecco perché violare il dovere di tempestiva comunicazione dell’assenza per malattia può costare il posto.
Entro un paio di giorni il certificato medico va inviato telematicamente, perciò anche un solo giorno di silenzio ingiustificato può essere considerato grave, soprattutto nelle piccole o medie imprese dove l’affidabilità del dipendente è centrale per la buona organizzazione.
Concludendo, per avere piena certezza sulle modalità di comunicazione della propria assenza per malattia, è sempre preferibile fare riferimento al Ccnl di appartenenza e alle regole aziendali.