Licenziamento via e-mail non valido, scatta il risarcimento o il reintegro

Il licenziamento via e-mail non è valido se manca la firma ed è inviato a un indirizzo ordinario non fornito dal dipendente: la sentenza

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 15 Ottobre 2025 16:02

Con una interessante sentenza di qualche settimana fa, i giudici hanno chiarito perché un licenziamento via e-mail può essere invalido e determinare il ritorno sul posto di lavoro. Vista l’estrema diffusione degli strumenti digitali di comunicazione tra azienda e lavoratori, il tema è sicuramente di attualità. E lo è maggior ragione se consideriamo anche che il licenziamento via raccomandata con ricevuta di ritorno potrebbe essere difficoltoso nel caso del dipendente irreperibile.

Facendo riferimento a una costante giurisprudenza, la sentenza n. 469 del tribunale di Pavia ribadisce che ogni datore di lavoro deve prestare la massima attenzione alle regole vigenti, per evitare di infliggere licenziamenti poi facilmente contestabili di fronte al giudice del lavoro.

Il caso del licenziamento in tribunale

Nel caso specifico, un dipendente con qualifica di operaio era stato assunto con contratto a tempo indeterminato con un orario di 40 ore settimanali. Alcuni anni dopo l’uomo era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo, quindi non a causa del suo comportamento ma per le difficoltà concrete dell’impresa datrice.

Come emerso dai fatti di causa, quest’ultima si era trovata costretta a cessare l’attività e, alla data del recesso unilaterale, era in stato di liquidazione giudiziale e in chiare difficoltà a far fronte ai suoi debiti.

Il dipendente scelse di impugnare la decisione aziendale perché la lettera non era stata sottoscritta dal datore di lavoro e, per giunta, era stata inviata a un indirizzo di posta elettronica ordinario non riferibile a lui o comunque non concordato in precedenza.

Come comunicare il recesso: il chiarimento

Riconoscendo le ragioni del lavoratore, la sentenza del giudice di Pavia si incardina in un quadro normativo e giurisprudenziale ben consolidato, che richiede sempre il rispetto di precise condizioni. Al contempo, la sentenza ha l’utilità di chiarire ulteriormente i limiti di validità legati ai nuovi strumenti digitali.

Ecco perché, nel citato provvedimento, il tribunale ricorda che il licenziamento è un atto unilaterale perché lo decide solo il datore di lavoro ed è ricettizio, perché vale solo dal momento in cui il dipendente ne viene a conoscenza.

In base alla legge sui licenziamenti individuali del 1966, esige la comunicazione in forma scritta, tanto che la sua mancanza determina l’invalidità del recesso stesso, a prescindere dal fatto che il lavoratore ne abbia comunque avuto conoscenza.

E si badi bene: non è un requisito meramente procedurale e quindi utile soltanto a dimostrare l’esistenza dell’atto, ma vincolante per l’azienda.

Il legislatore vuole che il licenziamento sia sempre scritto e firmato. Pur consentendo il ricorso a strumenti informatici per la comunicazione del recesso, la magistratura tiene a precisare che queste modalità debbono pur sempre dare garanzie di paternità e ricezione dell’atto.

Quando il licenziamento non è valido

Non sorprende allora che il giudice pavese abbia sottolineato che la comunicazione via e-mail all’indirizzo di posta elettronica di un dipendente non integra il requisito della forma scritta se:

  • è senza la firma del datore di lavoro (o del suo rappresentante che ne abbia il potere generale o specifica procura scritta);
  • manca la prova, da parte dell’azienda, di un accordo tra le parti sull’utilizzabilità di questo canale per le comunicazioni formali (sul punto Cass. 7480/2025).

Un licenziamento inflitto con queste modalità non risponde ai requisiti di legge. Perciò è da considerarsi inefficace, proprio come lo è un licenziamento orale. Nel caso concreto, inoltre, la comunicazione era giunta a un indirizzo di posta elettronica ordinario non riferibile al dipendente, violando ulteriormente la legge.

Le tutele per il lavoratore ingiustamente licenziato

Non solo. In casi come questo, per il datore di lavoro il recesso si rivela una sorta di boomerang, perché, come confermato dal tribunale, il lavoratore che impugna il licenziamento via e-mail può ottenere la tutela reintegratoria piena come previsto dal d. lgs. 23/2015.

In linea generale, quest’ultima determina:

  • il ritorno sul posto di lavoro;
  • la condanna dell’azienda al risarcimento del danno, commisurato a tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione;
  • il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo.

Come indicato nella sentenza, il ricorrente, al posto della reintegra nell’azienza, ha chiesto l’indennità sostitutiva prevista dalla legge come alternativa e, conseguentemente, il rapporto di lavoro è stato dichiarato risolto e terminato dal giudice.

Che cosa cambia per i lavoratori licenziati

Come è noto, quello dei licenziamenti è sempre un tema spinoso per le aziende (che non a caso preferirebbero le dimissioni).

Ma, al di là dei dettagli del caso concreto, il tribunale di Pavia ha ribadito un principio fondamentale: la forma scritta del licenziamento non è una mera formalità, ma una garanzia di certezza probatoria.

In altre parole, la legge richiede che il licenziamento sia redatto in questa maniera per assicurare la prova certa del fatto e l’identità del mittente. Inoltre, ogni atto deve sempre indicare le ragioni alla base del recesso per giustificato motivo oggettivo o soggettivo.

Di conseguenza, un’e-mail di licenziamento priva di sottoscrizione non soddisfa il requisito legale. Senza firma, infatti, non è possibile accertare in maniera certa chi abbia inviato l’atto né la validità del contenuto.

La sentenza sottolinea così che la forma scritta tutela sia il lavoratore sotto contratto sia l’azienda, garantendo che l’atto possa essere provato in modo inequivocabile in caso di contestazione.

In assenza di questa modalità di comunicazione, il licenziamento è inefficace anche se il dipendente lo riceve o è a conoscenza dell’intenzione del datore di lavoro.

D’altronde, se fosse sufficiente una comunicazione verbale o una semplice e-mail senza firma, il datore avrebbe un margine di discrezionalità troppo ampio, e il lavoratore non sarebbe adeguatamente tutelato. Per questa via, invece, è possibile far annullare il licenziamento e ottenere sia il reintegro sia il risarcimento.