Basta dare un’occhiata alle pagine del sito web ufficiale di Inps, per rendersi conto della pluralità di servizi che l’istituto offre a cittadini, lavoratori e pensionati. Per legge, questo ente pubblico assicura supporto economico alle persone più fragili, garantisce le prestazioni previdenziali e di sostegno al reddito – in caso di sospensione del rapporto lavorativo – e versa indennità previste in specifici casi.
Proprio quest’ultima attività è recentemente finita nel mirino dei giudici, in una causa che sicuramente offre alcuni spunti di riflessione e suggerisce che gli eredi sono comunque tutelati, anche di fronte alle pretese risarcitorie di Inps stesso. In particolare la Corte dei conti ha recentemente stabilito che, in alcune circostanze, se una persona anziana – poi deceduta – percepisce più soldi di quelli dovuti dall’istituto, gli eredi non saranno gravati dall’obbligo di risarcire quest’ultimo.
Vediamo più da vicino l’interessante caso pratico e scopriamo i motivi della decisione della magistratura contabile.
Indice
La vicenda e la richiesta di 9mila euro da parte di Inps
La controversia che qui interessa ha riguardato Inps e gli eredi di una titolare di pensione che, dal 2012 al 2014, aveva intascato circa 14mila euro relativi ad una indennità integrativa speciale, in verità non spettante. Nei suoi ultimi anni di vita, l’anziana aveva già iniziato a restituire all’istituto il denaro non dovuto – tramite il meccanismo della rateizzazione per trattenute mensili.
Non le è bastato però il tempo a disposizione per ripagare Inps e adempiere integralmente al suo obbligo: nel 2019 il decesso ha portato l’istituto a cercare di rivalersi su un erede, per la parte di debito non ancora saldata.
Ricordiamo peraltro che, nel diritto civile, c’è un principio generale per cui gli eredi che diventano tali, divengono anche obbligati a pagare eventuali debiti non saldati da parte della persona deceduta – seppur con specifiche modalità e limiti.
L’istituto chiedeva indietro all’uomo circa 9mila euro di indennità non dovuta, ma proprio questa richiesta ha spinto l’erede ad un confronto giudiziario con l’istituto di previdenza, poi sfociato nel provvedimento della Corte dei conti che qui interessa.
La decisione della Corte dei conti dà ragione all’erede
La disputa, come accennato, è finita alla Corte dei conti perché quest’ultima è un organo con ampie competenze e funzioni sia di controllo sia giurisdizionali, principalmente in materia di contabilità pubblica e gestione delle risorse pubbliche.
E proprio la magistratura contabile ha recentemente rimarcato che l’erede non è tenuto a versare alcuna somma all’Inps. In particolare, la Corte ha accolto uno dei punti chiave del ricorso di chi ha ottenuto l’eredità dell’anziana donna, affermando che la legge – in verità – dispone una deroga al principio generale della ripetibilità dell’indebito.
Se infatti l’erede beneficia di quelli che furono gli averi del de cuius, anche ne deve sopportare i debiti pendenti, ma – nel caso affrontato e riguardante l’Inps – vale una specifica eccezione. Infatti la Corte dei Conti nella sua sentenza ha spiegato che:
- se a seguito del provvedimento Inps poi revocato o modificato, sono state riscosse rate di pensione non dovute, non ci sarà alcun recupero delle somme versate;
- tranne il caso in cui la revoca o la modifica siano state disposte dopo aver accertato un fatto doloso dell’interessato.
Nel caso affrontato qui, è vero che Inps – in teoria – avrebbe potuto avere il diritto alla restituzione dell’indennità speciale non spettante, ma – alla luce dei fatti emersi nel corso della disputa giudiziaria – la Corte dei conti ha rilevato che:
- la pensionata deceduta non sapeva di aver beneficiato di somme non dovute;
- quando l’istituto ha chiesto indietro i soldi, la donna ha cominciato a restituirli in modo spontaneo e senza fare alcuna opposizione.
Un comportamento che prova la sua buona fede e, quindi, l’assenza di dolo – intendendosi con quest’ultimo la volontà di commettere un illecito per ottenere, ingiustamente, una somma non spettante.
Ecco perché, nel testo della sentenza della Corte, si trova scritto che:
il recupero non si estende agli eredi del pensionato, salvo che si accerti il dolo del pensionato medesimo. Si rileva che sul punto relativo alla sussistenza di un comportamento doloso del pensionato percipiente non risultano formulate censure da parte dell’Istituto previdenziale.
Lo stesso istituto – perciò – non aveva accusato la donna di una condotta non conforme alla buona fede e, insieme a quanto emerso nella controversia, tanto è bastato a escludere l’obbligo di restituzione dei soldi da parte dell’erede.
Che cosa cambia e un precedente simile
L’attività di controllo della Corte dei conti garantisce la corretta gestione della spesa pubblica. Ben si comprende allora il perché del suo coinvolgimento in questa vicenda, che avrebbe potuto costare assai caro all’erede dell’anziana donna.
Come abbiamo visto, le pretese risarcitorie di Inps si sono “risolte” in un buco nell’acqua, nulla potendo l’istituto contro la decisione di un organo che – ai sensi dell’art. 103 della Costituzione – si occupa anche di pensioni e previdenza e ha quindi la competenza per giudicare su simili controversie. In sostanza, la sentenza cambia la posizione dell’erede, volgendola in modo favorevole: se l’Inps – in origine – aveva sbagliato, all’erede non spetta di far fronte all’errore con le sue finanze.
A ben vedere questa vicenda ricorda una non molto diversa, giudicata nuovamente dalla Corte dei conti qualche anno fa. In quella vicenda, per calcoli errati nella pensione, Inps aveva chiesto indietro poco più di 2mila euro agli eredi – a titolo di importi del trattamento di reversibilità non dovuti – ma la magistratura contabile aveva negato il diritto dell’ente alla restituzione.
Anche allora, a fare la differenza è stato l’affidamento in buona fede sulla legittima erogazione da parte di Inps alla pensionata, poi deceduta.
Concludendo, quindi se in linea generale manca la prova del dolo da parte di chi incassa la somma, nulla è dovuto all’istituto di previdenza. Quindi il percorso giudiziario è assai raccomandato in circostanze come quelle viste sopra.