Doppio lavoro part time, l’azienda può vietarlo? La risposta della Cassazione

I contratti di lavoro part time - e stagionali - sono diffusissimi, specie d'estate. Diritti e doveri di lavoratori e aziende e una interessante sentenza della Suprema Corte

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Il lavoro dà dignità a chi lo svolge e permette di incassare un reddito utile alle proprie esigenze di vita e a quelle della propria famiglia. Non sempre, però, ha caratteristiche tali da assicurare un compenso sufficiente a tutte le spese quotidiane, considerato anche il carovita e l’incognita inflazione. Così, tra costi del cibo e delle bollette, spese per fare il pieno di benzina, uscite per le necessità dei figli (scuola, abbigliamento ecc.) o eventuali rate del mutuo da pagare, può ben succedere che un lavoro part time, orizzontale o verticale, non basti. In casi come questi il lavoratore si guarda attorno, alla ricerca di una nuova occasione con cui integrare le entrate mensili e far respirare il bilancio familiare.

Specie d’estate, con i lavori stagionali, numerosi dipendenti assenti per ferie e i picchi di lavoro in alcune attività, le opportunità di firmare un secondo contratto di lavoro part time aumentano. In riferimento a ciò, l’azienda o datore di lavoro del primo contratto può mettere il bastone tra le ruote al suo lavoratore subordinato e impedirgli di svolgere un secondo lavoro per arrotondare? Possono le asserite necessità aziendali bloccare la libera iniziativa di chi cerca di svolgere un secondo lavoro – anche a tempo determinato – per guadagnare di più?

La risposta è contenuta in una sentenza della Cassazione di alcuni anni fa, ma tuttora costituente un importantissimo orientamento per casi pratici analoghi. Vediamo insieme che cosa ha stabilito.

Due contratti full time o part time allo stesso tempo, è possibile?

Nella vicenda che qui interessa – e di cui tra poco diremo – si trattava di contratti part time, ma parlando della possibilità di più rapporti di lavoro nello stesso tempo cogliamo l’occasione per ribadire che – per legge – non si possono svolgere due distinti lavori a tempo pieno contemporaneamente, visto che – tra un turno e l’altro – deve passare un numero minimo di ore consecutive, pari a undici (d. lgs. n. 66 del 2003). Esse sono destinate al riposo e al recupero delle energie psicofisiche (art. 36 comma 2 Cost.) e, pertanto, il legislatore intende tale pausa come obbligatoria e irrinunciabile.

Conseguentemente, e in linea generale, la durata massima dell’orario di lavoro giornaliero corrisponde a  13 ore, pur sempre però nel rispetto dell’orario massimo settimanale di lavoro.

Se questo è il dato della legge, si può facilmente intuire che non vi sono limiti di fondo alla stipula di due contratti di lavoro secondo le regole del part time, a patto che:

  • ne sia data comunicazione ai rispettivi datori;
  • che la seconda attività non sia in concorrenza con la prima (art. 2105 Codice Civile).

Il dipendente dovrebbe però sempre avvertire l’azienda o datore di lavoro della seconda attività, per chiarezza e trasparenza tra le parti del rapporto e per evitare situazioni potenzialmente ambigue. Anzi, così facendo si riduce il rischio di essere licenziati per giusta causa per aver violato l’obbligo di fedeltà.

La vicenda

Nel caso che qui interessa e su cui si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 13196 del 2017, che fa giurisprudenza, un dipendente a tempo parziale di un patronato era stato licenziato perché svolgeva un secondo lavoro. La motivazione del licenziamento dal punto di vista datoriale era insita nella policy aziendale, ossia nel regolamento interno che – tra i divieti – all’art. 10 aprioristicamente includeva anche quello di intrattenere qualsiasi altro rapporto di lavoro.

Nel testo del regolamento infatti si leggeva che la qualità di dipendente del patronato era incompatibile con:

  • qualsiasi altro impiego sia pubblico che privato;
  • qualsiasi altra occupazione o attività non ritenuta conciliabile con i doveri d’ufficio e con il decoro dell’ente.

Nel secondo grado di giudizio il lavoratore part time aveva ricevuto una pronuncia sfavorevole. In appello il giudice aveva confermato la correttezza del recesso per giusta causa, giungendo a conclusioni poi però ‘smontate’ dal giudice di legittimità. Il dipendente, evidentemente non soddisfatto dell’esito dell’iter giudiziario fino a quel momento, aveva infatti scelto l’ulteriore carta del ricorso in Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

Come accennato a Roma la situazione si è ribaltata. In sintesi nella sentenza n. 13196 la Cassazione ha infatti stabilito che non era stata provata l’incompatibilità effettiva della seconda attività di lavoro part time e non sussistevano accuse di sviamento della clientela o attività concorrenziale, tali da violare l’art. 2105 Codice Civile sull’obbligo di fedeltà.

Pertanto non erano emersi danni all’attività del primo datore di lavoro, derivanti dallo svolgimento di un’altra occupazione da parte del licenziato.

In sostanza, per la Cassazione l’eventuale incompatibilità tra i due lavori part time deve essere appurata caso per caso, e non può basarsi sulla mera e asserita violazione di un articolo del regolamento interno o policy aziendale.

Perciò:

  • l’azienda non può disporre, ‘alla fonte’ e a priori, un divieto a un secondo contratto a tempo parziale senza prima appurare se questo è davvero in concorrenza con il primo, violando l’obbligo di fedeltà (art. 2105 Codice Civile);
  • il datore di lavoro non può sanzionare il dipendente per il mero fatto di avere un altro lavoro al di fuori dell’orario lavorativo, e men che meno potrà farlo con il licenziamento.

Soltanto se dalla condotta del dipendente emergerà una violazione, sarà possibile sanzionarlo disciplinarmente così come previsto dagli artt. 2106 e 2119 Codice Civile. E, in caso di contestazione, sarà il giudice ad avere l’ultima parola, il potere, e le conoscenze, per chiarire una possibile incompatibilità tra due lavori part time. Egli si atterrà alle regole generali dell’ordinamento e, come in questa circostanza in cui la sentenza impugnata è stata cassata, potrà dichiarare l’illegittimità del licenziamento.

Conclusioni

Un datore di lavoro non può vietare o impedire ai dipendenti part-time di avere un altro impiego, a meno che non vi sia una specifica incompatibilità tra i due lavori. Essa deve essere provata e accertata.

La sentenza della Cassazione rimarca infatti che l’azienda, o datore di lavoro, non possiede un potere libero e incondizionato di circoscrivere, limitare o impedire le attività lavorative – secondarie e ulteriori – dei dipendenti part-time. In caso di controversia, sarà il controllo del giudice – come in questo caso – a garantire il rispetto del diritto al lavoro e la corretta applicazione delle clausole contrattuali.

Inoltre, solo se intesa come divieto dell’esercizio di seconda attività perché incompatibile con i doveri d’ufficio, la norma del regolamento aziendale sarà compatibile con il dettato della Costituzione, evitando quindi scelte arbitrarie del datore di lavoro. Egli, altrimenti, potrebbe discrezionalmente incidere sul diritto al lavoro e su un secondo reddito del suo dipendente part time.

Tale divieto non può essere stabilito nella policy aziendale in quanto contrasta con il principio, difeso anche a livello comunitario, per cui il lavoratore ha la piena disponibilità del proprio tempo libero dall’occupazione lavorativa.