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Come viene disciplinato il trasferimento del lavoratore?

Chiariamo come viene disciplinato tale trasferimento

Fisco 7Il trasferimento individuale consiste nello spostamento definitivo del lavoratore ad un’altra unità produttiva dell’azienda, situata in luogo diverso da quello di provenienza e caratterizzata da una certa autonomia funzionale. Chiariamo come viene disciplinato tale trasferimento.

L’art. 2103 del Codice Civile stabilisce che il lavoratore può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra solo sulla base di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Chiariamo meglio il significato dei termini utilizzati dall’art. 2103.

Per “unità produttiva” si intende ogni articolazione autonoma dell’azienda, dotata di capacità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa medesima. Pertanto, come sopra specificato, la nuova sede oggetto del trasferimento del lavoratore non deve essere interamente strumentale o ausiliaria rispetto ai fini dell’impresa o ad una sua frazione di attività.

Inoltre, il datore di lavoro ha l’obbligo di provare che il trasferimento del lavoratore è stato determinato da motivi tecnici, organizzativi e produttivi.

È vero che il datore di lavoro può variare unilateralmente in via definitiva il luogo della prestazione lavorativa del dipendente. Tuttavia, in caso di impugnazione da parte del lavoratore, il trasferimento può essere sottoposto a controllo giudiziale, con l’obiettivo di accertare le ragioni che hanno determinato il trasferimento del lavoratore e il rapporto di causalità tra tali ragioni e il provvedimento di trasferimento.

Nel caso in cui siano stati violati i requisiti citati nell’art. 2103 del Codice Civile, il trasferimento sarà considerato nullo e il datore di lavoro dovrà riassegnare il lavoratore alla precedente sede, salvo il diritto al risarcimento dell’eventuale danno.

Ai fini della valutazione della legittimità del trasferimento, è bene ricordare che il controllo giudiziale non può entrare nel merito dell’opportunità delle scelte effettuate dall’imprenditore. Quest’ultimo, infatti, gode di un potere organizzativo discrezionale nella scelta delle proprie strategie, pur sempre nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede e della tutela degli interessi del lavoratore.

Sempre per quanto riguarda il controllo sulla legittimità del trasferimento del lavoratore, si precisa che le reali esigenze tecniche, organizzative e produttive prevalgono sulle condizioni dei singoli soggetti. Ciò significa che, nella valutazione della correttezza del trasferimento, non sono decisive le situazioni soggettive che il lavoratore eventualmente indica come ostacolo a trasferire la propria sede di lavoro, poiché le condizioni “personali” del lavoratore sono estranee al rapporto contrattuale con l’imprenditore. Sono fatte salve le previsioni di particolari normative (ad esempio, la L. n. 104/1992) o della contrattazione collettiva nazionale di lavoro.

Va ricordato, infine, che il trasferimento del lavoratore non è adottabile di norma come sanzione disciplinare. Tuttavia, se il lavoratore ha tenuto una condotta negativa e il suo comportamento ha avuto conseguenze di oggettiva disfunzione sull’organizzazione, il trasferimento è legittimamente disposto in quanto scelta del datore di lavoro di organizzare il proprio assetto produttivo, soddisfacendo la condizione di esistenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” richieste dall’ art. 2103 del Codice Civile.

In generale, nel caso di trasferimento del lavoratore, occorre sempre tenere conto non solo delle previsioni “quadro” della norma ma anche delle disposizioni di dettaglio della contrattazione collettiva nazionale di lavoro (che possono prevedere, ad esempio, il rispetto di un termine di preavviso nella comunicazione del provvedimento).

Stefano Carotti – Centro Studi CGN

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