Perché l’anticipo TFR mensile in busta paga è vietato dalla legge

Scopri perché l’anticipo mensile del TFR in busta paga è illegale, cosa dice la Cassazione nella sentenza n. 13525/2025 e quali rischi corrono aziende e lavoratori

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 22 Giugno 2025 16:07

Come è noto, l’anticipazione del TFR – il Trattamento di Fine Rapporto – è prevista dalla legge e consiste nella possibilità per i dipendenti di ricevere in anticipo una porzione di quanto spetterebbe loro, alla fine dell’esperienza lavorativa. In linea generale, infatti, il trattamento viene accantonato via via nel tempo e matura proporzionalmente all’anzianità di servizio.

Questo anticipo scatta a fronte di esigenze immediate e nel rispetto di precisi limiti quantitativi e, come recentemente chiarito dalla Cassazione con la sentenza n. 13525, non può essere versato mensilmente in busta paga. L’azienda che si accorda discrezionalmente con il lavoratore in questo senso, oltrepassa i confini di legge e va incontro a conseguenze ben precise.

Vediamo allora la vicenda e la decisione della Corte e spieghiamo perché i giudici hanno offerto chiarimenti utili per tutti i rapporti di lavoro subordinato.

Il patto sull’anticipo TFR tra azienda e lavoratori e la contestazione dell’Inps

Nel caso giunto all’attenzione dei giudici di piazza Cavour, ai sensi dell’art. 2120 Codice Civile, un’azienda e i suoi dipendenti avevano fatto un accordo contrattuale con cui si stabiliva il versamento dell‘anticipo TFR nello stipendio. In termini pratici, l’anticipo diveniva compenso corrente e slegato da una specifica causale, proprio perché mensile.

La prassi, che durava da anni,  fu segnalata dall’Inps alla magistratura e, infatti, come ricordato dalla Cassazione nella sentenza che qui interessa, la disputa nacque da un verbale di accertamento emesso dall’ente previdenziale nei confronti della società.

In particolare Inps evidenziava l’obbligo di versare i contributi sulle somme versate mensilmente a titolo di anticipo TFR. Ma per l’istituto trattamento anticipato non era perché, appunto, corrisposte in modo continuativo e senza una causa specifica. Per questo andavano parificate all’ordinaria retribuzione mensile, con conseguente obbligo contributivo-previdenziale ricadente sul datore di lavoro.

In giudizio la corte d’appello valutò legittima l’anticipazione in oggetto e valorizzò l’accordo inserito nel contratto di lavoro, sostenendo che l’autonomia negoziale privata permette di pattuire un regime di anticipazione TFR più favorevole per le parti rispetto a quello legale standard. Ma presso i giudici di piazza Cavour le cose andarono diversamente.

L’anticipo TFR non può mai essere mensile altrimenti vìola la legge

Inps proseguì la disputa in Cassazione, continuando a sostenere che l’anticipo TFR non può essere ammesso mensilmente in via ordinaria, neanche invocando le condizioni di maggior favore di cui all’art. 2120 Codice Civile, e che – quindi – quelle somme erano da riqualificare come retribuzione da sottoporre a obblighi previdenziali.

In effetti la Corte diede ragione all’istituto, accertando la suddetta prassi e ricordando che l’anticipo deve sempre rispettare i rigorosi presupposti indicati dal Codice Civile, ossia:

  • la necessità di causali specifiche, straordinarie e non rinviabili (ad es. spese sanitarie improvvise);
  • l’erogazione dell’anticipo TFR per una sola volta;
  • almeno 8 anni di anzianità di servizio;
  • l’importo massimo pari al 70% del trattamento cui si avrebbe diritto in caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta;
  • il limite annuale del 10% degli aventi diritto e del 4% del numero totale dei dipendenti.

I giudici hanno così spiegato che – pur potendosi ampliare il quadro delle condizioni legali di accesso all’anticipazione TFR accantonato, di fatto agevolandolo – lo stesso anticipo in busta paga può essere accordato, solo rispettando il dettato complessivo del legislatore. Non ci devono cioè essere deroghe che snaturino e “svuotino” il meccanismo generale. E versare l’anticipo ogni mese, pur sulla base di un patto con il lavoratore, costituisce proprio una di queste deroghe. Di conseguenza tale accordo vìola lo spirito della legge vigente, vanno ad applicarsi le regole ordinarie e Inps è abilitata a chiedere l’ordinaria contribuzione ai fini previdenziali, sulle somme erogate mensilmente.

In termini pratici, per la Cassazione la prassi dell’anticipo mensile si trasforma in una integrazione della retribuzione, finendo per essere esso stesso stipendio e come tale soggetto a imposte e contributi. La sentenza n. 13525 ha così accolto le richieste dell’Inps, cassando con rinvio l’impugnata decisione dell’appello.

Che cosa cambia

In questa vicenda la Cassazione ha ulteriormente ribadito quando è possibile chiedere l’anticipo TFR e ha anche chiarito che – in mancanza di specifica causale – quest’ultimo non rispetta le regole di legge. La conseguenza è che le somme versate al lavoratore subordinato rivestono natura retributiva, con collegato obbligo contributivo.

Un semplice accordo contrattuale, frutto delle libere volontà delle parti, non basta a giustificare l’anticipo TFR mensile e periodico, perché vìola quanto previsto dall’art. 2120 del Codice Civile, anche sul piano delle condizioni di maggior favore (pur consentite). La Corte ha infatti interpretato la disposizione in modo rigido, per quanto riguarda il versamento mensile sistematico. E sulla stessa linea peraltro è anche la nota 616/2025 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Non solo. Nella motivazione della sentenza è stato anche richiamato un precedente – n. 4133/2007 – che aveva riconosciuto la legittimità delle anticipazioni TFR fondate su causali differenti da quelle tassativamente indicate dall’art. 2120 c.c., a patto che fossero eccezionali e non continuative. L’orientamento – ha specificato la Cassazione – non autorizza comunque erogazioni mensili senza causale e opposte alla natura stessa dell’istituto.

Concludendo, la sentenza in oggetto è di monito per le imprese e i datori di lavoro. Chi usa questa prassi mensile rischia di esporsi concretamente a obblighi contributivi imprevisti, infrangendo i limiti di legge. Al contempo la decisione della Cassazione tutela i lavoratori perché garantisce loro il rispetto della funzione originaria del TFR, l’accantonamento in prospettiva della fine del rapporto di lavoro.