Maternità e lavoro, “I congedi parentali sono un’indennità inutile”

Intervista a Carolina Casolo, fondatrice della startup digitale Sportello Mamme che fornisce assistenza ai neogenitori su contributi, bonus e congedi parentali

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Emanuela Galbusera

Giornalista di attualità economica

Giornalista pubblicista, ha maturato una solida esperienza nella produzione di news e approfondimenti relativi al mondo dell’economia e del lavoro e all’attualità, con un occhio vigile su innovazione e sostenibilità.

Tra novità del pacchetto famiglia, bonus per le neomamme e regole per la maternità (obbligatoria e facoltativa), districarsi nella giungla legislativa del sostegno alle nascite può essere molto complicato.

Per rispondere a questi dubbi è nato Sportello Mamme, una startup che fornisce informazioni concrete in merito al sostegno economico che spetta ai neogenitori, e semplifica la gestione di pratiche burocratiche legate alla maternità di lavoratrici e non.

In due anni lo sportello è diventato un osservatorio privilegiato della realtà italiana in materia di famiglia e maternità e ha fornito un aiuto concreto per tante neomamme (e tanti neopapà) che spesso, tra la poca informazione e la burocrazia ottusa e lenta, finiscono per rinunciare ad ammortizzatori e bonus a cui hanno diritto.

Di questo e di molto altro, tra cui la situazione di un welfare italiano non ancora al passo con i tempi, abbiamo parlato con Carolina Casolo, consulente fiscale di 33 anni e fondatrice di Sportello Mamme.

Come funziona Sportello Mamme e a chi si rivolge

Sportello Mamme è uno sportello virtuale dedicato a tutte le mamme ed i papà che necessitano di informazioni in merito a contributi, indennità e premialità rivolti ai nuclei familiari. La prima consulenza è gratuita, specifica e “tailor made”. Sportello Mamme eroga anche consulenze di natura legale, para legale e psicologica grazie alla partnership con professionisti del settore accreditati.
L’obiettivo è duplice: da una parte fornire all’utente un supporto professionale, dall’altra raccogliere informazioni per comprendere quali sono i buchi normativi e burocratici e lavorare per divenire a tutti gli effetti un osservatorio che possa dialogare con i ministeri di competenza.

Perché tante mamme preferiscono rivolgersi ad un consulente digitale piuttosto che all’Inps, al Caf o al comune stesso?

Purtroppo al giorno d’oggi non è possibile rivolgersi all’Inps per avere delle risposte precise su come istruire una pratica o sollecitarne la lavorazione. Infatti il call center Inps non funziona correttamente: se si chiama il numero verde, gli operatori non sono in grado di visualizzare l’iter della propria pratica, possono solo emettere dei solleciti o fornire risposte standard. Non è assolutamente possibile rivolgersi allo sportello della sede Inps di competenza: gli operatori allo sportello non è detto siano specialisti nel settore di cui si ha bisogno e soprattutto dopo l’accorpamento di diverse sedi regnano il caos e la disorganizzazione e questo genera mala informazione nei confronti degli utenti.
I Caf e o i patronati, dato il volume enorme di utenza, non sono in grado di gestire le pratiche in modo veloce e preciso con consulenze specifiche. Istruiscono le pratiche ma non è loro cura verificare l’iter e o i solleciti.
Sportello Mamme invece prende in carico una pratica dall’istruzione sino alla liquidazione finale. Nonostante sia uno sportello digitale e virtuale quasi tutte le pratiche richiedono almeno 1 o 2 appuntamenti fisici presso le sedi di competenza. Questa è la nostra forza. Fornire un servizio online, semplice, intuitivo, veloce ma al contempo studiato sul singolo caso ed esigenza.

Quali sono le domande più frequenti che vi rivolgono? E le più difficili a cui dare una risposta?

Le domande più frequenti sono sicuramente quelle relative alla possibilità di percepire o meno un bonus e/o un’indennità. Parallelamente molte mamme ci chiedono se hanno diritto alla Naspi dimettendosi volontariamente dal lavoro. Le consulenze più complesse sono sicuramente quelle in merito al supporto psicologico per la coppia/nucleo familiare. Si entra nella vita personale degli utenti e si rischia di perdere il corretto distacco tra professionista e utente.

Quali sono le maggiori difficoltà per accedere ai sussidi?

Indubbiamente le maggiori difficoltà risiedono nel fatto che non ci sia informazione sulle modalità di accesso ad un dato contributo e o indennità. I siti degli enti erogatori non sono fruibili a tutti gli utenti. E si vive di passaparola o di consigli di amici e o parenti. Spesso nelle trasmissioni TV si parla erroneamente di requisiti di bonus e contributi e questo genera ulteriore disinformazione.

Quale tipologia di mamma (disoccupata, casalinga, dipendente, libera professionista) soccombe maggiormente alla burocrazia e vi chiede più aiuto?

Il target di mamma più martoriato dalla burocrazia italiana è sicuramente la mamma con partita Iva. Queste mamme incassano i contributi e le indennità direttamente dall’Inps (le dipendenti invece tramite rimborso diretto del datore di lavoro). Questa impostazione fa sì che le mamme ricevano la maternità quando in media il minore ha già 1 anno, oppure sono tenute a presentare domanda per il congedo parentale solo se si astengono effettivamente dal lavoro. Purtroppo così facendo sono costrette a rinunciare a tale indennità, a meno che non abbiano un supporto economico dalla famiglia che permetta loro di rimanere senza poter incassare denaro per quasi un anno.

Le lavoratrici autonome, dunque, pagano il privilegio della flessibilità con un alto tasso di incertezza, durante e dopo la maternità

La flessibilità, non sempre garantita, che dovrebbe essere concessa dato il loro inquadramento e ovviamente data la minor copertura in termini di assistenzialismo rispetto ad una mamma dipendente, è corredata da una struttura di indennizzo poco seria e che indubbiamente non permette il mantenimento del posto di lavoro durante quello che è il primo anno di vita del minore. L’indennizzo che si riceve per la maternità obbligatoria è poca cosa, per non parlare della maternità parentale che richiede l’astensionismo e retribuisce al 30 per cento.

A proposito di congedi parentali, secondo lei sono sufficienti?

I congedi parentali a mio avviso sono assolutamente un’indennità inutile. Retribuire al 30 per cento del proprio reddito una mamma che in media ha un minore di circa 4/5 mesi non ha alcun senso.

Non solo burocrazia, tra i problemi che devono affrontare le neomamme c’è anche il desiderio di poter conciliare lavoro e famiglia. Che tipo di aiuto offrite alle donne che tornano al lavoro dopo la gravidanza?

Purtroppo il tema “conciliazione lavoro-famiglia” è molto sentito specie in questo dato momento storico. Nonostante in campagna elettorale si promettano grandi cambiamenti, non abbiamo un welfare statale utile da supportare i nuclei familiari come è corretto che sia. Si chiede alle aziende di sostituirsi allo Stato e questo non è in linea con altri paesi europei. Cerchiamo di istruire le donne post maternità cercando di dotarle di strumenti pratici che possano permettere loro di reintrodursi nel mondo del lavoro, magari autonomo così da poter gestire al meglio il proprio tempo e i propri spazi.

Quanto è orientato alle mamme il nostro welfare rispetto agli altri Paesi europei?

In paesi come la Polonia sono in grado di supportare un anno di indennità di maternità pagata al 100 per cento, in Italia siamo in grado di erogare 5 mesi al 100 per cento e poi fino ad un massimo di 6 mesi al 30 per cento. Quest’anno si è discusso molto dei congedi parentali per i nonni, altro provvedimento a mio avviso poco utile. Oggi la maggior parte dei nonni e già in pensione, quindi non è il congedo parentale lo strumento utile a supporto de nuclei familiari.

Cosa si potrebbe fare per non rimanere indietro rispetto agli altri Paesi?

Il welfare statale offre indennità bonus e altro solo se si è realmente in uno stato di disagio economico. Diversamente sono tutti prodotti da campagna elettorale. Bonus non strutturali che nascono con una manovra per morire l’anno successivo con la manovra nuova. Invece di creare ogni anno nuovi importi da erogare sarebbe opportuno strutturare le indennità di maternità (obbligatoria e parentale) rendendo possibile davvero godere di una gravidanza e di un post maternità in piena tutela.
Permettere ai nuclei familiari di godere di un indennizzo almeno per un anno pari al 100% della propria retribuzione e di poter incassare questo indennizzo contestualmente ai mesi di astensione lavorativa, non come spesso capita per le lavoratrici autonome di arrivare ad incassare l’indennizzo dopo quasi un anno dal verificarsi dell’evento. Importante anche permettere ai padri di beneficiare della maternità in sostituzione della mamma e non solo in casi gravi e specifici.

Qual è secondo lei un modello a cui tendere?

Il modello ideale sarebbe una società nella quale una donna possa decidere liberamente come vivere gravidanza e maternità forte di un coinvolgimento paterno, oggi ancora non adeguato.
Il modello di una mamma che non venga discriminata sul lavoro. Le disparità nel mondo di lavoro si concretizzano nel divario salariale, nella tipologia di contratti, nel difficile raggiungimento di significative posizioni, maggiormente occupate da uomini. Attuare politiche per la famiglia, una politica “sostenibile” che promuova la conciliazione tra vita privata e lavorativa per entrambi i generi, aumento delle donne (madri o meno) sul mercato del lavoro, stabilità economica e integrazione sociale, benessere e cura dell’infanzia (soprattutto nei primi anni di vita), incremento o stabilizzazione della natalità.

Perché essere mamma e affermarsi sul lavoro è ancora una chimera in Italia?

Le problematiche sempre più insistenti di conciliazione di tempi (figli e famiglia) e del lavoro “obbligano” le donne ad avere un unico figlio. Siamo in una società che plaude alla digitalizzazione, alla settimana corta, a lavorare da remoto per esempio e poi ancora ci capita, in fase di colloquio lavorativo, di sentirci chiedere se intendiamo “metter su famiglia”. Quando nasce un bimbo molte mamme diminuiscono l’orario lavorativo, cedendo al part time, discriminatorio per le donne, come stabilito dalla Corte di Giustizia europea, vista la diminuzione del tempo lavorativo delle mansioni e della retribuzione. Ecco perché non abbiamo bisogno di altri provvedimenti “tampone”, bensì di un intervento radicale che contempli investimento sociale e servizi di qualità che rassicurino e tutelino il nostro welfare familiare.