Spreco di cibo: 130 kg di cibo buttati a persona ci costano 132 miliardi di euro

Ogni europeo spreca 130 kg di cibo all’anno. La cifra equivale a 132 miliardi di euro buttati, oltre al forte impatti ambientale e sulla salute

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 17 Ottobre 2025 17:37

Eurostat ha pubblicato i dati in merito allo spreco di cibo nell’Unione Europea. Nel 2023 sono stati sprecati circa 130 kg di cibo pro capite, producendo 58,2 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, sia commestibili che non commestibili. A fare la parte dei più “cattivi” sul piano dello spreco sono i rifiuti domestici, che rappresentano oltre la metà di tutti i rifiuti alimentari (53%). Se la percentuale non basta per capire di quanto spreco si sta parlando, basta convertirla in chili per abitante: ogni cittadino europeo produce 69 kg di rifiuti alimentari domestici ogni anno.

Tutto questo spreco si traduce anche in perdite economiche pari a circa 132 miliardi di euro e in una produzione di emissioni di gas a effetto serra stimabili nell’ordine del 16%. I dati europei sono in peggioramento, anche se lieve rispetto al passato (+0,7%), mentre in Italia l’inflazione alimentare ha fatto registrare comportamenti più accorti e quindi uno spreco leggermente minore di cibo. Visto che costa tanto, si tende a gestirlo meglio, ma non basta a metterci nella lista dei virtuosi.

Quanto cibo si spreca in Europa?

In Europa si sprecano fino a 130 kg di cibo pro capite. Il dato è già piuttosto esplicativo, ma vale la pena approfondire quelli pubblicati da Eurostat. Questi infatti mostrano come, nell’Unione Europea, non solo si sprechi cibo, ma si generino anche milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (sia parti commestibili che non commestibili).

Di questi 58,2 milioni di tonnellate di rifiuti (+0,7% rispetto al 2022), la maggior parte proviene dai rifiuti domestici, che rappresentano oltre la metà di tutti i rifiuti alimentari: si parla del 53%, per circa 69 kg per ogni abitante ogni anno. Il resto dei rifiuti alimentari generati dallo spreco è così suddiviso:

  • rifiuti domestici alimentari pari al 53%;
  • rifiuti della produzione di prodotti alimentari e bevande pari al 19%;
  • rifiuti di ristoranti e servizi di ristorazione pari all’11%;
  • rifiuti dalla produzione primaria pari al 10%;
  • rifiuti della vendita al dettaglio pari all’8%.

Lo spreco alimentare da solo genera perdite di circa 132 miliardi di euro, senza contare il costo di gestione dei rifiuti di origine alimentare, sia commestibili che non commestibili. A questo si aggiunge anche il dato sulle emissioni di gas a effetto serra, per cui lo spreco alimentare tocca quota 16%.

Lo spreco di cibo in Italia: più attenti perché costa di più

E in Italia? Il costo del cibo, in particolare l’inflazione alimentare che non si ferma dal 2021, ci ha resi più accorti. Quando il cibo costa di più, tendiamo a gestirlo meglio e a non volerlo sprecare, quindi a non generare rifiuti alimentari. I dati ci dicono che siamo più attenti, ma non abbastanza.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher International, promosso da Spreco Zero e Università di Bologna, ogni italiano spreca 555,8 grammi di cibo a settimana. Si tratta di un dato in calo rispetto agli anni passati, ma l’obiettivo previsto per il 2030 è di massimo 369,7 grammi di cibo sprecato a settimana.

Dall’Osservatorio emergono i dati per zona, tipologia di famiglia e alimenti più sprecati. La maglia nera va al Sud, dove si continua a sprecare una media di 628,6 grammi di cibo a settimana. Segue il Nord con 515,2 grammi (in peggioramento rispetto allo scorso anno) e infine la zona più virtuosa, il Centro, con 490,6 grammi di spreco settimanale pro capite.

Ma non conta soltanto la geografia e questa può essere spiegata anche dalla tipologia di famiglia che abita il territorio. Infatti, partendo dal principio “più il cibo costa, più stiamo attenti a non sprecarlo”, sono le famiglie con figli a dimostrarsi le più attente. Le famiglie numerose, infatti, sprecano il 17% in meno rispetto alle famiglie senza figli.

Quali sono gli alimenti più sprecati?

In Italia si conferma una classifica degli alimenti più sprecati piuttosto comune nel bacino mediterraneo e in gran parte del mondo. Si tratta del cibo più facilmente deperibile, come frutta e verdura fresca, ma anche latticini e alimenti di origine animale non conservati (congelare invece aiuta a combattere lo spreco).

La classifica italiana vede uno spreco settimanale per persona pari a:

  • 22,9 g di frutta fresca;
  • 21,5 g di verdura;
  • 18,4 g di insalata (nello specifico);
  • 19,5 g di pane;
  • 16,9 g di cipolle e tuberi.

Direttiva anti-spreco: i risultati ancora lontani

Il Parlamento europeo ha dato il via libera alla Direttiva per prevenire e ridurre i rifiuti alimentari dei Paesi dell’Unione Europea. Non sono stati aggiunti emendamenti e quindi il testo è stato adottato senza necessità di votazione. La Direttiva nasce dagli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU.

I Paesi europei hanno confermato la volontà di dimezzare lo spreco alimentare in tutte le sue fasi: dalla produzione all’approvvigionamento, dalla distribuzione al commercio al dettaglio, fino al consumo domestico.

Secondo la direttiva, gli Stati dovrebbero prioritariamente ridurre perdite e sprechi attraverso prevenzione, riutilizzo, riciclo e recupero. Si dovrebbe quindi puntare a ridurre la perdita alimentare nella fase di produzione e distribuzione, ridurre gli sprechi domestici (che invece sono in aumento), ma anche incoraggiare le donazioni e cambiare la destinazione delle eccedenze alimentari, trasformandole in mangimi per animali, compost o energia.

L’Italia si muove piuttosto lentamente. Abbiamo in vigore la legge 166/2016, o Legge Gadda, che prevede la donazione e distribuzione delle eccedenze alimentari e farmaceutiche. Ma poco altro è stato fatto: non è ancora legge, né in calendario, la doggy bag obbligatoria per evitare lo spreco nella ristorazione.

Il confronto con gli Stati Uniti

Se il confronto può essere confortante, i dati globali restano peggiori di quelli europei. Il divario tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 e quelli degli Stati Uniti è molto elevato. Negli USA, per esempio, vengono gettati via oltre 66 milioni di tonnellate di cibo per spreco “tradizionale”, mentre 160 milioni di tonnellate di cereali vengono sprecate a causa della conversione inefficiente nella produzione di mangimi.

Secondo le stime del Food Waste Index, un programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), questa quantità sarebbe sufficiente a sfamare quasi 288 milioni di persone in più.

Il dato globale: milioni di tonnellate di cibo e rifiuti

A livello globale, ogni anno vengono sprecati 766 milioni di tonnellate di cereali destinati all’alimentazione degli animali, allevati soprattutto in modo intensivo. È una quantità molto superiore a qualsiasi altra forma di spreco alimentare, come evidenzia il report, è ben più alta di quella sprecata da:

  • famiglie con 631 milioni di tonnellate;
  • ristorazione con 260 milioni;
  • vendita al dettaglio con 131 milioni.

Sul tema della conversione ne ha parlato anche Ciwf, il cui report spiega come per ogni 100 calorie di cereali somministrate agli animali, se ne producano fra 3 e 25 sotto forma di carne. Quindi, per ogni 100 grammi di proteine contenute nei cereali adatti al consumo umano, somministrati però agli animali, solo 5-40 grammi di proteine arrivano nella catena alimentare umana sotto forma di carne.

Il report Ciwf fotografa uno spreco di 124 milioni di tonnellate di cereali per la conversione inefficiente della produzione di carne, latte e uova (in aggiunta al cibo sprecato in modo tradizionale), che potrebbero invece sfamare altri 247 milioni di persone all’anno.

Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia, ha commentato:

È davvero scandaloso che, mentre centinaia di milioni di persone nel mondo soffrono la fame, si continui a sprecare cibo perfettamente adatto al consumo umano per alimentare animali destinati a brevi vite di sofferenza negli allevamenti intensivi, dove sono privati di qualsiasi cosa renda la vita degna di essere vissuta.

Il report descrive quindi un sistema inefficiente, ingiusto e crudele, finanziato attraverso sussidi pubblici, in altre parole con i nostri soldi, e pagato anche con la nostra salute. L’aumento della domanda di cereali da parte dell’agricoltura intensiva favorisce infatti l’espansione delle monoculture, l’uso di pesticidi chimici e fertilizzanti azotati sintetici, con conseguente degrado del suolo, perdita di biodiversità, sovrasfruttamento delle risorse idriche e inquinamento di acqua e aria.