Cos’è e cosa significa sostenibilità ambientale

Dalle origini del concetto all'Agenda 2030, dagli esempi agli obiettivi da raggiungere per salvare il Pianeta. Come si misura la sostenibilità ambientale

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Pietro Boniciolli

Esperto in Scienze Ambientali

Con una doppia laurea in scienze naturali, scrive articoli per diversi blog che trattano di tematiche ambientali ed è presidente del WWF FVG.

La parola sostenibilità trova le sue radici nel latino sustinere, che vuol dire “sostenere, difendere, prendersi cura”. Il concetto fa capolino già durante gli Anni Settanta, ma è nel 1987, in occasione dell’incontro della Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo dell’ONU, che il Rapporto Brundtland (denominato anche Our Common Future) delinea per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile, definendolo come un sistema “che assicura la soddisfazione dei bisogni della generazione attuale senza compromettere il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni future”.

Cos’è la sostenibilità ambientale e origini

La sostenibilità ambientale rappresenta un approccio onnicomprensivo che mira a preservare le risorse naturali, battendosi contro lo spreco, inteso in senso più generale possibile, e contrapponendovi il riciclo, l’acquisto e l’utilizzo responsabile per una visione ecocompatibile e lungimirante. La prima definizione compiuta risale al 1972, contenuta nel documento I Limiti della Crescita commissionato dal Club di Roma al MIT. Donella e Dennis Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III affermano in modo ovvio, ma allo stesso tempo rivoluzionario, che “non è possibile una crescita infinita in un pianeta finito e con risorse naturali non rinnovabili”.

Nello stesso anno, in occasione della prima conferenza sull’ambiente delle Nazioni Unite, che conduce alla Dichiarazione di Stoccolma, si deduce sul piano politico che si tratta di un “diritto di tutti gli esseri umani a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere”. Si arriva poi al 1987, quando, come già accennato, viene fornita la vera definizione di sviluppo sostenibile come possibilità di soddisfare dei bisogni attuali come futuri.

Una visione tuttavia non sempre condivisa, come testimonia il Decoupling debunked, un report figlio di uno studio pubblicato nel 2019 dall’European Environmental Bureau (EEB) – si parla di una realtà che conta oltre 143 organizzazioni con sede in più di 30 Paesi che ha lo scopo di rispondere ad una domanda emergente, ossia se è possibile far andare avanti il motore economico pur tenendo conto della sostenibilità ambientale.

Il rispetto dell’ambiente sembra uno slogan che accompagna i dibattiti politici della nazione e che vengono ribaditi come narrazione dominante anche dall’ONU e dall’Unione Europea. Ma la conclusione tratta dallo studio pone in atto tutt’altro scenario: non è possibile accorpare le due realtà, quella della logica imperante attuale nel dover produrre tutto ciò che si desidera e, allo stesso tempo, rispettare l’ambiente tanto da garantire il benessere alle generazioni future. In altre parole, la strategia basata sull’aumento dell’efficienza non funziona se non si integra con la nuova necessità di raggiungere la mera sufficienza.

Sdg Agenda 2030: gli obiettivi di sviluppo sostenibile

L’acronimo SDG sta per Sustainable Development Goals, ovvero degli obiettivi comuni stilati dall’ONU per rispondere in modo attivo con politiche economiche e sociali alla questione ambientale. Era il settembre del 2015 quando l’ONU ha promosso i 17 punti. Il SDG dell’Agenda 2030 ha richiamato a sé la necessità di creare un modello che integri tutte le componenti del sistema, sollecitando tutti i Paesi ad aderire a tale approccio, eliminando la distinzione tra quelli sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. In pratica, ogni Stato deve attuare una propria strategia di sviluppo sostenibile rispettando uguali obiettivi, ma partendo da presupposti economici e sociali anche ben diversi.

Dovrà essere stilata una rendicontazione che tocca la società per intero: dalle imprese al pubblico, dalla realtà civile a quella filantropica, attraversando le università e gli istituti di ricerca e della cultura. Gli obiettivi quindi, in scia ad un approccio promosso già dagli Anni Ottanta, si fa carico di tre grandi novità:

  • l’universalità, ossia la condivisione degli stessi paradigmi per un obiettivo comune;
  • l’integrazione, la capacità di coinvolgere e richiamare all’attenzione tutti i sistemi;
  • la trasformazione, un radicale cambiamento dello stile di vita che si pone come premessa e fine ultimo.

L’Agenda politica di respiro internazionale va avanti con la presentazione del Green deal europeo 2050, il piano di transizione ecologica più ambizioso che ha come scopo il raggiungimento di emissioni zero entro il 2050. Valori che richiamano l’attenzione anche di persone comuni che sono diventate vere e proprie icone, come la giovane attivista Greta Thunberg che grida ormai da due anni ai politici e al mondo intero la necessità di un cambiamento impellente testimoniato dal movimento Fridays for Future.

Sostenibilità in tutte le sue sfaccettature: esempi vicini

Parlare di sostenibilità presuppone il tirare in ballo la sostenibilità ambientale, la sostenibilità sociale e la sostenibilità economica. La triade è spesso raffigurata tramite tre cerchi concatenati l’uno all’altro per mostrare come tutti i livelli siano interdipendenti, anche se l’eguale condivisione degli spazi non deve far pensare che esista un pari peso tra il sistema economico e quello ambientale, ma solo che siano strettamente correlati. Ambiente e sostenibilità sono posti sullo stesso piano solo quando si valutano tutti gli aspetti integralmente, ossia la rete politica, quella aziendale, quella sociale che avviene all’interno delle mura domestiche, a scuola, e così via.

L’eco delle decisioni che vengono dall’alto si riverbera in alcuni casi in modo concreto, permettendo così di parlare di sostenibilità ambientale con esempi reali. L’Italia si fa portavoce in tal senso, assieme al Nord Europa, al progetto di stampo comune attraverso la costruzione di case in paglia precompressa ed esempio, dando alla luce costruzioni economiche, antisismiche ed ignifughe. Ne sa qualcosa l’Ecovillaggio Montale, un insediamento abitativo in provincia di Modena che in tre anni ha evitato l’emissione di CO2 pari a 400 tonnellate, producendo ossigeno anche per i quartieri vicini.

Il Nord Italia si guadagna la sua fetta di fiducia verso il mondo anche grazie alla classifica stilata tra gli 800 campus universitari che vede le università di Bologna e Torino ai primi posti tra le più sostenibili in termini di infrastrutture, mobilità, smaltimento dei rifiuti e uso dell’acqua. Sempre a Torino gli fa eco l’Impact club, un coworking che mira a sensibilizzare in pratica un uso più responsabile all’interno di uno spazio condiviso per necessità e valori. E ancora, la realtà Agricoltura Sociale Lombardia insegna tramite la condivisione di spazi verdi a rivalorizzare la pratica della semina, la cura delle piante, attraverso la riscoperta della routine manuale più antica della storia volta a soddisfare le richieste moderne.

Sostenibilità aziendale e non solo

Le politiche dirigono sì dall’alto norme in materia ambientale, ma non i comportamenti in casa o in ufficio. Un’azienda può mettersi in gioco investendo in strutture eco-compatibili, modellando gli impianti energetici, ma anche attraverso azioni quotidiane. In particolare, le aziende oggi giorno spesso aderiscono alla campagna plastic free che possono seguire attraverso le linee guida diffuse dal Ministero dell’Ambiente, applicando anzitutto la regola delle 4 R: riduci, riutilizza, ricicla, recupera; sostituendo l’acquisto di bottiglie di plastica con distributori di acqua alla spina, favorendo l’eliminazione in generale della plastica, ad iniziare da bicchieri, cucchiaini, cannucce e così via, vietandole o incentivando l’utilizzo di oggetti portati direttamente da casa o acquistabili direttamente in azienda con tanto di brand.

Si mira inoltre a limitare un imballaggio eccessivo con l’acquisto di prodotti preconfezionati, preferendo una spremuta con frutta propria o acquistata a succhi di frutta confezionati ad esempio, mettendo a disposizione un minibar (o mense interne, se possibile) dove condividere bevande e cibi portati o realizzati con le proprie mani in un’ottica di socialità e condivisione rilevanti anche in termini di benessere sul posto di lavoro.

Ad oggi, un campo in cui molte realtà si stanno dando da fare è quello dell’abbigliamento attraverso una serie di idee tra cui la possibilità di far entrare nel circolo economico capi già usati, dando in cambio dei coupon o permettendo agevolazioni per favorire la politica del riuso. Abitudini che riguardano l’uomo a 360 gradi, nessuno escluso, e che possono essere promosse già dalla tenera età, come insegna l’approccio didattico degli asili nel bosco, tramite uno stile educativo che mira a valorizzare ciò che si ha contro il diktat impellente di soddisfare una futile necessità di acquisto.

Come si misura la sostenibilità ambientale nelle aziende

Chiarito come il concetto di sostenibilità ambientale sia particolarmente esteso e variegato, verrebbe da chiedersi come valutare l’efficacia delle azioni messe in atto. La risposta è stata fornita negli Anni Novanta, durante un periodo che ha sancito l’entrata in scena dei primi indicatori di sostenibilità ambientale riconosciuti a livello internazionale.

In dettaglio, i fattori che confermano o meno l’efficienza dei comportamenti dipendono da: indicatori descrittivi, che mirano a stilare, secondo determinate coordinate temporali, il reale utilizzo di risorse espresso in unità fisiche (ad esempio tonnellate di emissioni di CO2); poi si hanno gli indicatori di prestazione o di efficacia, ossia un rapporto che indica la vicinanza o meno tra la premessa e il risultato raggiunto in ambito di politica ambientale.

Altro fattore è l’indicatore di efficienza che indica i dati tra un risultato ambientale mostrato e le risorse economiche investite per arrivare fin lì (abbassamento delle emissioni atmosferiche/costo degli interventi strutturali e/o gestionali). Infine, l’indicatore del benessere complessivo, che racchiude in un elaborato finale la percentuale di sostenibilità totale.