Incendi, l’Italia brucia: quali sono i danni visibili (e invisibili)

Distruzione di ecosistemi e molto altro, ecco tutto quello che i roghi distruggono

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Alice Pomiato

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Alice Pomiato è una Content Creator che racconta com'è possibile avere uno stile di vita più sostenibile, etico e consapevole.

L’Italia continua a bruciare. Stretta dalla morsa della siccità, dal Friuli alla Campania assistiamo a roghi e incendi che rendono evidente l’urgenza della lotta ai cambiamenti climatici.

Cosa scatena gli incendi?

Dopo aver risalito l’Europa occidentale partendo dal Portogallo fino al Regno Unito, i roghi stanno devastando la Penisola.

Gli incendi estesi e inarrestabili sono la drammatica conseguenza del riscaldamento globale che a causa dell’estrema intensità di siccità prolungate, picchi record delle temperature e ondate anomale di calore, crea condizioni sempre più favorevoli per eventi potenzialmente disastrosi per la natura e gli animali che la abitano.

Tuttavia, il legame tra cambiamenti climatici e incendi è complesso. Come evidenzia L’ISPRA, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale , oltre alle cause dirette come siccità e calore, c’è anche il generale indebolimento degli ecosistemi forestali che vengono alterati nei loro equilibri fondamentali in una sorta di circolo vizioso, e conseguentemente anche sugli esseri viventi che li abitano. Ne sono causa l’inquinamento, la perdita di biodiversità e l’erosione del suolo, che rendono le foreste più suscettibili a prendere fuoco.

Il 97% degli incendi in Europa è riconducibile all’attività umana. In Italia come in molti altri paesi europei, gli incendi colposi o dolosi, rappresentano un problema di entità notevole. Quelli dolosi sono veri e propri atti di criminalità, spesso orientati al profitto, attraverso varie modalità tra cui la speculazione edilizia ed agricola.

Sempre l’ISPRA ha rilevato che il 2021 è stato caratterizzato da una situazione meteorologica altamente critica, caratterizzata anche da 3.443 incendi in più rispetto al 2020, dove sono bruciati quasi il triplo degli ettari. Nei paesi dell’UE sono bruciati più di mezzo milione di ettari di terreno e di questi, circa il 20% ha riguardato aree protette. L’Italia è stata il paese più duramente colpito in Europa e il secondo paese al mondo per numero di incendi registrati, 1.422, per un totale di 160.000 ettari di superficie bruciati. Il 90% dei roghi ha avuto luogo nei mesi di luglio e agosto e le regioni meridionali sono state le più afflitte.

Non tutti i danni causati dagli incendi si vedono

Quando scoppia un incendio in un bosco, pensiamo subito a chi lo abita e speriamo siano in salvo. Poi, realizziamo che sono bruciati alberi, vegetazione, gli animali che popolano le zone, insomma, i nostri polmoni naturali assieme agli oceani. I dati di Legambiente della scorsa estate ci raccontano come, dai 20 ai 24 milioni di animali selvatici tra i vertebrati, sono stati arsi vivi negli incendi estivi: ricci, caprioli, volpi, ghiri e scoiattoli solo per citare alcune specie; quattro milioni di anfibi tra rane, tritoni, salamandre e molte specie endemiche, tipiche di un particolare luogo e 15 milioni di rettili, tra lucertole, serpenti, gechi e tartarughe. La strage è molto più silenziosa se contiamo anche quei piccoli animali quasi del tutto invisibili a occhio nudo, quei milioni di invertebrati indispensabili a mantenere equilibri, catene alimentari, ecosistemi e biodiversità di vitale importanza.

La rapidità di recupero del bosco dipende dal tipo e della frequenza e gravità degli incendi. In caso di incendi frequenti e intensi, sopravvivono solo le specie “piroresistenti” che si sono adattate al fuoco. D’altra parte, gli incendi boschivi alterano le condizioni di vita e favoriscono la diffusione di nuove specie. Dopo un incendio, la struttura temporaneamente più rada della foresta e l’aumento di sostanze nutritive nel breve termine possono offrire buone condizioni di vita per molti animali e piante.

Gli incendi boschivi si scatenano in genere su ripidi pendii, il che provoca spesso cadute di massi. Effetti ancora più gravi si manifestano anche dopo l’incendio: lo strato di cenere depositato dal fuoco è impermeabile, per cui nei primi 1–2 anni dopo l’incendio, l’acqua piovana stenta a penetrare nel suolo, defluendo al contrario in superficie. In questo modo, in particolare in caso di forti piogge, si verificano fenomeni erosivi.

Qualità dell’aria e incendi boschivi, un rapporto causa-effetto

Case bruciate, evacuazioni e treni ancora fermi. Per quanto riguarda i recenti incendi, Coldiretti stima che per ricostituire i boschi ridotti in cenere dal fuoco, ci vorranno fino a 15 anni con danni all’ambiente, all’economia, al lavoro e al turismo. Nelle aree bruciate dagli incendi viene a mancare un essenziale polmone verde e saranno impedite tutte le attività umane tradizionali e la scoperta del territorio. Per compensare queste perdite, saranno necessari investimenti di miliardi di euro sia per procedere ad una riforestazione, sia per mitigare gli effetti delle emissioni di gas serra nell’atmosfera.

Gli incendi permettono il trasferimento nell’aria di circa 200 composti (metano, idrocarburi, monossido e biossido di carbonio, ossidi di azoto e particolato). Queste sostanze derivano dai processi di combustione della cellulosa, della lignina, ma anche delle resine e olii presenti nella vegetazione e nel suolo. La quantità delle sostanze inquinanti nell’aria provoca processi chimici che possono alterare lo stato chimico dell’atmosfera e sono direttamente coinvolte nella questione del cambiamento climatico, poiché contribuiscono all’effetto serra. I grandi incendi alterano l’albedo e rimuovono la vegetazione, riducono l’evapotraspirazione e influenzano il bilancio energetico e il clima.

Bruciando biomassa vegetale, gli incendi generano monossido di carbonio. Secondo un recente studio di Nature “Impact of interannual and multidecadal trends on methane-climate feedbacks and sensitivity” il monossido di carbonio reagisce con il radicale di ossidrile, un’entità molecolare che ha un compito importantissimo: pulire l’atmosfera dal metano. Nel breve termine, il metano in atmosfera fa più danni della CO2: dura di meno, ma è fino a 80 volte più potente nell’alterare il clima. Un terzo del riscaldamento globale che stiamo sperimentando deriva da questo gas, che nell’aria arriva in diversi modi: per le emissioni degli allevamenti intensivi e delle discariche a cielo aperto, e per le perdite nell’estrazione e nel trasporto di combustibili fossili. Le emissioni sono fatte di input e di output, quello che entra (per cause umane o naturali) e quello che esce, perché i cicli atmosferici e naturali riescono a ripulirlo. Secondo i ricercatori, si sta indebolendo in modo drastico la capacità dell’atmosfera di ripulirsi dal metano che ci buttiamo dentro. Questo gas serra ha un grande problema (come detto, riscalda la Terra più della CO2) ma almeno ci dà il vantaggio di avere una durata inferiore. Ora però, sembra che questo secondo aspetto stia svanendo proprio a causa degli incendi.

È importante considerare anche, che questi incendi spesso raggiungono le zone abitate e le aree urbane. Qui, provocano la combustione di materiali e rifiuti pericolosi che producono sostanze tossiche e contaminano il suolo e le falde acquifere, oltre che la qualità dell’aria. Materie plastiche, componenti elettronici e altri materiali usati nel quotidiano possono avere effetti altamente pericolosi sulla qualità dell’aria.

Prevenire è meglio che bruciare. Spegnere oggi gli incendi di domani

Bisogna spostare l’attenzione e le risorse dalla lotta agli incendi (che spesso contro questi fuochi è impotente) alla prevenzione: bisogna adattare il territorio e renderlo meno pericoloso. Il lavoro di chi fa prevenzione è quasi ovunque istituzionalmente separato da quello di chi fa spegnimento. L’adattamento agli incendi è poco coordinato e quindi poco efficace. Prevenire, ripristinare, assicurare maggiori finanziamenti e migliorare le sinergie: questi i quattro principi da sviluppare, secondo il WWF.