Greenhushing, quando il greenwashing entra in crisi: quali sono i rischi

Per evitare sanzioni, le aziende stanno riducendo la comunicazione che riguarda il proprio impegno e i propri risultati in termini di politiche ambientali, sociali e di governance.

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Donatella Maisto

Esperta in digital trasformation e tecnologie emergenti

Dopo 20 anni nel legal e hr, si occupa di informazione, ricerca e sviluppo. Esperta in digital transformation, tecnologie emergenti e standard internazionali per la sostenibilità, segue l’Innovation Hub della Camera di Commercio italiana per la Svizzera. MIT Alumni.

Un’altra piccola bufera nel mondo della sostenibilità? JPMorgan Asset Management e State Street Global Advisors hanno entrambi confermato che stanno per lasciare Climate Action 100+, l’iniziativa guidata dagli investitori per garantire che gli emettitori di gas serra aziendali più grandi del mondo intraprendono le misure necessarie sul cambiamento climatico, ma non sono certe le prime aziende negli ultimi mesi. Sono troppe pressioni sulle aziende che virano verso il greenhushing. 

La direttiva breakfast per etichette più trasparenti

Il Parlamento europeo, il 17 gennaio 2024, ha dato il via libera definitivo alla direttiva che migliorerà l’etichettatura dei prodotti e vieterà l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti. La direttiva mira a:

  • proteggere i consumatori da pratiche di commercializzazione ingannevoli e ad aiutarli a compiere scelte di acquisto più informate. A tal fine, saranno aggiunte all’elenco Ue delle pratiche commerciali vietate una serie di strategie di marketing problematiche legate all’obsolescenza precoce dei prodotti e al greenwashing, una strategia di comunicazione o di marketing che presenta come ecosostenibili delle attività, cercando di nasconderne l’impatto negativo
  • rendere l’etichettatura dei prodotti più chiara e affidabile, vietando l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “eco” se non supportate da prove
  • regolamentare l‘uso dei marchi di sostenibilità, data la confusione causata dalla loro proliferazione e dal mancato utilizzo di dati comparativi. In futuro, nell’UE, saranno autorizzati solo marchi di sostenibilità basati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche
  • vietare le dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull’ambiente neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni (offset)
  • far sì che produttori e consumatori siano più attenti alla durata dei prodotti. In futuro, le informazioni sulla garanzia dovranno essere più visibili e verrà creato un nuovo marchio armonizzato per dare maggiore risalto ai prodotti con un periodo di garanzia più esteso
  • vietare anche le indicazioni infondate sulla durata, gli inviti a sostituire i beni di consumo prima del necessario e le false dichiarazioni sulla riparabilità di un prodotto.

A chi si applicano le nuove norme

Dal 1° gennaio 2023, inoltre, è entrata in vigore la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), la direttiva sul reporting di sostenibilità delle imprese, con cui un maggior numero di aziende dovrà rendicontare le proprie azioni in campo ambientale e sociale.
L’applicazione di queste norme coinvolge le grandi imprese di interesse pubblico con più di 500 dipendenti, e tutte le imprese con più di 250 dipendenti con un fatturato superiore a 40 milioni di euro. Le norme si applicheranno anche a tutte le società quotate sui mercati regolamentati, fatta eccezione per le microimprese.
Le Pmi quotate potranno, invece, scegliere se partecipare in modo facoltativo fino al 2028, anno in cui varrà anche per loro l’obbligo di rendicontazione.

Cos’è il greenhushing

A fronte di quanto oggetto delle direttive o forse ancor più suggestionate e spaventate dal suo contenuto, tra le aziende si registra una nuova tendenza. Per evitare di esporsi al giudizio dell’opinione pubblica e degli stakeholder e per tutelarsi da possibili procedimenti legali le imprese stanno adottando un atteggiamento che si propone come antitetico al greenwashing. Stiamo parlando del greenhushing.
Le aziende impegnate nella sostenibilità tendono sempre più a limitare, se non addirittura a ‍non comunicare, il proprio impegno e i propri risultati in termini di politiche ambientali, sociali e di governance.

‍Comunicare la sostenibilità

Comunicare la sostenibilità per una azienda vuol dire:

  • valorizzare gli sforzi dell’azienda
  • aumentare la fiducia dei consumatori
  • conformarsi alle normative ambientali
  • accedere a nuove opportunità di mercato.

Non comunicare la sostenibilità può costituire un grosso limite per il posizionamento sul mercato. Il greenhushing può:

  • rendere difficile il monitoraggio dei progressi compiuti nella transizione verso modi di produzione e consumo più sostenibili
  • evitare la comparazione tra le aziende
  • aumentare il rischio di non essere scelti dai consumatori che considerano la sostenibilità un fattore decisivo nell’acquisto.

I motivi del greenwashing

‍Le aziende possono avere diverse motivazioni per fare greenhushing. È importante evidenziare che:

  • molto spesso si agisce abbracciando questa modalità per timore di essere criticati o accusati di greenwashing. Le azioni intraprese dall’azienda in tema di sostenibilità potrebbero apparire non sufficienti o non coerenti all’interno del settore di appartenenza
  • aleggia una incertezza sull’efficacia e sulla misurabilità delle proprie politiche ambientali
  • il greenhushing potrebbe essere volontà di mantenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, evitando di rivelare strategie e risultati
  • accade non di rado che è viva la preoccupazione che la pubblicizzazione delle iniziative ambientali possa aumentare le aspettative e le pressioni sull’azienda da parte degli stakeholder a continuare a impegnarsi a fronte di costi e sforzi per l’azienda, difficilmente considerabili nel breve-medio termine un investimento opportuno
  • c’è il timore di alimentare critiche o di perdere credibilita’se le attivita’ aziendali nel concreto possano sembrare non totalmente sostenibili
  • molte aziende ancora non considerano le loro azioni ambientali come un fattore chiave per attrarre clienti o per differenziarsi sul mercato di riferimento, facendo cosi’ prevalere la necessita’ di concentrarsi su altri aspetti del business
  • le aziende non sempre hanno il know-how interno per comunicare efficacemente, credibilmente e correttamente le azioni riguardanti la sostenibilità.

Fare greenhushing ha delle conseguenze

Limitando la comunicazione corretta in tema di sostenibilità, le aziende perdono l’opportunità di migliorare la reputazione e la fiducia da parte dei consumatori. Le buone pratiche e i benefici che la sostenibilità può portare in termini di efficienza, risparmio, qualità e differenziazione non emergono come è necessario che sia.
Si raggiunge quasi un paradosso. Si tende a nascondere ciò che potrebbe essere in realtà un punto di forza.
È innegabile che le politiche responsabili adottati da aziende più o meno grandi spesso diventino un modello da seguire per le altre imprese del settore, contribuendo così a creare uno standard migliore per la sostenibilità, come confermano gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Onu.

Cosa succede negli USA

E’ di pochi giorni fa la notizia, pubblicata da Bloomberg, dell’abbandono da parte di JPMorgan Asset Management e State Street Global Advisors di Climate Action 100+, il più grande gruppo di investitori al mondo nato per combattere il cambiamento climatico.
Secondo Bloomberg i “feroci attacchi repubblicani alle strategie di investimento ambientali, sociali e di governance negli Stati Uniti” hanno spinto queste aziende, come altre, a minimizzare o mascherare i propri sforzi in materia di sostenibilità.
Fino a poco tempo far parte di un gruppo come CA100+ “era un distintivo d’onore, da pubblicizzare con comunicati stampa e nei rapporti aziendali. Oggi, l’adesione è diventata una responsabilità e coloro che non sono mai stati veramente impegnati nella causa sono i primi ad abbandonarla”.
State Street Global Advisors ha dichiarato che il rinnovamento del CA100+ in cui ci si aspetta che i firmatari adottino un approccio più pratico richiedendo alle aziende di “passare dalle parole ai fatti” non è coerente con la posizione prevista dai voti degli azionisti e dall’impegno aziendale. JPMorgan Asset Management ha dichiarato di aver lasciato il gruppo perché ha fatto investimenti significativi per sviluppare un proprio quadro di impegni sul rischio climatico.

Il greenhushing è presente in quasi tutti i principali settori

Secondo il Net Pole Zero Report 2023/2024 condotto da South Pole emerge che:

  • la maggior parte delle aziende intervistate – 9 dei 14 principali settori – sta diminuendo attivamente le proprie comunicazioni climatiche
  • nonostante ciò, la stragrande maggioranza (81%) delle aziende ha dichiarato che comunicare il Net Zero è buono per i loro profitti. Ma, attenzione, quasi la metà (44%) di tutte le aziende intervistate lo trova più difficile di prima, con una mancanza di chiarezza e di cambiamento della regolamentazione come motivazione
  • oltre a soddisfare le richieste del mercato, la gestione del rischio e la costruzione della resilienza sono stati i principali driver per il net zero aziendale. Il 39% di tutte le aziende intervistate ha citato la necessità di una migliore supervisione del rischio della catena di approvvigionamento, seguita da vicino dalle organizzazioni a prova di futuro contro gli shock esterni (37%).

L’ultimo Net Zero Report annuale di South Pole ha rilevato che la maggior parte delle aziende intervistate in 9 dei 14 principali settori sta intenzionalmente diminuendo le comunicazioni climatiche, come evidenziato per la prima volta nel report pubblicato nel 2022. Il rapporto 2023/2024, che ha interessato oltre 1.400 aziende con lead di sostenibilità dedicati, in 12 paesi e 14 settori, focalizza l’attenzione su chi sceglie di non pubblicizzare le strategie o obiettivi climatici e diminuire deliberatamente o cessare le comunicazioni esterne.

Il rapporto conferma, per la prima volta, che la tendenza del “greenhushing” è presente in quasi tutti i principali settori, in tutto il mondo, dalla moda, alla tecnologia, e FMCG, secondo una nuova ricerca indipendente di South Pole, basata sui dati raccolti dalla società di ricerca britannica Sapio.
C’è una chiara disconnessione tra la convinzione delle aziende nel valore di comunicare i propri obiettivi climatici e la fiducia nel farlo. Tra tutti gli intervistati, la maggior parte delle aziende (81%) afferma di sapere che comunicare il net zero è buono lato profitti, ma oltre la metà (58%) trova più difficile di prima comunicare le proprie azioni e, pertanto, sta deliberatamente pianificando di diminuire il livello di comunicazione esterna sul tema.
Le aziende, tuttavia, vedono gli obiettivi net zero complessivi come centrali per il successo commerciale: quasi la metà (46%) di tutte le aziende intervistate ha dichiarato di perseguire il net zero per soddisfare le richieste dei clienti, ma anche per migliorare la gestione del rischio attraverso le catene di approvvigionamento (39%). Questa tendenza, però, rende la tematica ancora più esacerbante per le aziende.

Ogni settore affronterà o sta già affrontando l’adattamento agli interventi normativi sulla riduzione delle emissioni o sulla sostenibilità e questi cambiamenti nella politica sono citati come uno dei principali driver per cui le aziende sono “greenhushing”. I dati suggeriscono che la maggior parte delle aziende sta lottando così tanto per adattarsi alle nuove normative e ai sistemi di conformità e che non comunicano più le loro strategie e obiettivi climatici con fiducia.
La paura del controllo da parte degli investitori è stata un’altra delle principali ragioni per il “greenhushing”, riscontrabile in modo univoco sia dalla maggior parte delle società di servizi ambientali che da aziende petrolifere e gas company (rispettivamente 51% e 57%). Questi dati potrebbero tranquillamente animare un dibattito su come la pressione degli investitori e gli obiettivi finanziari potrebbe scoraggiare un’azione a lungo termine.
La maggior parte degli altri settori, come la vendita al dettaglio e la moda, la tecnologia, i beni di consumo e i trasporti, hanno elencato tra le varie ragioni che farebbero propendere per il greenhushing, i “requisiti normativi” e “mancanza di linee guida sulle best practice”.