“Alexa, accendi la luce”. “Alexa, che tempo fa oggi?”. Comandi semplici e parte della nostra quotidianità. Gli smart speaker – dispositivi dotati di assistenti vocali come Alexa di Amazon, Google Assistant o Siri di Apple – sono entrati nelle case italiane con la promessa di semplificare la vita. Ma se queste tecnologie ascoltano, registrano, e memorizzano ciò che diciamo, possono diventare testimoni in un’aula di tribunale?
Negli USA, nel caso State of Arkansas v. James Bates, l’accusa richiese ad Amazon i dati registrati da un Echo presente nella casa dell’imputato in un caso di omicidio. Dopo iniziali resistenze per motivi di privacy, Amazon consegnò i dati. Quindi, i dispositivi intelligenti non sono più semplici strumenti domestici, ma potenziali archivi probatori.
Indice
Le registrazioni di Alexa possono essere ammesse come prove in un processo?
Le registrazioni captate da dispositivi come Alexa possono essere utilizzate come prova in un processo. Nonostante gli smart speaker come Alexa non sono progettati per sorvegliare, il loro funzionamento implica l’ascolto costante di ciò che accade nell’ambiente domestico. Quindi, è possibile che vengano registrate conversazioni rilevanti sotto il profilo legale. La questione, quindi, è capire se e quando quelle registrazioni abbiano valore legale.
Il nostro ordinamento, in assenza di una disciplina specifica per gli assistenti vocali, inquadra il tema nel più ampio contesto delle registrazioni ambientali e delle prove atipiche.
L’art. 234 c.p.p. stabilisce che:
“sono utilizzabili come prova i documenti, anche informatici, che rappresentano fatti, persone o cose mediante fotografie, cinematografia, fonografia o qualsiasi altro mezzo.”
Questo ci consente di affermare che anche una registrazione proveniente da uno smart speaker possa rientrare tra i documenti rilevanti in un processo penale. In questo senso, la Corte di Cassazione ha ribadito che:
“La riproduzione fonografica può assumere valore probatorio, se idonea a rappresentare fedelmente l’accaduto e se il mezzo tecnico utilizzato è affidabile” (Cass. Pen. sent. 34842/2022).
L’acquisizione deve essere però legittima. Infatti, l’art. 191 c.p.p. stabilisce l’inutilizzabilità nel processo penale delle prove acquisite in violazione di divieti di legge.
Nel diritto civile, il discorso si amplia: la Cassazione ha affermato che:
“Le registrazioni effettuate in modo clandestino da uno dei soggetti presenti alla conversazione sono utilizzabili in giudizio, a patto che siano finalizzate alla tutela di un proprio diritto (Cass. Sez. Lav. sent. n. 2742/2014).”
In altre parole, un marito che registra una conversazione coniugale in cui l’altro coniuge ammette una condotta lesiva ai fini dell’affidamento, potrebbe legittimamente far valere tale registrazione in un giudizio di separazione.
Quando sono considerate prove valide in un processo?
Perché una registrazione ambientale possa essere usata in un processo, deve rispettare dei requisiti in termini di liceità della captazione, pertinenza, autenticità e coerenza con i princìpi del giusto processo.
Nel processo penale, ogni prova deve essere acquisita nel rispetto della legge e dei diritti costituzionali dell’imputato, in primis la libertà personale e la tutela della vita privata. Il riferimento è l’art. 191 c.p.p.: le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. Ciò significa che, se Alexa registra una conversazione tra terzi in assenza di uno dei soggetti coinvolti nella registrazione, e senza che vi sia un’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria (come avviene per le intercettazioni), il file potrebbe essere dichiarato inutilizzabile. Anche se il contenuto è dirimente, non può entrare nel fascicolo del dibattimento.
La Cassazione ha ribadito che:
“Una registrazione è legittima solo se chi la propone ha partecipato alla conversazione oppure se è stata autorizzata come intercettazione (Cass. sent. n. 21604/2023).”
Nel processo civile prevale il principio del libero convincimento del giudice e la regola è l’ampia libertà delle prove, con alcuni limiti per il rito del lavoro. In generale, il giudice può ammettere anche una registrazione fatta di nascosto, purché chi la produce sia parte della conversazione. Ci troviamo nel campo delle prove atipiche, cioè quei mezzi probatori non espressamente disciplinati dalla legge ma comunque ritenuti validi se idonei a garantire l’accertamento della verità.
Nel caso delle registrazioni audio digitali entra in gioco un tema ancora poco esplorato: la catena di custodia digitale. In termini pratici:
“Occorre poter dimostrare che la registrazione non è stata alterata, manomessa o montata. Serve quindi una tracciabilità tecnica dell’intero ciclo del file: da quando è stato generato a quando è stato estratto dal dispositivo e trasferito su un supporto leggibile.”
Posso registrare le conversazioni in casa mia senza informare gli ospiti?
In linea generale, registrare una conversazione alla quale si partecipa attivamente è lecito, anche se gli altri interlocutori non sono stati informati. La Corte di Cassazione ha affermato che:
“E’ lecito registrare una conversazione tra presenti quando chi effettua la registrazione vi prende parte, senza necessità di preavviso o autorizzazione (Cass. sent. n. 36747/2019)”.
Questo principio risponde all’esigenza di difendere un proprio diritto in sede giudiziaria (art. 24 Cost.). In pratica, se un individuo ha un sospetto fondato – ad esempio, subisce molestie o viene minacciato – può registrare la conversazione per usarla come elemento probatorio, anche all’insaputa dell’altro.
Lo scenario cambia quando si registrano conversazioni tra terzi, cioè tra soggetti diversi da colui che registra. In questo caso, la condotta può integrare una violazione dell’art. 615 bis c.p., che punisce:
“Chiunque fraudolentemente si procura notizie o immagini attinenti alla vita privata svolta all’interno di un’abitazione o di un altro luogo di privata dimora, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora”.
La norma è chiara nel tutelare il diritto alla riservatezza nei luoghi in cui una persona ha la legittima aspettativa di non essere controllata, intercettata o registrata. La pena, in questi casi, può arrivare fino a 4 anni di reclusione.
Il confine tra lecito e illecito, quindi, si gioca sulla partecipazione alla conversazione. Se un ospite entra in casa e parla con il proprietario, e quest’ultimo registra la conversazione tramite Alexa o uno smartphone, non commette reato. Ma se Alexa registra anche le conversazioni tra altri ospiti presenti in un’altra stanza, mentre il titolare dell’abitazione non è fisicamente presente, allora quella registrazione può essere un’interferenza illecita nella vita privata.
Alexa può violare la riservatezza familiare?
Sì, Alexa può essere una minaccia concreta alla riservatezza familiare, se il suo uso non viene gestito con consapevolezza. L’idea che un assistente vocale ascolti “solo quando interpellato” è, a ben vedere, una semplificazione tecnica che non tiene conto del reale funzionamento del dispositivo. Gli smart speaker sono progettati per captare costantemente suoni ambientali, in attesa della cosiddetta wake word, il comando di attivazione (“Alexa”, “Hey Google”, ecc.).
La riservatezza domestica, da sempre tutelata dalla nostra Costituzione, entra in collisione con una tecnologia invasiva che non distingue tra dati funzionali al servizio e contenuti altamente privati. Conversazioni intime, litigi, informazioni sanitarie, dettagli finanziari: tutto può accidentalmente finire nel buffer temporaneo del dispositivo e, in alcuni casi, essere trasmesso ai server dell’azienda produttrice per finalità di “miglioramento dell’esperienza utente”.
IL Reg. (UE) 2016/679 – GDPR, qualifica come dati personali tutte le informazioni che possono identificare, direttamente o indirettamente, una persona fisica. Quando si parla invece di informazioni su salute, preferenze sessuali, orientamento religioso o opinioni politiche, si entra nel campo dei dati sensibili, soggetti a una protezione ancora più rigorosa. Proprio per questo, il Garante Privacy ha più volte richiamato l’attenzione sull’uso di dispositivi a comando vocale, evidenziando i rischi connessi alla raccolta sistematica di dati nei luoghi di privata dimora.