Stop auto a benzina, quanti sono i posti di lavoro a rischio

Lo stop alla produzione dei motori endotermici entro il 2035 causerà molti tagli di posti di lavoro e le associazioni lanciano l'allarme

Tutti se lo aspettavano, ma c’era anche chi sperava di assistere a un dietrofront, ma così non è stato. Nella notte tra martedì 28 e mercoledì 29 giugno il Consiglio Ambiente dell’Unione Europea ha ribadito la propria posizione sullo stop dei motori a benzina e diesel entro il 2035, una decisione che ha lasciato l’amaro in bocca agli addetti ai lavori che hanno proseguito le proteste per una misura che potrebbe presto rivelarsi drammatica.

Dalle aule di Bruxelles è arrivato l’accordo per il maxi provvedimento sul clima, con le auto a motore endotermico che verranno sacrificate a per cercare di abbattere quanto più possibile le emissioni di C02. Dal 2035, dunque, si andrà sempre più sull’elettrico, scelta che ha lasciato tanti scontenti.

Stop auto benzina, cosa è stato deciso

La fumata bianca sullo stop della produzione e della vendita dei motori a benzina e diesel entro il 2035 era attesa da giorni ed è arrivata alle prime luci di mercoledì 29 giugno 2022. Da Bruxelles, infatti, è arrivato l’ok al divieto assoluto di produzione di motori endotermici a partire dall’anno scelto. La misura fa parte del cosiddetto Fit for 55, il maxi provvedimento sul clima presentato dalla Commissione europea il 14 luglio 2021, che consentirà all’Ue di ridurre le proprie emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica nel 2050.

Lo stop, a dir la verità, non è da considerarsi definitivo in quanto grazie all’interno di alcuni Paesi di peso all’interno dell’Ue la Commissione ha approvato delle eccezioni. Infatti, grazie al lavoro congiunto di Germania e Italia, i ministri europei dell’Ambiente hanno anche deciso di prendere in considerazione un futuro via libera per l’uso di tecnologie alternative come combustibili sintetici o ibridi plug-in se possono ottenere la completa eliminazione delle emissioni di gas serra.

La posizione dell’Italia (ve ne avevamo parlato qui) era chiara e sulla linea che privilegiava che la tecnologia dell’elettrico venisse ammorbidita. Alla fine la decisione è stata quella di salvare l’e-fuel e le soluzioni ibride plug-in, considerate come tecnologie “intermedie” tra l’endotermico e il full electric.

Quanti posti di lavoro a rischio

Ma nonostante il compromesso trovato, le associazioni di settore non possono essere soddisfatte. Avanza infatti la preoccupazione per i posti di lavoro a rischio a causa della decisione da parte di Bruxelles di dire addio ai motori a benzina, in quanto venendo a mancare il motore, c’è un’ampia serie di componenti che non deve più essere prodotta. Dai pistoni e cilindri, ma anche gli iniettori, tutti i lavoratori che erano inseriti nell’ingranaggio di produzione potrebbero presto perdere il proprio posto (intanto per benzina e diesel è cerchiata in rosso la data del 2 agosto).

Le stime dicono che si perderà circa il 30% di manodopera, con oltre 500mila posti di lavoro in meno. Un taglio netto che preoccupa anche l’Italia, come rilevato dalle associazioni Assogasmetano, Assopetroli-Assoenergia e Federmetano. In una lunga nota inviata al presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri della Transizione ecologica e dello Sviluppo economico Roberto Cingolani e Giancarlo Giorgetti, le associazioni hanno spiegato che nel Bel Paese c’è il rischio di assistere al taglio di oltre 100.000 posti di lavoro in Italia, di cui 73.000 nel solo settore automotive al 2040, dei quali 67.000 già nel periodo 2025-2030.

Tra i gruppi che hanno già annunciato di dover riconvertire parte delle loro produzioni ci sono Vitesco a Pisa, Stellantis a Cento (Ferrara), Bosch a Bari. Passando all’elettrico, o per meglio dire al full electric, si potrebbero però creare anche nuove opportunità lavorative per sviluppare batterie. Stellantis, per esempio, sta lavorando per lo sviluppo di una Gigafactory a Termoli.