Ilva di Taranto, una lunga storia di inquinamento e morti. Dai Riva a Vendola, tutte le condanne

Cinque lunghi anni di processi, 329 udienze, l'ipotesi di reato era di associazione a delinquere finalizzata, tra gli altri, al disastro ambientale colposo e doloso e all'avvelenamento

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Già nel 2006 le emissioni erano pari a 30mila tonnellate l’anno: polveri sottili, anidride solforosa, acido cloridrico e diossido di azoto. La quantità di diossina sparpagliata per aria era pari al 50% di tutta la diossina emessa in Italia e uguale a quella di tutte le acciaierie funzionanti d’Europa insieme.

3mila tonnellate di polveri che fuggivano via, 130 tonnellate di acido solfidrico e 9 tonnellate di Ipa, fra cui il benzo(a)pirene. Per non parlare dell’inquinamento delle falde acquifere, degli scarichi in mare e delle polveri dei minerali (qui abbiamo spiegato come l’1% più ricco del mondo inquini più del 66% di quello povero).

L’Ilva di Taranto: gli inizi

L’Ilva di Taranto è (stata) tutto questo. Forse non tutti sanno, però, che quella dell’Ilva è una storia che viene da lontano. La decisione di costruire il Centro siderurgico di Taranto fu presa, nel 1959, dopo un ampio dibattito nel Governo Italiano, nell’IRI e nella Finsider: l’impianto di Taranto fu inaugurato ufficialmente il 10 aprile 1965 dall’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.

La scelta di Taranto fu fondamentalmente politica, ma si scelse proprio questa città anche per via delle sue aree pianeggianti e vicine al mare, il fatto che fosse nel Mezzogiorno – requisito che avrebbe aperto a cospicui contributi statali -, la disponibilità di calcare, di manodopera qualificata e la possibilità dunque di creare tantissimi posti di lavoro, 43mila tra diretti e indotto allora. L’impianto fu costruito nelle immediate vicinanze del quartiere Tamburi, che conta circa 18mila abitanti. Nel 2005, sono 188 le imprese pugliesi dell’indotto Ilva, che fatturano in totale 310 milioni di euro.

Le prime accuse ai Riva nel 2012

Le prime accuse contro l’Ilva partono nel 2012: la famiglia Riva è accusata di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico (con l’aspettativa di vita che scende di 2-3 anni).

Nel settembre 2013 la Commissione Europea avvia una procedura di messa in mora nei confronti dell’Italia, concedendo due mesi per rispondere prima del deferimento alla Corte di Giustizia: l’ipotesi è che il governo italiano non abbia garantito il rispetto delle direttive Ue, con gravi conseguenze per salute e ambiente, in particolare per “mancata riduzione degli elevati livelli di emissioni non controllate generate durante il processo di produzione dell’acciaio”.

Quanti morti ha causato l’Ilva

Secondo quanto stabilito dalle perizie ufficiali, l’lva di Taranto ha causato un totale di 11.550 morti, con una media di 1.650 morti all’anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie. 26.999 le persone ricoverate, con una media di 3.857 ricoveri l’anno.

Di questi, considerando solo i quartieri più vicini alla zona industriale Tamburi e Borgo, sono stati 637 i morti, in media 91 l’anno, attribuiti ai superamenti dei limiti di PM10 di 20 microgrammi a metro cubo. Secondo il Ministero della Salute, il problema del PM10 a Taranto, seppur inferiore all’inquinamento di PM10 (più dannoso di fumo e alcol) di molte città dell’Italia del Nord, è determinato dalla tipologia di inquinanti che quelle polveri sottili veicolano.

Ilva di Taranto, tutte le condanne

Ora, finalmente, piovono condanne esemplari per chi è stato responsabile di uno scempio, ambientale e sanitario, che lascia dietro di sé una lunga scia di malattie e morte, anche tra piccolissimi.

5 lunghi anni di processi, 329 udienze, l’ipotesi di reato era di associazione a delinquere finalizzata, a vario titolo, al disastro ambientale colposo e doloso, all’avvelenamento di sostanze alimentari, all’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, al danneggiamento aggravato di beni pubblici, al getto e sversamento di sostanze pericolose, all’inquinamento atmosferico. Sotto accusa (con ipotesi di reato di corruzione, falso e abuso di ufficio) anche i presunti tentativi effettuati per ammorbidire i controlli o falsarne i risultati. Nel processo sono confluiti anche due morti sul lavoro (ipotesi di omicidio colposo). Circa 900 le parti civili costituite.

Le condanne sono arrivate per l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e per i fratelli Riva, proprietarie dello stabilimento, al termine del processo “Ambiente svenduto”. Non 5 anni come richiesto dalla Corte, ma 3 anni e 6 mesi di reclusione la pena per Nichi Vendola, accusato di concussione in relazione ai presunti tentativi di allentare i controlli sui livelli di inquinamento ambientale provocati dall’acciaieria. Per Arturo Fabio e Nicola Riva, figli dell’ex patron Emilio scomparso nel 2014, la pena inflitta è pari a 22 e 20 anni di reclusione.

Maxi condanna a 21 anni e 6 mesi a Girolamo Archinà, già responsabile dei rapporti istituzionali dell’ex Ilva, considerato una sorta di eminenza grigia della famiglia Riva. 21 anni anche all’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso. 17 anni per Ivan Di Maggio, Salvatore De Felice, Salvatore D’Alò. 11 anni e 6 mesi per Marco Andelmi e Angelo Cavallo.

Pene inferiori per l’avvocato dei Riva, Francesco Perli, condannato a 5 anni e 6 mesi, 3 anni per l’ex presidente della Provincia Gianni Florido e l’ex assessore all’Ambiente Michele Conserva, e 2 anni per l’ex direttore dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato.

Assolti invece l’ex capo di gabinetto della Regione Francesco Manna, gli ex dirigenti regionali Davide Pellegrino e Antonello Antonicelli e l’ex direttore scientifico dell’Arpa Puglia Massimo Blonda. Assoluzione anche per l’ex assessore regionale Nicola Fratoianni, parlamentare di Sel, e l’attuale assessore regionale pugliese all’Agricoltura Donato Pentassuglia.

Ilva, confisca dell’area a caldo

La Corte d’Assise di Taranto ha disposto la confisca degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico ex Ilva, già sequestrati dal gip Patrizia Todisco il 25 luglio 2012, e per equivalente del profitto illecito nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire spa, oggi Partecipazioni industriali spa in liquidazione, e Riva forni elettrici per gli illeciti amministrativi per una somma di 2 miliardi e 100 milioni di euro in solido tra loro.

Va tuttavia chiarito che la confisca dell’area a caldo potrà essere esecutiva solo dopo il pronunciamento della Cassazione, dunque gli impianti continuano ad essere pienamente operativi.

Un’incredibile onda di gioia ha travolto i ”Genitori tarantini”, l’associazione che riunisce i parenti delle vittime dell’Ilva e che ha organizzato tante iniziative per la tutela della salute dall’inquinamento e di memoria delle vittime, soprattutto bambini, come i manifesti appesi per le vie della città con messaggi molto forti come quello in cui si vede Taranto avvolta dai fumi dello stabilimento e la scritta ”I bambini di Taranto vogliono vivere”.