Se Donald Trump dovesse ottenere ciò che vuole, l’iPhone potrebbe diventare un lusso per pochi. Il presidente statunitense ha minacciato di imporre dazi del 25% su tutti gli smartphone importati, colpendo in particolare Apple, accusata di delocalizzare troppo in India e Cina.
Secondo le stime degli analisti di Wedbush e UBS, un iPhone 16 Pro Max, che oggi costa circa 1.200 dollari, potrebbe arrivare a costare fino a 3.500 dollari se fosse interamente made in Usa. Diversi i motivi, tra salari più alti, infrastrutture da costruire e una catena di fornitura che oggi vive dall’altra parte del mondo.
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Ancora dazi Trump: 25% su ogni iPhone
Le tensioni tra Trump e Apple non sono una novità, ma si sono intensificate dopo l’annuncio dell’apertura di nuovi impianti produttivi in India. Il 23 maggio 2025, in piena guerra commerciale, il presidente ha minacciato nuovi dazi del 25% (come le nuove minacce all’Ue) su tutti gli smartphone importati, iPhone compresi. L’obiettivo dichiarato è chiaro di riportare la produzione “a casa”, negli Stati Uniti.
Trump aveva imposto tariffe generalizzate contro la Cina, ma escludendo temporaneamente gli smartphone per non colpire direttamente Apple. Ora la linea è più dura: se Cupertino continua a produrre all’estero, dovrà pagare e gli americani con lei.
Il costo di un iPhone made in Usa
Il primo ostacolo è la manodopera. In India un operaio guadagna in media 161 dollari al mese, mentre negli Stati Uniti il salario medio per lo stesso tipo di lavoro è di 2.859 dollari. Questo significa un costo 17 volte superiore solo per la forza lavoro.
A questo si aggiungono:
- l’assenza di fornitori locali e specializzati;
- l’infrastruttura logistica da costruire da zero;
- la necessità di reinvestire decine di miliardi di dollari per creare una nuova supply chain.
Secondo Wedbush, produrre un iPhone interamente negli Stati Uniti richiederebbe almeno 3 anni e 30–50 miliardi di investimento. Il risultato sarebbe un prezzo finale che arriverebbe a superare i 3.500 dollari per un modello di fascia alta.
Il Dna di iPhone: da dove arrivano i componenti
Parlare di “iPhone americano” quindi sembra impossibile. Anche perché il prodotto di punta di Apple è un prodotto globale. Ogni componente arriva da un continente diverso:
- scocca e batteria dalla Cina
- display e modem 5G dalla Corea del Sud
- fotocamere e memoria dal Giappone
- processore da Taiwan
- RAM dagli Stati Uniti
L’assemblaggio avviene in Cina e, in misura crescente, in India. Ricostruire questa filiera negli Usa vorrebbe dire replicare un ecosistema consolidato che coinvolge centinaia di fornitori, ingegneri e micro-specializzazioni. Una mossa che metterebbe a rischio tempi, qualità e redditività.
Apple può davvero permetterselo?
Apple è nota per i suoi margini elevati. Secondo diverse analisi, su ogni iPhone venduto l’azienda trattiene un margine operativo che supera il 40%. Parte di questo successo è legato proprio alla catena produttiva asiatica, che consente di contenere i costi e scalare la produzione.
Imporre un dazio del 25% o forzare il rimpatrio della produzione vorrebbe dire quindi ridurre drasticamente il margine per l’azienda, oppure scaricare i costi sul consumatore finale. In ogni caso, il rischio è di perdere competitività rispetto ad altri marchi forti come Samsung e Xiaomi. Apple potrebbe anche scegliere una terza via, ovvero alzare i prezzi solo negli Stati Uniti, ma andrebbe a penalizzare il mercato interno.