Taglio del cuneo fiscale da confermare in manovra, al Governo servono 10 miliardi

Il Governo sta cercando 10 miliardi di euro per confermare il taglio del cuneo fiscale in manovra e scongiurare un calo degli stipendi

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 7 Ottobre 2024 11:51

Il Governo è al lavoro sulla manovra finanziaria che dovrà essere approvata entro la fine dell’anno. L’obiettivo minimo, in una legge di bilancio con margini molto stretti a causa dei vincoli europei sul deficit, è confermare la riforma dell’Irpef e il taglio del cuneo fiscale approvati nel 2023. Non si tratta di una diminuzione delle tasse sul lavoro, ma di mantenerle agli stessi livelli del 2024.

Per farlo servono in tutto 25 miliardi di euro. Di questi, 15 sarebbero già stati reperiti principalmente dall’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione, che ha creato del gettito fiscale inaspettato per lo Stato. Il resto però è ancora da trovare, 10 miliardi per i quali ci sono numerose ipotesi. Dalla tassa sulle sigarette all’aumento delle accise sul diesel, fino ad arrivare alle tasse sugli extraprofitti delle aziende e ai tagli lineari al budget dei ministeri.

Perché il Governo cerca 10 miliardi: la riduzione del cuneo fiscale

Nella manovra finanziaria per il 2025 il Governo di Giorgia Meloni ha un obiettivo minimo da raggiungere. Deve confermare il taglio del cuneo fiscale e la riforma dell’Irpef che aveva approvato per il 2024. Nell’ultima legge di bilancio infatti, l’esecutivo era riuscito a rimodulare i cosiddetti scaglioni e a diminuire la pressione fiscale sulla classe media e sui redditi più bassi con spesa in deficit. Un intervento che era stato programmato come temporaneo, solo per il 2024, ma che non poteva che essere confermato negli anni successivi.

Non rifinanziare questo provvedimento sarebbe infatti disastroso sia per l’economia italiana che dal punto di vista politico per i partiti della maggioranza. Di fatto, aziende e cittadini abituatisi a tasse sul lavoro dipendente più basse nel 2024 subirebbero un aumento di queste imposte, percependolo quindi come un prelievo fiscale aggiuntivo. Il rischio economico è quello di rallentare la già debole crescita dell’economia e soprattutto di fermare l’unico dato economico positivo: la crescita occupazionale.

La ragione per cui il provvedimento non è stato reso strutturale nel 2023 è il suo costo. Ogni anno la riduzione del cuneo fiscale comporta mancate entrate per 25 miliardi di euro, soldi che è più semplice trovare di anno in anno piuttosto che programmare, in forma di centinaia di miliardi, per i decenni successivi come spesa ricorrente. Questo però comporta che ogni manovra finanziaria dei prossimi anni partirà dalla base di dover trovare 25 miliardi di euro da investire in questa norma.

Nel 2024 il Governo ha un vantaggio. L’inflazione ha fatto aumentare i prezzi e, di conseguenza, anche le entrate fiscali del Governo. Nel Documento di economia e finanza, il ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti ha messo a bilancio 15 miliardi di euro di entrate fiscali extra che sono andate proprio a coprire una parte della spesa per la conferma del taglio al cuneo fiscale. Mancano quindi 10 miliardi di euro, che vanno trovati altrove. I modi per reperire denaro per lo Stato sono fondamentalmente due: aumentare le tasse o tagliare le spese.

Gli aumenti delle tasse per trovare 10 miliardi

L’opzione più facilmente percorribile da parte del Governo per recuperare i 10 miliardi che servono a confermare il taglio del cuneo fiscale è quella di aumentare di fatto le tasse. Un maggiore prelievo fiscale permetterebbe di mettere a bilancio il denaro necessario, ma comporterebbe toccare in altri ambiti l’economia italiana. Si tratta poi di operazioni molto complesse dal punto di vista politico che rischiano di scontentare l’elettorato, specialmente date le promesse di riduzione delle imposte fatte dai partiti di maggioranza in campagna elettorale.

Nei giorni scorsi ha creato scompiglio una dichiarazione del ministro dell’Economia Giorgetti durante un’intervista a Bloomberg, in cui si preannunciava una manovra “Con sacrifici per tutti“. Una frase che si riferiva però soltanto alla tassazione dei profitti delle banche e delle aziende. Si tratta della proposta più plausibile per il Governo, la cosiddetta tassazione degli extraprofitti. Aziende e banche che hanno ricavato più utili del previsto grazie a situazioni di mercato favorevoli dovrebbero pagare un’addizionale, realisticamente legata all’Ires.

Si tratta dell’opzione più semplice dal punto di vista politico e quella che dovrebbe permettere allo Stato di incassare senza problemi i 10 miliardi che il Governo cerca. È però anche una manovra complicata dal punto di vista economico, perché toglie alle aziende italiane, già poco propense a investire soprattutto in innovazione, denaro liquido utile a migliorare le proprie infrastrutture.

Le altre tasse proposte hanno problemi diversi. La parificazione delle accise sul gasolio rispetto a quelle della benzina sarebbe forse in grado di aiutare a trovare i 10 miliardi necessari, ma sarebbe anche la proposta più impopolare possibile, che contraddirebbe esplicitamente alcuni punti del programma elettorale dei partiti di maggioranza. L’aumento delle tasse sulle sigarette invece non sembra essere realmente in grado di finanziare una misura importante come il taglio del cuneo fiscale.

I tagli lineari di Giorgetti

L’altra opzione, opposta rispetto all’aumento delle tasse e più “di destra”, è quella del taglio alle spese. Nei mesi scorsi Giorgetti avrebbe chiesto a diversi ministeri di presentare piani seri di riduzione e razionalizzazione delle spese, quella che viene ormai comunemente chiamata spending review. La domanda del ministro dell’Economia non sembra aver ottenuto risultati dato che, a quanto trapela da alcuni retroscena, nessun ministero avrebbe effettivamente un piano di taglio alle spese.

Una situazione che avrebbe indispettito Giorgetti, che in più di un consiglio dei ministri avrebbe ricordato ai colleghi che la scelta è tra il taglio delle spese o l’aumento delle tasse. Il ministro non ha però rinunciato a diminuire la spesa pubblica e, senza piani specifici da parte dei ministeri, potrebbe procedere ai cosiddetti tagli lineari. Si tratta di riduzioni delle uscite dettate direttamente dal dicastero dell’Economia, che comportano obiettivi di riduzione delle spese e tagli ai finanziamenti dei ministeri in modo da risparmiare fondi.

Il bilancio dello Stato 2024 è composto da numerose voci di spesa.

  • Rimborso del debito pubblico e pagamento degli interessi sul debito: 417,4 miliardi di euro
  • Relazioni con le autonomie locali (soprattutto spesa sanitaria): 147,4 miliardi di euro
  • Politiche previdenziali (pensioni): 135 miliardi di euro
  • Politiche economico-finanziarie: 119 miliardi di euro
  • Competitività e sviluppo delle imprese: 63 miliardi di euro
  • Politiche sociali e della famiglia: 63 miliardi di euro
  • Istruzione: 52 miliardi di euro
  • Difesa 29 miliardi di euro

Di queste quelle sul debito, sulle pensioni, sullo sviluppo e sulla difesa difficilmente potranno essere toccate per ragioni sia economiche che politiche. Rimangono quindi le spese sanitarie, quelle sociali e l’istruzione.