Perché l’Europa paga (ancora) caro l’addio al gas russo

Col taglio delle forniture di gas dalla Russia, si è scatenata la corsa agli accordi con altri Paesi. Ma la ridotta quantità di GNL ha prodotto effetti pesanti e duraturi, soprattutto sull'Italia. Ecco perché

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’Europa continua a importare ancora parecchio gas dalla Russia. Nonostante le sanzioni e i nuovi accordi con altri Paesi produttori. L’interruzione delle forniture russe decisa da alcuni Stati Ue ha però prodotto effetti negativi sull’intera economia e sull’industria del Vecchio Continente.

A certificarlo è la Banca d’Italia, nel rapporto intitolato “Gas naturale e macroeconomia: non tutti gli shock energetici sono uguali”, in cui sostiene che la conseguente crisi del mercato del gas ha prodotto ripercussioni ben più longeve e negative rispetto alle crisi del petrolio. Ecco come e perché.

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Gas russo e crisi del mercato nell’Ue

L’analisi di Bankitalia sottolinea come “un aumento dei prezzi del petrolio all’ingrosso venga immediatamente incorporato nell’indice dei prezzi dell’energia, mentre un aumento dei prezzi del gas impiega circa un anno per propagarsi pienamente, con un impatto finale circa cinque volte più grande di quello iniziale“. Facendo un excursus storico-economico, l’istituto centrale afferma che “le restrizioni più severe all’offerta di gas in Europa hanno sistematicamente avuto luogo a seguito di eventi naturali avversi o di tensioni politiche legate ai conflitti tra Russia e Ucraina”. Questo perché tali restrizioni provocano “un rallentamento dell’attività economica e un rialzo dell’inflazione”.

A differenza delle crisi petrolifere, però, quelle del mercato del gas rivela i suoi effetti negativi molto gradualmente, “con un picco dell’inflazione per i beni non energetici che segue di oltre due anni lo shock iniziale“. Stando ai dati riportati dalla Banca d’Italia, l’impatto di una crisi del gas risulta doppio rispetto a una crisi del greggio. Non solo: “Il calo dell’offerta di gas aumenta significativamente i prezzi dell’energia e dei beni primari su periodi più lunghi“. E poco importa se intanto molti Stati europei sono corsi ai ripari, siglando contratti di fornitura con Paesi terzi.

La ridotta disponibilità di gas in Europa dal 2022 in poi è dunque stato un elemento chiave all’origine dell’impennata dell’inflazione e, di conseguenza, della destabilizzazione del sistema economico europeo. Per parlare del piano industriale. In quest’ambito è la Germania ad accusare il colpo del taglio netto delle forniture energetiche russe, che coprivano il 50% del fabbisogno energetico tedesco. Uno dei motivi principale della crisi economica e produttiva con cui Berlino sta facendo i conti da un po’ (come avevamo spiegato qui).

L’Italia è il Paese Ue con la maggiore dipendenza energetica

Gran parte d’Europa ha deciso di non importare più gas russo per non fornire denaro che Mosca avrebbe utilizzato per fare la guerra contro l’Ucraina. Dati alla mano, tuttavia, nei primi sette mesi del 2023 il Vecchio Continente ha importato il 40% in più di GNL rispetto allo stesso periodo del 2021. Una quantità pari a circa 22 milioni di metri cubi, giunta sulle nostre sponde via nave dalla Russia tra gennaio e luglio 2023. Nel podio delle nazioni che acquistano più gas dalla Russia a livello globale, due sono membro dell’Ue: la prima resta la Cina (20% del totale di gas utilizzato), mentre al secondo posto c’è la Spagna (18%) e al terzo il Belgio (17%).

Complessivamente, l’Europa è la parte di mondo con il maggior grado di dipendenza energetica (55,5%). Secondo il quinto Med & Italian Energy Report, il Paese più dipendente tra i Paesi più dipendenti dalle forniture energetiche estere è l’Italia (73,5%). L’importazione di gas russo nel nostro Paese è stata ridotta di quasi dieci volte nel giro di tre anni, passando dal 28,4% del 2020 al 2,4% dei primi dieci mesi del 2023. Le forniture di Mosca sono state sostituite da quelle provenienti dall’Algeria attraverso il gasdotto Transmed, quasi raddoppiate nello stesso periodo: dal 12% del 2020 al 20,2% dei primi dieci mesi del 2023 (qui spieghiamo perché la bolletta del gas scende appena di 19 euro l’anno).

Da gennaio a luglio di quest’anno, gli Stati membri dell’Ue hanno acquistato circa il 52% dei 41,6 milioni di metri cubi di GNL esportati in totale dalla Russia: l’anno scorso la percentuale era stata del 49%, mentre nel 2021 del 39%. Secondo i calcoli di Global Witness, entro fine 2023 la quantità di gas importata raggiungerà un record storico per l’Unione europea, per un ammontare complessivo di circa 5,3 miliardi di euro. Total è il più grande acquirente non russo di gas liquefatto: quasi 4,2 milioni di metri cubi di GNL russo da inizio anno. Sempre Global Witness ha riferito che, tra marzo e dicembre 2022, Shell aveva acquistato e venduto il 12% di tutte le forniture russe, pari a oltre 7,5 milioni di metri cubi di GNL. Secondo l’analista di Kpler Adam Bennett, circa il 90% dei flussi di gas naturale liquefatto russo dei prossimi dieci anni finirà in Belgio, Francia, Paesi Bassi e Spagna.

Intanto si muove il Qatar

Non sono solo l’Algeria e gli Stati Uniti (altri grandi esportatori di GNL) a “insidiare” il regno russo del gas in Europa, ma anche un Paese del Golfo che sta acquistando sempre più centralità internazionale anche per via del suo ruolo di mediatore nel conflitto tra Israele e Hamas (ne avevamo parlato anche qui): il Qatar. Dopo aver concluso un accordo di fornitura con la Francia, il piccolo ma potente emirato invierà gas anche alla Shell nei Paesi Bassi per 27 anni. Prima di guardare al Vecchio Continente, il Qatar era già diventato il principale esportatore mondiale di gas naturale liquefatto grazie alle forniture a lungo termine siglate sul mercato asiatico.

Il Paese arabo ha messo in atto un piano che aumenterà la sua capacità di liquefazione da 77 mtpa a 126 mtpa entro il 2027. In virtù di questo, dal 2026 il Qatar sarà in grado di far giungere a Rotterdam fiumi di GNL, al ritmo di circa 3,5 milioni di tonnellate all’anno. Il tutto tramite due joint venture tra QatarEnergy e Shell nell’ambito del progetto di espansione North Field GNL. E il tutto anche al netto del palese contrasto tra il progetto qatariota e l’obiettivo dichiarato dell’Ue delle zero emissioni entro il 2050. L’accordo, secondo il presidente di QatarEnergy, Saad al-Kaabi, dimostra l’impegno del Paese “per soddisfare la domanda energetica europea e per rafforzare la sicurezza energetica con una fonte nota per le sue qualità economiche e ambientali superiori”.