Savoia, i gioielli nel caveau di Bankitalia: quanto vale il tesoro della Corona italiana

Una parte del Tesoro della Corona italiana, appartenuta ai Savoia, è custodita nei sotterranei della Banca d'Italia

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Redazione

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Anche dopo la morte di Vittorio Emanuele, gli eredi dell’ex casa reale d’Italia, i Savoia, porteranno avanti la battaglia in tribunale per riavere una parte del Tesoro della Corona italiana, i gioielli quotidiani custoditi nei sotterranei della Banca d’Italia. La loro storia non rende ovvia la loro assegnazione al demanio dello Stato e, per questa stagione, gli ex reali stanno provando a riaverli.

Intanto, tutto è organizzato per i funerali di Vittorio Emanuele di Savoia, che verranno celebrati nel Duomo di Torino sabato 10 febbraio alle 15, alla presenza dei grandi reali d’Europa. Il Duomo aprirà alle 13 per l’accesso degli ospiti invitati e chiuderà alle 14.30. Alle 14.45 previsto l’arrivo della Famiglia Reale. Alle ore 14.50 il feretro entrerà in cattedrale, accompagnato dal Principe Emanuele Filiberto, Duca di Savoia e Capo della Real Casa, seguito da Johannes Niederhauser, segretario generale dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, che porterà su un cuscino il Collare dell’Ordine, sulle note dell’Inno Sardo.

Tornando ai gioielli, stimare l’esatto valore è quasi impossibile. Esiste una sola analisi di questo tipo e risale agli anni ’70, ma nel frattempo l’importanza storica dei gioielli è aumentata. I gioielli non sono mai stati mostrati in pubblico da quando sono stati nascosti durante la seconda guerra mondiale.

Quanto valgono i gioielli della Corona custoditi dalla Banca d’Italia

Il Tesoro della Corona d’Italia è l’insieme di tutti i gioielli appartenuti alla casa Savoia, che ha regnato sul Paese tra il 1861 e il 1946. È composto da varie parti, tra cui anche la Corona di Ferro, storica corona del Regno d’Italia e del Sacro Romano Impero, ma anche reliquia per la Chiesa Cattolica e custodita nel duomo di Monza.

Buona parte del corredo, i cosiddetti gioielli quotidiani, si trovano però nei sotterranei della Banca d’Italia. Furono nascosi in quel luogo per ordine di re Vittorio Emanuele III nel 1942, per sottrarli all’invasione nazista dopo l’armistizio. Sono questi l’obiettivo dei Savoia e della causa civile contro lo Stato il cui processo si celebrerà a ottobre.

Esiste una sola valutazione dei preziosi, fatta nel 1976 durante un’indagine della polizia per il sospetto che uno dei gioielli fosse stato trafugato prima che il corredo fosse nascosto. Fu fatta dall’azienda Bulgari, e parla di 2 miliardi di lire. Al netto del cambio e dell’inflazione, sarebbero circa 11 miliardi di euro. 

Anche la stessa composizione del corredo non ha dati ufficiali. Le ricostruzioni hanno calcolato che nei diademi e negli altri preziosi contenuti nei sotterranei della Banca d’Italia ci siano 6737 brillanti con oltre 10.000 grani in totale. Si tratta però di dati ufficiosi e non esiste un numero ufficiale.

Perché i Savoia stanno provando a riavere i gioielli

Nella Costituzione, più precisamente nella tredicesima disposizione transitoria, è scritto chiaramente che ogni bene della Casa Savoia, appartenuti ai re, ai loro discendenti maschi o alle rispettive consorti, passano automaticamente al demanio dello Stato italiano e che qualsiasi trasferimento di diritto di proprietà che li riguardi avvenuto dopo il 1946 è nullo.

Questo dovrebbe porre fine a qualsiasi disputa sulla proprietà dei gioielli, ma il documento con il quale Vittorio Emanuele III ne dispone l’occultamento è ambiguo. Parla infatti di nascondere il corredo per poi restituirlo “A chi di diritto”. Formula scelta con attenzione, secondo gli appunti del primo presidente della Repubblica Luigi Einaudi, proprio nell’ottica di garantire alla casata dei Savoia il possesso dei gioielli.

La disposizione transitoria numero XIII è stata dichiarata conclusa da una legge costituzionale del 2002, passata dal parlamento che sosteneva il Governo di Silvio Berlusconi. Questo perché la prima parte del testo della disposizione proibiva ai membri della Casa di Savoia di entrare in Italia, di votare e di ricoprire incarichi pubblici.