Dimissioni Draghi, ora chi governa? Cosa succede fino alle elezioni

Mario Draghi si è dimesso, così la crisi di Governo si è conclusa con la caduta della maggioranza. Ma intanto, in attesa delle elezioni, che succede?

Foto di Federica Petrucci

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Pubblicato: 23 Luglio 2022 10:00

Draghi si è dimesso e, con la firma del presidente Mattarella al decreto di scioglimento delle Camere, la crisi di Governo si è conclusa con la caduta della maggioranza e la prospettiva di un nuovo Esecutivo. Ma intanto, in attesa delle prossime elezioni che succede? Chi governerà ora? Ovviamente, l’Italia non resta senza un rappresentante, ma il Premier dimissionario rimarrà per sbrigare “gli affari correnti”. Vediamo, nello specifico, cosa vuol dire e di cosa si tratta.

Cosa si intende per “disbrigo degli affari correnti”?

La crisi di governo è finita. Non c’è un articolo della Costituzione che individua esplicitamente la definizione di “affari correnti”. Con l’art. 88 Cost., per esempio, il legislatore ha previsto lo scioglimento delle Camere, all’art. 94 invece disciplina la fiducia che il Governo deve ottenere in Parlamento e a seguire vengono anche definiti i poteri (nonché doveri) del Presidente del Consiglio.

Il concetto di “affari correnti” è stato definito però da prassi e norme di diritto. Si tratta di un atto con cui l’esecutivo si impegna ad assicurare la continuità amministrativa, limitandosi a questa per evitare il blocco degli affari, mettere in difficoltà il Paese e alimentare eventuali crisi.

In questo modo, quello che deve fare il capo di Governo – in questo caso il dimissionario Mario Draghi – è occuparsi della cd. ordinaria amministrazione, e quindi attuare determinazioni già assunte dal parlamento ed eventualmente solo atti urgenti (necessari, in scadenza o espressamente previsti e programmati). Non ci sono quindi atti e azioni rigidamente individuati, ma delle linee guida cui attenersi, ovvero principi definiti dalla dottrina, per cui il governo sarà chiamato a compiere atti dovuti (definiti obbligatori) e quelli la cui proroga comporterebbe un apprezzabile danno dello stato.

Astensione è invece richiesta sul piano politico e su atti, decreti e iniziative discrezionali che possono essere rinviati al futuro governo senza apprezzabile danno.

Draghi si dimette, ma resta per il “disbrigo degli affari correnti”: cosa potrà fare (e cosa no)?

Ma cosa definisce un atto come possibile azione politica? E quando, invece, è da considerarsi necessario? Anche in questo caso, ci viene in aiuto la dottrina.

Per definizione, i decreti legge – per esempio – sono dettati da casi di necessità e urgenza. Come stabilito dall’art. 77 della Costituzione, infatti: “Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”.

Al Premier uscente, quindi, sarà concesso emanarli fino alle prossime elezioni (ed esaminare i relativi disegni di conversione). Di conseguenza, Draghi potrà anche esaminare i disegni di legge di ratifica dei trattati, i ddl di delegazione europea e della legge europea (se si tratta di atti dovuti), in quanto rientrano nelle azioni finalizzate all’adempimento di obblighi nazionali, internazionali o derivanti dall’appartenenza all’Ue.

Al contrario, poiché azioni non programmate (né urgenti o in scadenza), non potrà:

  • esaminare disegni di legge che siano di nuova iniziativa (e non richiesti o imposti da specifici obblighi di legge);
  • approvare decreti legislativi che possono essere rimandati;
  • adottare nuovi regolamenti (ministeriali, governativi etc.) a meno che la legge non imponga altrimenti per l’operatività – ad esempio – della pubblica amministrazione;
  • non procedere con nomine, designazioni o atti vincolanti che possono essere rimandati alla decisione del governo entrante.

Per ogni azione o proposta – tuttavia – c’è una certa flessibilità e non ci sono definizioni univoche a cui potersi affidare. Per questo motivo, anche in merito agli impegni dell’Italia presi con Bruxelles (come il PNRR e i fondi in arrivo dall’Ue), è probabile per ogni atto si procederà con apposita valutazione, attraverso l’analisi delle singole direttive.