Estate 2022, la più grave siccità degli ultimi 500 anni (che sarà la regola nel 2035)

L’estate 2022 ha causato in Europa la peggiore siccità dal 1540, una situazione che potrebbe diventare la norma entro il 2035

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Riccardo Lozzi

Giornalista green

Giornalista esperto di tematiche legate alla Green Economy e fondatore di una startup innovativa.

Le temperature ancora elevatissime di questo metà settembre è la fotografia perfetta di come il riscaldamento globale sia ormai una realtà sempre più allarmante in tutto il mondo. In particolare in Europa, come è stato evidenziato dal Global Drought Observatory nel suo ultimo rapporto, l’estate del 2022 segna un record negativo registrando la peggiore siccità degli ultimi 500 anni. 

In Europa la più grave siccità degli ultimi 500 anni

Secondo il report del GDO, è dal 1540 che non si osservava una riduzione così drastica del livello delle acque, che ha colpito oggi i maggiori fiumi europei, tra cui il Reno, la Loira, il Danubio, fino al nostro Po. Circa 5 secoli fa la siccità durò complessivamente un intero anno, provocando migliaia di vittime, oltre a una crisi economica che colpì pesantemente la popolazione dell’epoca.

Tornano al 2022, secondo l’osservatorio internazionale, il 47% del territorio europeo è in condizioni “allarmanti” e il 17% in allerta, con la vegetazione che “mostra segni di stress”. I modelli di produzione nel frattempo sono notevolmente modificati. Se da una parte la tecnologia permette di poter sopperire più facilmente a una scarsità dei raccolti in un’area circoscritta, dall’altra la necessità di acqua per far fronte alle esigenze attuali di produzione è notevolmente aumentata.

Il livello del prosciugamento dei fiumi è visibile a occhio nudo ancora ora, che siamo quasi in autunno. Basti pensare che sono risaliti in superficie cimeli del passato, tra cui oltre 20 navi tedesche affondate nella seconda guerra mondiale, insieme allo Stonehenge spagnolo (o Dolmen di Guadalperal).

I Paesi dell’Europa occidentale più colpiti dalla grave siccità del 2022 comprendono, oltre all’Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Irlanda e Regno Unito. Mentre per quanto riguarda l’area orientale del continente troviamo Romania, Moldova, Serbia, Ungheria e Ucraina.

Le conseguenze su inflazione e energia

L’abbassamento del livello delle acque ha ripercussioni sulle principali problematiche che gli Stati membri si trovano ad affrontare negli ultimi mesi e che hanno assunto un ruolo di primo piano anche nella campagna elettorale italiana. Tra queste troviamo ad esempio l’inflazione, la più alta dal 1985 come certificato dall’Ista (qui i prodotti che costeranno sempre di più).

La sensibile diminuzione della possibilità di navigazione da parte delle grandi imbarcazioni mercantili sta causando più di un problema alle diverse vie navigabili europee. In particolare in Germania, con il Reno che ha toccato il livello minimo di profondità di 35 centimetri, bloccando per alcuni giorni il traffico fluviale. Il fiume tedesco rappresenta un’arteria fondamentale per le catene di approvvigionamento, non solo l’economia teutonica ma per l’intera Europa.

Da qui passano infatti considerevoli quantità di merci e prodotti finiti, materie prime e combustibili fossili. L’interruzione e il rallentamento del rifornimento della supply chain dell’UE hanno come principale conseguenza un ulteriore aumento dell’inflazione, già a livelli di record nell’Eurozona.

All’inflazione si aggiunge anche la questione energetica, con il pericolo di un possibile razionamento previsto per i mesi più freddi dell’anno. Un argomento su cui i leader dei maggiori partiti politici italiani propongono un “armistizio”, come ha dichiarato il segretario leghista Matteo Salvini, o, per il leader di Azione Carlo Calenda, un “time out” della campagna elettorale, con l’obiettivo di discutere insieme sulla possibilità di porre un freno all’aumento vertiginoso delle bollette per famiglie e imprese. 

Non solo, come detto, questa situazione rende difficile il trasporto di carbone in maniera efficace ed economica nelle centrali. Anche la produzione di energia idroelettrica, la quale come dice il nome deriva proprio dal movimento dell’acqua in fiumi e laghi, ha subito una contrazione del 20%, abbassando ulteriormente l’approvvigionamento dell’intero continente.

Così la siccità può diventare la norma entro il 2035

Lo scenario descritto finora è certamente drammatico, ma rischia addirittura di essere peggiore nei prossimi anni. Il Met Office Hadley Center, uno dei più importanti centri di ricerca internazionali sui cambiamenti climatici, ha pubblicato un rapporto sugli effetti del riscaldamento globale su commissione del Climate Crisis Advisory Group, gruppo indipendente di accademici che opera a livello mondiale. I risultati emersi dallo studio appaiono tutt’altro che confortanti per il prossimo futuro dell’Unione Europea.

Infatti, anche se i Paesi membri riuscissero a centrare in pieno gli obiettivi ambientali prefissati, tra cui la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica per il 2050, questo potrebbe non essere sufficiente per contrastare gli scenari catastrofici legati all’aumento delle temperature. 

Questi risultati potrebbero essere messi in discussione a causa della stessa emergenza sui prezzi dell’energia. La crisi attuale sta spingendo i Governi di tutto il mondo a tornare sull’utilizzo di combustibili fossili per coprire il fabbisogno del breve periodo. Il consumo del carbone a livello mondiale, ad esempio, dovrebbe aumentare del 7%, secondo una stima dell’International Energy Agency (in Italia sono state riaperte ben 6 centrali a carbone).

Gli scenari futuri dell’emergenza climatica

Le previsioni condotte dal centro di ricerca britannico parlano della concreta possibilità che l’emergenza che stiamo vivendo nel 2022 non sia più una grave eccezione, ma siccità e incendi rientreranno nella norma della stagione estiva entro il 2035.

Non solo. Per la fine del secolo le estati potrebbero registrare in media temperature di 4°C superiori rispetto ai livelli preindustriali, superando l’obiettivo di un aumento di 1,5°C prefissato agli Accordi di Parigi del 2016. Se questa valutazione si rivelasse esatta, quindi, dal prossimo decennio durante ogni estate si rischierà di dover affrontare gravi conseguenze per la maggior parte dei settori economici dei diversi Paesi. 

Per tale ragione alla COP27 di Sharm el-Sheikh, in calendario il prossimo novembre, si discuterà su come raggiungere obiettivi climatici più ambiziosi rispetto a quelli stabiliti nelle precedenti edizioni della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Infatti, solamente una riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra potrebbe offrire una speranza di invertire una tendenza che, nel futuro, potrebbe causare alcuni tra i peggiori shock economici e finanziari di sempre.