Campi Flegrei, nuovo piano di evacuazione: i costi tra incentivi e sisma bonus

Il ministro Nello Musumeci ha fatto il punto sulla situazione di crisi dei Campi Flegrei: urge un nuovo piano di evacuazione e si pensa a incentivi per lasciare l'area

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

La situazione dei Campi Flegrei si fa sempre più complessa. Per quanto non sia segnalato, ad oggi, un pericolo eruzione, la crisi bradisismica in atto mette in allerta la popolazione e, ovviamente, le amministrazioni, locali e nazionali.

Rispetto a quanto avvenuto nella prima parte degli anni ’80, i livelli di sollevamento del suolo sono ancora “minimi”, su base mensile. Gli edifici realizzati in quest’area vulcanica hanno però oggi 40 anni in più e il rischio danneggiamenti e/o crolli è concreto.

Campi Flegrei, piano sicurezza

Considerando il livello di confusione in merito, è bene precisare prima di tutto come il pericolo Vulcano in Campania non sia rappresentato dal solo Vesuvio. Quando si parla di Campi Flegrei e di Solfatara, si fa riferimento a tutt’altra struttura. Un differente territorio con problematiche specifiche e sconnesse da quelle di uno dei vulcani più famosi al mondo.

Parlare di piano di evacuazione dei Campi Flegrei, dunque, non equivale a dire che tutta Napoli e l’intera provincia vesuviana verranno evacuate. Detto ciò, sono di enorme importanza le parole del ministro per la Protezione civile Nello Musumeci, che si spera possano avere poi un risvolto concreto.

Al termine del vertice a Palazzo Chigi dedicato proprio all’emergenza sismica dei Campi Flegrei, si è così espresso: “Dobbiamo essere pronti a ogni evenienza. Servono più di 500 milioni di euro per la messa in sicurezza degli edifici nei Campi Flegrei”.

Non si fa riferimento ai danni provocati dall’attuale crisi bradisismica. Questi soldi serviranno per mettere in sicurezza l’area con interventi che garantiscano alla popolazione delle case in grado di resistere al sollevamento del suolo.

Un processo lungo e dispendioso, che prevede anni di lavori. Sarebbe fantastico se si realizzasse ma l’Italia non si poggia di certo su basi storiche solide, quando si parla di interventi in aree colpite dal terremoto.

Incentivi per chi va via

Si fa dunque largo un’ipotesi che, allo stato attuale, non vanta cifre e dettagli di alcun tipo. Musumeci ha voluto fin da subito escludere la possibilità di ricorrere al “metodo del sistema bonus”. Il governo di Giorgia Meloni intende sfruttare soluzioni alternative.

Si ragiona sull’indirizzare le persone altrove. Ciò attraverso un sostegno non meglio specificato per supportare “il cittadino che volesse delocalizzare. Chi non vuole più restare, dev’essere sostenuto dal governo. Abbiamo posto il tema al centro dell’agenda”.

Aiuti a chi vuole andare altrove o magari incentivi a farlo, ma quanto? Per il momento non esistono proposte concrete, ma di certo le cifre sarebbero ben maggiori dei 500 milioni di euro citati per la messa in sicurezza. Ciò nel caso in cui si trattasse di veri e propri incentivi. Nel caso di aiuti, invece, ci si attende cifre decisamente più basse, considerando come sia il singolo soggetto a scegliere di allontanarsi, rinunciando alla propria abitazione e vita precedenti.

Nuovo piano di evacuazione

Il discorso di Musumeci ha lasciato tanti interdetti, dal momento che ha parlato di persone che “hanno scelto di vivere in quell’area e conoscono i pericoli. Parliamo di 500mila persone, se si considera la zona rossa per il rischio vulcanico. Ce ne ricordiamo però solo quando la terra trema. Questo è un grande limite. Possiamo però aiutare chi decide di andarsene”.

Un discorso che avrebbe senso se si stesse parlando unicamente con soggetti che hanno acquistato casa negli ultimi anni. Lo stesso dicasi per chi ha costruito e autorizzato il tutto in epoca recente. Cosa dovrebbe fare però chi ha ereditato un’abitazione e non ha alternative, soprattutto in questo mercato?

In questa situazione di crisi, si ha l’impressione che si punti il dito, mentre ancora un nuovo piano di evacuazione resta nell’immaginario e non trova applicazione concreta. Qualcosa però accadrà su questo fronte, pare.

“Stiamo lavorando con Prefettura, Comuni e Regione per definire un piano di evacuazione che resterà nel cassetto ma, in caso di necessità, dovrà essere attuato”. A questa considerazione si aggiunge un nuovo sguardo all’indietro, spiegando come in quest’area siano stati realizzati migliaia di edifici: “Andava impedita l’eccessiva antropizzazione del territorio in passato. Ci vivono 80mila persone e oggi questo crea un problema ai fini del piano speditivo di evacuazione”.

Tra le tante promesse, che giungono con ritardo rispetto all’avvio dell’emergenza, una riguarda una norma possibile futura: “Questo governo si adopererà per evitare nuove costruzioni nella zona del bradisismo”.

I costi del piano di evacuazione

Lo sciame sismico nei Campi Flegrei non accenna a interrompersi. Dopo la forte scossa di lunedì 20 maggio, con magnitudo 4,4, ci sono state 836 segnalazioni di danni agli edifici (sarebbero di più le problematiche verificatesi, ma in tanti non denunciano per timore d’essere costretti a lasciare l’abitazione).

Nel 20% dei casi i sopralluoghi dei vigili del fuoco hanno portato all’ordine di sgombero. Da qui nasce il vertice urgente a Palazzo Chigi, con Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti (Economia), Nello Musumeci (Protezione civile), Giuseppe Valditara (Istruzione), Fabrizio Curcio (capo della Protezione civile) e Michele Di Bari (prefetto di Napoli).

Ad oggi il piano di evacuazione divide l’area dei Campi Flegrei in due zone. Quella gialla ospita 800mila persone, distribuite in 24 quartieri di Napoli e nei Comuni limitrofi (Villaricca, Marano, Calvizzano, Mugnano, Melito e Casavatore). Il pericolo è costituito, qui, dalla caduta di ceneri vulcaniche.

La zona rossa ospita oggi 500mila persone, circa. È quella interessata dalle colate piroclastiche, ovvero da gas a elevatissime temperature e materiale magmatico. Ciò comprende le seguenti aree:

  • Giuliano;
  • Quarto;
  • Marano (in parte);
  • Pozzuoli;
  • bacoli;
  • Monte di Procida;
  • Napoli (nelle aree di Pianura, Bagnoli, Posillipo, Fuorigrotta, Chiaia, Soccavo e parte di Vomero, Arenella e Chiaiano).

Ad oggi la Protezione civile offre stime relative a un periodo di 72 ore per completare l’evacuazione. Preparazione nelle prime 12 e partenza nelle successive 48 (le ultime 12 rappresentano un margine di sicurezza per la gestione di eventuali criticità).

Un piano che necessità aggiornamenti o un totale rifacimento, con un nuovo studio delle vie di fuga, il controllo dello stato delle infrastrutture degli edifici e non solo.

Un processo del genere, improvviso e non organizzato con largo anticipo (come ipotizzabile), rappresenterebbe un buco notevole nelle casse dello Stato, pari ad almeno l’1% del Pil: più di 30 miliardi annui.