Virus B delle scimmie, primo contagio da uomo: “Mortalità dell’80%, evitare contatti diretti”

Dopo un caso di contagio umano ad Hong Kong cresce l'attenzione sul virus B delle scimmie che si trasmette solo con un contatto diretto con l'animale.

Foto di Riccardo Castrichini

Riccardo Castrichini

Giornalista

Nato a Latina nel 1991, è laureato in Economia e Marketing e ha un Master in Radio, Tv e Web Content. Ha collaborato con molte redazioni e radio.

Sale l’attenzione per il virus B delle scimmie dopo che nei giorni scorsi è stato segnalato un caso di contagio umano a Hong Kong. Si tratta di un uomo di 37 anni che avrebbe contratto la malattia in seguito all’aggressione di un branco di scimmie in un parco. L’uomo sarebbe in gravi condizioni e le autorità locali hanno lanciato un monito alla popolazione affinché non vengano toccate le scimmie e non gli venga dato da mangiare. Ogni contatto anomalo con questi animali, inoltre, dovrà essere segnalato al Centro di protezione della salute.

Il caso di virus B delle scimmie a Hong Kong

Così come riferito dalle autorità mediche di Hong Kong, l’uomo colpito dal virus B delle scimmie, tecnicamente Herpesvirus simiae, è stato attaccato e ferito da un gruppo di scimmie nel corso di una visita al Kam Shan Country Park, meta escursionista nota per la presenza di molti primati selvatici. Il Dipartimento della Sanità di Hong Kong ha inoltre chiarito che il virus in questione si trova nella saliva, nelle feci e nell’urina dei macachi, con le persone infettate che in un primo momento possono accusare dei sintomi simili a quelli dell’influenza, ma il progredire della malattia può causare un’infezione del sistema nervoso centrale potenzialmente mortale se non trattata immediatamente.

Come è avvenuto il contagio a Hong Kong

Il patogeno del virus B delle scimmie può essere trasmesso all’uomo solo attraverso un contatto diretto con l’animale, come ad esempio una ferita provocata dalle scimmie che facilita il contatto con saliva, feci e urine del primate, mentre la trasmissione da uomo a uomo è ritenuta molto rara. In passato alcuni casi di virus B nell’uomo sono stati riscontrati negli Stati Uniti, in Canada, in Giappone e nella Cina Continentale. Nessun caso è mai stato riscontrato in Italia e, come sottolineato da Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), professore ordinario di microbiologia e microbiologia clinica all’università di Brescia e direttore del Laboratorio di microbiologia dell’Asst Spedali Civili, i casi umani di virus B “dagli anni Trenta del secolo scorso a oggi, quindi nell’arco di quasi un secolo” sono qualche centinaio.

Virus B delle scimmie, Caruso: “Non c’è pericolo pandemico”

Il recente passato della pandemia da covid ha inevitabilmente cambiato la percezione del mondo in relazione ai virus, aumentando notevolmente lo stato di allerta. Nel caso del virus B delle scimmie, tuttavia, la situazione è completamente diversa, così come ricordato all’AdnKronos sempre da Arnaldo Caruso. “Certamente – ha detto l’esperto – non stiamo parlando di un pericolo epidemico né tanto meno pandemico. È però importante controllare il diffondersi dell’infezione tra le scimmie e sapere che anche l’uomo può ammalarsi, se accidentalmente ferito da una scimmia infetta”.

Il virus B, più nel dettaglio, è un virus erpedico “limitato ad alcune scimmie, evidenziato per la prima volta nei primi decenni del secolo scorso nei cercopitechi e chiamato perciò anche virus cercopitechino”. “In passato –  ha aggiunto Arnaldo Caruso – ad alcuni operatori di laboratorio che per i loro esperimenti avevano a che fare con le scimmie, lavorando direttamente con questi animali oppure maneggiandone tessuti o materiali biologici, è successo di infettarsi. E l’infezione poteva essere grave, rapidamente mortale se coinvolgeva il sistema nervoso centrale”.

A cosa prestare attenzione

Nelle parole rassicuranti dell’esperto c’è anche un monito, affinché non si sottovaluti la diffusione del virus tra le scimmie, poiché l’aumento dei casi tra gli animali comporterebbe anche un rischio più elevato di trasmissione all’uomo. “Serve dunque controllare l’infezione all’interno delle popolazioni di scimmie, valutare le colonie”, ha concluso Caruso. L’attenzione, dunque, deve rimanere alta su questa malattia, soprattutto considerando che a differenza del vaiolo delle scimmie non è al momento presente un vaccino per l’uomo.