Gli Houthi minacciano l’Italia: “Sarà un bersaglio se partecipa all’aggressione contro lo Yemen”

Il ruolo dell'Italia nella missione Aspides nel Mar Rosso scatena la reazione dei ribelli Houthi. Ma il Governo Meloni risponde. Cosa vogliono davvero i miliziani dello Yemen?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Dal conflitto in Medio Oriente arriva una minaccia diretta anche all’Italia. A recapitarla sono i ribelli Houthi, il cui avvertimento è chiaro: “L’Italia diventerà un bersaglio se parteciperà all’aggressione contro lo Yemen”.

Le dichiarazioni tonanti di Mohamed Ali al-Houthi, figura di spicco del movimento fondamentalista, hanno incontrato la replica del Governo Meloni. “Noi andremo nel Mar Rosso a difendere gli interessi nazionali, e da che mondo è mondo questo lo si fa anche con le armi, se necessario”, afferma Stefania Craxi, presidente della commissione Difesa del Senato.

La minaccia degli Houthi all’Italia

Gli Houthi mettono in guardia l’Italia dalla sua partecipazione alla missione Aspides, varata dall’Ue (e dunque voluta dagli Usa) per contrastare gli attacchi alle imbarcazioni nel Mar Rosso. Un’operazione nell’ambito della quale il nostro Paese sarà in posizione di comando, in quanto chiamato a fornire il Force Commander della missione, e cioè l’ammiraglio che esercita il comando imbarcato degli assetti navali e aerei dispiegati nella zona.

Il coinvolgimento italiano “sarà considerato un’escalation e una militarizzazione del mare, e non sarà efficace”, tuona Mohamed Ali al-Houthi in un’intervista a La Repubblica. Il cugino dell’attuale leader Abdul-Malik Al-Houti, nonché membro del Comitato politico supremo della parte dello Yemen controllata dal movimento filo-iraniano, aggiunge che “il passaggio delle navi italiane e di altri durante le operazioni yemenite a sostegno di Gaza è una prova che l’obiettivo è noto”.

“Il nostro consiglio all’Italia è di esercitare pressione su Israele per fermare i massacri quotidiani e l’assedio soffocante contro i bambini di Gaza“, prosegue al-Houthi. “Questa è la strada che porterà alla pace mondiale e risparmierà al mondo l’espansione del conflitto e l’insicurezza regionale. L’Italia e i Paesi europei non hanno bisogno di allinearsi con le politiche americane che praticano il terrorismo e l’ingiustizia contro il popolo di Gaza. Consigliamo all’Italia di rimanere neutrale, che è il minimo che può fare. Non c’è giustificazione per qualsiasi avventura al di fuori dei suoi confini”.

La replica dell’Italia al gruppo yemenita: “Andremo nel Mar Rosso”

La replica di Stefania Craxi alle parole dell’esponente Houthi fanno eco a quelle pronunciate dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Intervenendo al Med Dialogues Extraordinary Expert Meeting a Roma, il vicepremier conferma che l’Italia avrà il comando operativo della missione in mare. “Non saranno missioni di accompagno, ma di difesa operativa: se c’è un attacco si reagisce, non ci faremo intimidire“, dichiara Tajani. E ribadisce che “le regole di ingaggio sono di reazione militare ad attacchi con missili o marittimi”.

Dietro gli Houthi, come alle spalle di Hamas, Hezbollah e Jihad Islamico, c’è l’Iran. Lo sottolinea anche Enrico Borghi, senatore di Italia Viva e membro del Copasir: “In questi casi bisogna separare la retorica dall’elemento effettivo. La vera origine di eventuali decisioni non è a Sana’a, ma a Teheran. C’è un monitoraggio attento. La settimana scorsa il direttore del Servizio segreto italiano per l’estero è stato lungamente ascoltato dalla nostra commissione: è evidente che nel momento in cui si decide di intraprendere un’azione militare nel Mar Rosso, la consapevolezza di eventuali rischi c’è a ogni livello”.

Perché non si tenta di negoziare con gli Houthi?

Non è un segreto che Houthi, come Hamas, abbiano intrattenuto colloqui con la Russia, il cui interesse nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente è strategico ed evidente. Come non è un segreto che l’Occidente a guida americana non abbia alcuna intenzione di intavolare negoziati di nessun tipo coi ribelli yemeniti. A certificarlo non è tanto la missione Aspides, di carattere tecnicamente difensivo e volto a scortare e proteggere le unità mercantili, quanto l’operazione militare offensiva messa in campo da Usa e Regno Unito, le cui imbarcazioni militari rispondono al fuoco islamista e colpiscono postazioni Houthi in Yemen.

Dall’altro lato, però, gli attacchi americani e britannici non sono stati risolutivi: non hanno cioè annientato la capacità militare degli Houthi di colpire il traffico marittimo nello Stretto di Bab el-Mandeb. Come evidenziato da Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, l’operazione Usa-Gb non ha avuto un tale effetto di stabilità, finendo soltanto con l’inasprire i toni e la tensione bellica con il gruppo afferente all’Iran. Come ben dimostrano le minacce Houthi di attaccare navi inglesi e statunitensi, oltre alle imbarcazioni israeliane o di armatori israeliani.

Nessun Paese occidentale cerca di trattare con gli Houthi anche per un altro motivo: il gruppo non rappresenta uno Stato sovrano, anche se controlla gran parte dello Yemen. La chiusura negoziale potrebbe tuttavia dimostrarsi miope, lasciando campo diplomatico aperto unicamente alla Russia e non sbloccando il ritorno dei mercantili nei porti europei meridionali attraverso il Canale di Suez.

Cosa vogliono gli Houthi?

Benché l’opinione pubblica occidentale si sia svegliata da una sorta di torpore autoreferenziale, derubricando la questione palestinese a evento del passato o sopito, la guerra di Gaza non ha fatto altro che confermare il ruolo degli Houthi nello scacchiere mediorientale. Oltre al loro strettissimo legame con il conflitto stesso che contrappone Israele a Hamas e, più in generale, all’Iran. E proprio l’impero ex persiano detta una parte dell’agenda internazionale Houthi dal 2004, da quando cioè i miliziani hanno condotto la loro insurrezione militare. Come sottolineato anche dall’analista geopolitico Dario Fabbri, gli Houthi sono di fatto “un agente dell’Iran”.

In quest’ottica gli attacchi sferrati nel Mar Rosso, che hanno paralizzato il commercio globale, rispondono all’interesse iraniano di dividere il campo occidentale, spingendo i governi europei a fare pressione su Israele affinché cessi di bombardare Gaza. Ma lo Stato ebraico non ha alcuna intenzione di accettare la sconfitta tattica subita il 7 ottobre e, anzi, punta anche la Cisgiordania attraverso il medesimo modus pugnandi. Il fronte anti-Israele messo in piedi da Teheran è chiuso poi dal rifiuto a oltranza di Hamas allo scambio di ostaggi con Tel Aviv, al netto di condizioni consapevolmente inaccettabili per lo Stato ebraico.

Gli Houthi, in definitiva, rispondono in pieno alle istanze strategiche iraniane: sciiti, anti-occidentali e contro le monarchie arabe saudita e del Golfo. L’obiettivo primario di Teheran, supportando e finanziando il maxi attacco di Hamas del 7 ottobre, era quello di distruggere gli Accordi di Abramo con cui Israele stava normalizzando le relazioni con i Paesi arabi. Come riuscire nell’impresa? Annientando Israele in maniera indiretta, umiliandone la tanto celebrata capacità difensiva armando Hamas. Per le stesse ragioni, l’Iran non vuole un allargamento del conflitto, che invece potrebbe fare il gioco di Israele, il quale potrebbe attaccare l’Iran prima che sia troppo tardi.