Per l’Ue ora l’Ucraina ha i requisiti per l’adesione, ma l’ingresso è ancora lontano

Nonostante il celebrato annuncio di adesione, l'Ucraina non diventerà a breve uno Stato membro dell'Ue. Se mai lo diventerà. Stesso discorso per Moldavia e Georgia, ancora troppo instabili. Il punto sull'allargamento europeo

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Nel giorno in cui Zelensky si è recato a Parigi per incontrare Macron, la Commissione europea lancia una bomba di propaganda nel mezzo di un conflitto sempre più aperto con la Russia: Ucraina e Moldavia hanno raggiunto i requisiti necessari per l’adesione all’Ue. La prima domanda che nasce spontanea è: perché ora? E soprattutto: i due Paesi entreranno davvero nell’Unione europea?

Per rispondere, dobbiamo prendere in considerazione diversi fattori. Il primo è vedere chi chiede l’ingresso del Paese invaso nell’Ue e perché. Senza dimenticare che il tutto avviene a poche ore dalle elezioni europee e nel mezzo di una fase di sconvolgimento internazionale che spinge gli Usa a “delegare” la gestione di ampi spazi del loro impero ad alcuni Stati satelliti. Dal punto di vista sia militare sia politico.

Cosa ha deciso la Commissione Ue sull’adesione di Ucraina e Moldavia

Partiamo dai fatti. Come già anticipato a maggio, la Commissione europea ha annunciato l’inizio dei colloqui di adesione all’Ue dell’Ucraina entro fine giugno, dichiarando che Kiev soddisfa i criteri rimasti in precedenza in sospeso. A darne notizia per primo è stato il Financial Times, citando tre funzionari vicini al dossier. L’idea dell’esecutivo comunitario è segnalare sostegno al Paese devastato dalla guerra, prima che l’Ungheria – fortemente contraria al progetto – assuma la presidenza di turno europea. Il Paese guidato da Volodymyr Zelensky ha presentato domanda di adesione all’Unione europea nelle settimane successive all’invasione russa nel 2022 e ha ottenuto lo status di candidato solo pochi mesi dopo, assieme alla Moldavia e, ancora prima (fine 2023), alla Georgia. Sì, perché la Commissione ha raccomandato (ancora una volta) l’apertura dei negoziati anche con la Moldavia (alle prese con la questione Transnistria).

Tra i criteri di adesione che ora l’Ucraina soddisfa, secondo le fonti, figurano le misure anticorruzione, le restrizioni all’attività di lobby politica, le norme sulle dichiarazioni patrimoniali per i funzionari pubblici e la protezione delle lingue usate dalle minoranze nazionali. La Georgia, che ha adottato la controversa legge sulle “influenze straniere”, non otterrà il via libera. La raccomandazione di Bruxelles richiede l’unanimità dei governi dell’Ue e si prevede che l’Ungheria solleverà le consuete obiezioni, citando questioni tra cui il trattamento da parte di Kiev della minoranza ungherese dell’Ucraina.

In pratica, l’esecutivo comunitario ritiene che l’Ucraina abbia completato tutti i quattro passaggi richiesti per l’adesione e che la Moldavia abbia completato i “suoi” tre passaggi. Non solo: la Commissione ritiene inoltre che la conferenza intergovernativa per il Montenegro potrebbe tenersi in tempi rapidi, alla luce dei recenti passi positivi compiuti e dei requisiti soddisfatti. L’obiettivo della presidenza belga è avviare il vertice fra gli Stati membri subito dopo il Consiglio Affari generali del 25 giugno. Senza fare, al momento, i conti con l’oste: l’Ungheria, ben accompagnata anche da altri Paesi non proprio convinti, per usare un eufemismo, a causa delle evidenti falle statali ed economiche ucraine e per timore della reazione della Russia.

Quali Stati Ue vogliono l’adesione dell’Ucraina e perché

Da un lato il Cremlino accusa la Francia di essere pronta a entrare in guerra contro la Russia, dall’altro Zelensky rivendica il ruolo dell’Ucraina come scudo e chiave di sicurezza per l’intera Europa. Ci muoviamo evidentemente in un campo di pura propaganda. Senza escludere dall’equazione un’Ungheria reticente (ma non irremovibile) e il fatto che a chiedere l’accelerazione dei negoziati sono stati inizialmente 12 Stati (meno della metà) con una lettera inviata alla presidenza di turno belga del Consiglio Ue. “L’apertura dei negoziati di adesione darebbe ulteriore motivazione” a Kiev e Chișinău, hanno affermato ancora le fonti, ricordando la situazione “disastrosa” al fronte ucraino e le “imminenti” elezioni presidenziali e referendum sull’Ue in Moldavia. I governi di Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia sono convinti che il programma di adesione “aumenterebbe il morale e promuoverebbe il percorso delle riforme in questi Paesi”.

Al termine della riunione del 7 giugno, “quasi tutti gli Stati membri hanno accolto con favore le relazioni della Commissione sui passi avanti compiuti da Ucraina e Moldavia sul percorso di adesione e le hanno approvate, chiedendo alla presidenza di tenere entrambe le conferenze intergovernative entro la fine del mese”, ha fatto sapere una fonte qualificata europea. L’Ungheria, dal canto suo, “dubita tuttavia della valutazione della Commissione e vuole ancora verificare una serie di cose nei quadri negoziali, anche se questo non è stato l’argomento delle discussioni odierne”.

La speranza è che il governo ungherese guidato Viktor Orbán sia interessato a chiudere la questione dei colloqui di adesione dell’Ucraina prima di assumere la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue dal 1° luglio, per evitare che il suo mandato di sei mesi sia costellato da pressioni e polemiche sul tema. Dopo la concessione dello status di Paese candidato nel giugno 2022, e nonostante i costanti progressi registrati dalla Commissione europea nell’anno e mezzo successivo, il premier ungherese ha scelto la strada dell’ostruzionismo per cercare di impedire il via libera ai negoziati. Solo grazie alla pressione costante di Bruxelles – e allo sblocco di circa 10 miliardi di euro congelati da parte della Commissione a Budapest – Orbán ha messo in atto la sua mossa a sorpresa, in occasione del Consiglio europeo del 14 dicembre 2023: ha lasciato l’Aula al momento del voto, affinché gli altri 26 Stati membri potessero approvare la conclusione del vertice più attesa.

L’allargamento dell’Ue innescato dalla guerra: gli altri Paesi che vogliono l’adesione

L’invasione russa su larga scala dell’Ucraina ha donato un nuovo decisivo impulso a quel processo di allargamento che, negli Anni Duemila, aveva portato già altre ex Repubbliche sovietiche nella comunità europea. Già pochi giorni dopo il 24 febbraio 2022, Zelensky chiese per iscritto l’adesione “immediata” all’Ue. L’Europa vista come garanzia di indipendenza da Mosca, dunque. L’esempio ucraino fu seguito a ruota, il 3 marzo 2022, anche da Georgia e Moldavia. Il Consiglio europeo del 23 giugno 2022 approvò quindi la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione. Così Kiev e Chișinău sono diventati il ​​sesto e il settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta una prospettiva europea nel processo di allargamento dell’Ue. Nel 2023, la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldavia e di concedere alla Georgia lo status di candidato. Il vertice dei leader europei di dicembre ha poi approvato tutte le richieste, portandoci alla situazione attuale.

Ma ci sono anche altri Paesi che attendono pazientemente (?) in coda di far sventolare la bandiera comunitaria sui propri palazzi del potere. Dei sei Stati dei Balcani occidentali che hanno inaugurato il lungo cammino verso l’adesione all’Unione europea, quattro hanno già avviato i negoziati (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), uno ha ottenuto lo status di candidato (Bosnia ed Erzegovina) e l’ultimo, il Kosovo, ha formalmente chiesto ed è in attesa della risposta dei 27. Per l’Albania e la Macedonia del Nord i negoziati sono iniziati nel luglio 2023, dopo aver aspettato rispettivamente 8 e 17 anni, mentre Montenegro e Serbia si trovano nella stessa fase rispettivamente da 12 e 10 anni. Dopo sei anni di richiesta di adesione, la Bosnia-Erzegovina si è candidata il 15 dicembre 2022 e il Consiglio europeo del 21 marzo ha ricevuto l’approvazione per avviare formalmente i negoziati di adesione. Il Kosovo si trova nella posizione più complicata dalla richiesta formale inoltrata alla fine del 2022: dopo sua dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008, sono infatti solo 5 gli Stati membri che continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia).

C’è però un altro Paese di fatto candidato all’Ue, ed è il grande convitato di pietra, un membro cruciale della Nato dal passato (e dal presente) imperiale: la Turchia. I negoziati per l’adesione turca sono stati avviati nel 2005, ma sono tuttora congelati dal 2018 a causa di passi indietro in materia di democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo su Ankara dell’ultimo pacchetto annuale di allargamento presentato nell’ottobre 2022, è stato messo nero su bianco che il Paese “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni dell’Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto delle frontiere e del Mediterraneo orientale”. Al vertice Nato di Vilnius di giugno 2023, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha cercato di forzare la mano, minacciando che avrebbe vincolato l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo all’apertura da parte di Bruxelles della via del ritorno della Turchia all’Ue. Il ricatto è fallito, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una riunione speciale sul rapporto strategico a Bruxelles. Senza aggiornamenti decisivi.

L’Ucraina entrerà davvero nell’Ue?

Il governo ucraino aveva compilato da tempo i documenti necessari per la candidatura a Paese membro, consegnando il secondo questionario compilato il 9 maggio 2022, tra l’altro proprio nel giorno in cui la Russia festeggia la vittoria sovietica sulla Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale. Per riuscire nell’intento, Kiev ha bisogno del sostegno di tutti i 27 Stati Ue. Se però da un lato alcuni di questi sostengono apertamente la prospettiva, come l’Italia, altri tentennano ancora nonostante la quasi unanimità espressa al Consiglio odierno. Secondo le norme attuali, per aderire all’Unione uno Stato deve:

  • essere uno Stato europeo (articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, noto anche come Trattato di Maastricht);
  • rispettare i principi di libertà, di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dello Stato di diritto (articolo 6);
  • rispettare una serie di condizioni economiche e politiche conosciute come criteri di Copenaghen (tra cui l’esistenza di un’economia di mercato funzionante e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Ue).

Qui troviamo già una stonatura: l’Ucraina è un Paese tecnicamente fallito, che ha bisogno vitale dei finanziamenti esterni per sopravvivere. Gli aiuti che l’Occidente invia a Kiev non sono infatti di natura esclusivamente militare, ma anche finanziario per sostenere l’intera macchina statale. Anche l’impostazione dello Stato di diritto non appare cristallina, nonostante il parere positivo della Commissione Ue, come dimostra il dibattito sull’estensione dei poteri presidenziali di Zelensky (scaduti a marzo) per via di un’interpretazione di una legge marziale non proprio chiarissima sulla circostanza. Alla fine della fiera, però, Bruxelles sembra aver deciso di sbandierare l’adesione dell’Ucraina. Il motivo è senza dubbio propagandistico, di risposta a una Russia percepita come sempre più minacciosa al confine orientale dell’Ue, e in concomitanza con un maggiore peso politico e militare assunto da Polonia e Stati Baltici in ambito Nato.

Al netto dell’annuncio di Bruxelles, dunque, potrebbero volerci decenni per completare il processo di adesione vera e propria. L’Ucraina ha intavolato negoziati su 35 materie per armonizzare il sistema del Paese alle norme comunitarie e deve ancora finire di partecipare a trattative bilaterali con ogni singolo Stato membro. La Commissione, da parte sua, è l’ultima a fissare i parametri per ogni capitolo e le date per il raggiungimento degli obiettivi in ciascuno dei 35 ambiti. E ha già fatto capire di voler dare semaforo verde a Kiev facendo larghissimi compromessi. In questo modo rischia però di scatenare la dura reazione degli altri Paesi in attesa di una risposta sull’adesione. Per citare un esempio calzante, alla Croazia è servito un intero decennio per completare il tutto, nonostante fosse uscita da un bel pezzo dal caos delle guerre balcaniche degli Anni Novanta.

Il caso dell’Ucraina sembra ancora più complesso, in quanto oggetto di sensibilità e opinioni diverse all’interno di un’Unione per niente unita. A favore di un suo ingresso accelerato spingono soprattutto Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia. Protestano apertamente invece quelle nazioni che da anni stanno negoziando senza vedere la luce in fondo al tunnel: Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Albania. Tutte potenziali micce pronte a esplodere. Durante la fase di preadesione, infine, le istituzioni europee seguono gli sforzi nell’attuazione dell’acquis da parte del Paese, e lo assistono anche con strumenti di finanziamento. Alcune norme vengono introdotte gradualmente, con disposizioni transitorie che accompagnano i legislatori e i cittadini nel cambiamento. Tutto in divenire, niente di definitivo.

Quanto costerà l’ingresso ucraino in Europa?

Anche se può apparire cinico con una guerra in corso che provoca morte e distruzione, l’Europa è tenuta a tenere in alta considerazione i costi della ricostruzione post-bellica e il ruolo che l’Ucraina potrà ricoprire per il futuro del blocco. Per quanto riguarda il primo punto, le stime non sono semplici né definitive. Una cosa è certa: i costi della ricostruzione saranno immensi. Il governo Zelensky parla addirittura di mille miliardi di dollari, di cui un decimo servirà solo per i danni alle infrastrutture. Ma non è finita qui: come ogni Stato, anche l’Ucraina ha assoluta necessità di tenere in piedi la fornitura di servizi pubblici (dagli stipendi alle spese sociali) che, secondo quanto comunicato dal presidente ucraino direttamente a Ursula von der Leyen, richiede tra i 5 e i 7 miliardi di euro al mese.

Si diceva che per poter entrare nell’Ue un Paese deve far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale dell’Eurozona. L’Ucraina non potrebbe essere più lontana da questo obiettivo. Secondo le stime di Kiev, oltre un terzo delle imprese nazionali ha completamente interrotto le proprie attività, mentre quasi la metà ha ridotto la produzione. In particolare, scrive Bloomberg, “la guerra ha colpito il settore agricolo, una delle attività economiche centrali del Paese. E poiché grandi porzioni di terra non possono essere utilizzate, gli agricoltori devono far fronte a costi crescenti e le esportazioni sono ostacolate”.

Ci sono poi i calcoli di istituti specializzati. La Kyiv School of Economics sostiene che il costo complessivo della guerra per l’economia ucraina sia di 600 miliardi di dollari. Un’analisi del Center for Economic Policy Research, prestigioso think tank con sede a Bruxelles, stima invece che gli aiuti esterni necessari alla ricostruzione (al netto dell’apporto nel tempo delle stesse casse ucraine) potrebbero variare tra i 200 e i 500 miliardi di euro.