Benzina, accise e immigrati: cosa aveva promesso Meloni prima delle elezioni

Benzina, accise e immigrazione: cosa aveva promesso Giorgia Meloni in campagna elettorale, prima di vincere, e cosa sta facendo (o non sta più facendo) ora che è al governo

Foto di Federica Petrucci

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Benzina, accise e immigrazione sono tra i temi più caldi dell’agenda Meloni. Tra promesse e cambi di rotta rispetto al passato, il governo si trova nella posizione oggi di dover dare risposte concrete in merito a situazioni che stanno accendendo parecchio l’opinione pubblica. Da sovranista e anti europeista la Premier è passata ad essere più “accogliente” nei confronti dell’UE. I toni sono meno accesi e le sue più ferrate convinzioni un po’ riviste.

Non ci sono solo vecchi video che confermano il suo passo indietro, perché su benzina, accise e immigrazione l’attuale Presidente aveva messo nero su bianco sul suo programma elettorale cosa avrebbe fatto, o cosa aveva intenzione di fare, con Fratelli d’Italia una volta arrivata al governo. Questo, però, prima delle elezioni.

Ma rispetto a quello che aveva promesso, cosa invece sta facendo?

Dietrofront su accise e benzina

Non si tratta di supposizioni, né di cavalcare l’onda dei contenuti virali. Per chi se lo fosse perso, rimbalza sul web ciclicamente un video diventato virale in cui Meloni in persona anni fa, non ancora al capo dell’Esecutivo, chiedeva il taglio delle accise all’allora governo in carica, al suon di “è una vergogna”. Era il 6 maggio 2019. Poi è salita al governo e il taglio non c’è stato. Ma non solo, è stato tolto anche lo sconto che l’ex Presidente Draghi aveva approvato riguardo ai carburanti.

A questo però la Premier stessa ha però risposto. “Sono ancora convinta che sarebbe un’ottima cosa tagliare le accise sulla benzina” ha replicato commentando il video del 2019 sui suoi profili social  “il punto è che si fanno i conti con la realtà con la quale ci si misura. E non sfuggirà a chi non ha dei pregiudizi che dal 2019 ad oggi il mondo intorno a noi è cambiato e purtroppo noi stiamo affrontando una situazione emergenziale su diversi fronti che ci impone a fare alcune scelte”.

“Punto primo io non ho promesso che avrei tagliato in questa campagna elettorale le accise sulla benzina perché sapevo qual era la situazione”, aggiunge poi la stessa (qui la versione integrale del video).

Ma cosa aveva promesso in campagna elettorale? Nel suo programma, al momento ancora disponibile sul sito di Fratelli d’Italia (potete consultarlo qui), riguardo ai costi dell’energia, carburanti compresi, a pagina 26 punto 17 si legge:

  • “Immediata costituzione di un’unità di crisi su energia”;
  • “Contrasto alle speculazioni finanziarie sui costi delle materie prime e istituzione di un tetto europeo al prezzo del gas”;
  • ma anche “Sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”.

Nessuna unità di crisi è stata costituita ad oggi, anche se si parla di misure contro il caro carburanti ed energia che potrebbero essere inseriti nella prossima Legge di Bilancio 2024, come il bonus benzina per i redditi bassi (anche se è ancora tutto da decidere, per esempio perché pare che manchino le risorse).

Riguardo al tetto al prezzo del gas, dopo un acceso dibattito a Bruxelles durato mesi e iniziato prima che Meloni si insediasse,  già a fine gennaio due studi commissionati dalla Commissione europea per monitorare gli effetti del price cap – uno dell’ACER (l’Agenzia europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia) e uno dell’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) – escludevano che questa decisione potesse avere davvero un ruolo impattante nel tenere basso il prezzo del gas. E infatti mesi dopo, siamo a settembre, e i prezzi sono tornati di nuovo ad essere un problema per molte famiglie e imprese, perché insostenibili e instabili.

Ma passiamo alle accise. È vero, in campagna elettorale non era stato promesso di eliminarle del tutto, ma un taglio sì, dato che quando si parla di “sterilizzazione delle accise” si intende il ricorso a un sistema che prevede, in caso di aumento del prezzo oltre una determinata soglia dei benzina e diesel, l’utilizzo delle risorse incassate in più dallo Stato grazie all’IVA per finanziare interventi mirati ad abbassare i costi del carburante. Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy, ha però spiegato più volte e a tal proposito che uno sconto come quello introdotto da Draghi nel 2022 è escluso ad oggi, perché costerebbe troppo e lo Stato non può permetterselo. L’Esecutivo ha invece preferito investire le risorse “per il taglio del cuneo fiscale, i salari più bassi e le famiglie numerose”.

Per le famiglie più in difficoltà, quindi solo per i redditi bassi e non per tutti, l’unica soluzione su cui si sta riflettendo è quindi il noto bonus benzina, che tuttavia (dovendo far parte della Manovra 2024) non sarebbe attivo prima di fine anno. A meno che non si decida di intervenire con un decreto legge ad hoc prima.

Cambio di programma anche sulla gestione dell’immigrazione

Non sembrano essere lontani i tempi in cui Giorgia Meloni definiva come possibile e immediatamente realizzabile un blocco navale immediato. Lo aveva scritto anche nel suo programma elettorale: “Difesa dei confini nazionali ed europei come previsto dal Trattato di Schengen e richiesto dall’Ue, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del Nord Africa, la tratta degli esseri umani”.

E poi “creazione di hot-spot nei territori extra-europei, gestiti dall’Ue, per valutare le richieste d’asilo e distribuzione equa solo degli aventi diritto nei 27 Paesi membri (c.d. blocco navale)”. E ancora “Accordi tra Ue e Stati terzi per la gestione dei rimpatri di clandestini e irregolari, subordinando gli accordi di cooperazione alla disponibilità al rimpatrio degli Stati di provenienza”.

Diversi mesi dopo la sua elezione, il 16 luglio è stato effettivamente siglato il memorandum d’intesa con la Tunisia, a cui ha partecipato anche la Presidente Meloni. In sintesi, La Tunisia con questo accordo si sarebbe impegnata a contrastare le partenze clandestine e in cambio avrebbe ricevuto aiuti UE. Al di là delle polemiche legate alla questione dei diritti umani (e di come questi sarebbero stati tutelati o meno), ad oggi quei soldi promessi non sono arrivati, semplicemente perché non sono stati presentati i progetti da finanziare per rendere l’accordo operativo. Così gli sbarchi ci sono stati e non si sono fermati, al contrario: si torna a parlare di emergenza.

In questi giorni, 100 barche sono arrivate a Lampedusa in meno di 24 ore. Non era mai successo prima che un numero così alto di persone arrivasse in così poco tempo nelle coste italiane. Inoltre, secondo i dati del ministero dell’Interno, gli sbarchi quest’anno sono stati il doppio rispetto all’anno scorso (nello stesso periodo, ovvero da gennaio a settembre).

Lunedì 18 settembre il governo ha approvato nuove misure per reprimere l’immigrazione e la questione migratoria è tornata al centro della scena. Le misure approvate dal Consiglio dei Ministri si concentrano sui migranti che non hanno i requisiti per l’asilo e che dovrebbero essere rimpatriati nei loro paesi d’origine. Il governo ha anche esteso il periodo di detenzione di queste persone al massimo di 18 mesi previsto dall’UE.

Meloni, in visita sull’Isola di Lampedusa insieme a Ursula von der Leyen, ha riparlato di blocco navale.

Avvocati e accademici specializzati in diritti umani hanno però sottolineato più volte quanto tali piani siano irrealizzabili. Prima di tutto perché le autorità sono obbligate a rispettare il diritto internazionale, quindi se le persone vengono intercettate in alto mare devono essere aiutate, non attaccate. Una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2012 infatti ha già condannato l’Italia per aver intercettato in mare e poi riportato in Libia un gruppo di 200 persone.

E a proposito di aiuti, è stata anche apertamente criticata da Meloni la missione Sophia, portata avanti durante i governi di Renzi e Conte, che aveva come obiettivo quello di individuare le navi utilizzate dai trafficanti di migranti e che ha salvato circa 45.000 persone. Più volte in passato e anche recentemente la missione è stata definita un fattore di attrazione per gli immigrati (sapendo di essere salvati o di trovare soccorso, secondo i sostenitori di questa tesi, chiunque sarebbe invogliato a partire). Gli studi hanno tuttavia dimostrato che le condizioni meteorologiche e l’instabilità politica, ad esempio in Libia, sono stati i principali fattori che hanno invogliato gli immigrati a partenza. Le attività di contrasto dell’UE, anche se più repressive, non hanno avuto risultato. Infatti, durante gli anni operativi di Sophia, dal 2015 al 2019, anche con un’operazione in mare aperto attiva che aveva come obiettivo il recupero delle persone in viaggi nel Mediterraneo (e non la cattura e la punizione), salvaguardando vite umane si è verificata una drastica diminuzione del numero di migranti che attraversavano il Mediterraneo.