Pensioni, dall’età agli anni di contributi: i nuovi requisiti

Ecco come il nuovo sistema previdenziale inserito nella Manovra cambierà i criteri per uscire dal mondo del lavoro

Almeno 64 anni di età e 38 di contributi. Ecco la nuova quota, la “Quota 102”, da raggiungere per potere andare in pensione. È la soluzione trovata dal governo dopo mesi di ipotesi e di studi, prevista nella legge di Bilancio per accantonare “Quota 100” senza però piombare, almeno per quest’anno, nel recinto della legge Fornero.

Pensioni, dall’età agli anni di contributi: i casi

La riforma del sistema previdenziale voluta dal governo Draghi parte dall’introduzione dei parametri di “Quota 102” validi però solo nel 2022 per portare a un graduale ritorno alla soglia dei 67 anni di età (qui il punto dell’Inps su quelle erogate nell’anno passato).

La finestra, secondo le stime dei sindacati, dichiaratamente contrari a questa trovata dell’esecutivo, riguarderà però soltanto dalle 10mila alle 15mila persone, nate non oltre il 1958.

A svantaggio di tutti quei lavoratori che, attualmente con 61-62 anni di età e 37 di contributi, assaporavano l’uscita dal lavoro dal prossimo anno se solo “Quota 100” fosse stata prorogata anche per il 2022 e che invece dovrebbero aspettare il 2026 per andare in pensione.

Al netto di eventuali modifiche in sede di approvazione della Manovra in Parlamento e delle misure di accomodamento offerte dall’allargamento dell’Ape sociale e da “Opzione donna”, per un dipendente, ad esempio, 40 anni di contributi non sono più sufficienti: bisognerà attendere i 64 anni per incassa la pensione di anzianità, anche dopo più di 45 anni di contributi.

Pensioni, dall’età agli anni di contributi: l’Ape sociale e Opzione donna

Ci sarà poi l’Ape sociale a ridurre lo scarto per coloro che versano in una situazione di difficoltà economica e che appartengono alle otto categorie professionali aggiunte alle 15 già previste per l’indennità erogata dall’Inps.

Lavoratori dipendenti pubblici e privati, autonomi e lavoratori iscritti alla gestione separata potranno richiedere l’anticipo della pensione a 63 anni con un assegno fino a massimo 1.500 euro fino al raggiungimento dell’età di vecchiaia.

Si tratta di disoccupati senza Naspi, lavoratori che assistono il coniuge, un genitore o un figlio con handicap grave, invalidi civili, e lavoratori impiegati in settori considerati gravosi o usuranti (qui abbiamo parlato delle categorie interessate dalla misura).

Le lavoratrici potranno poi fare ricorso a “Opzione donna“, altra misura di mitigazione dei criteri previdenziali prorogata di un anno, uscendo così dal lavoro a 60 anni le dipendenti e a 61 anni le autonome, per coloro che avranno racimolato 35 anni di contributi entro la fine del 2021 (ne abbiamo parlato qui).

Nella riforma il governo ha però posticipato di due anni i criteri di accesso all’opzione, per cui le impiegate 59enne che contavano di ricevere la pensione nel 2022, dovranno attendere i 61 anni e mezzo, 63 nel caso delle libere professioniste.