Pensioni, dall’età agli anni di contributi: i nuovi requisiti

Ecco come il nuovo sistema previdenziale inserito nella Manovra cambierà i criteri per uscire dal mondo del lavoro

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Il governo ha introdotto la nuova “Quota 102” come requisito per accedere alla pensione, richiedendo almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi. Questa misura rappresenta una via di compromesso dopo mesi di discussione e studi, e viene prevista all’interno della legge di Bilancio. L’obiettivo è abbandonare gradualmente il sistema “Quota 100” senza applicare immediatamente le rigide normative della legge Fornero.
La “Quota 102” offre un’opportunità ai lavoratori di andare in pensione in modo più flessibile, pur mantenendo un equilibrio tra le esigenze previdenziali e i limiti di bilancio del governo. Questa nuova quota potrebbe rappresentare un compromesso accettabile per coloro che si avvicinano all’età pensionabile ma non soddisfano ancora i requisiti per la pensione anticipata.
Tuttavia, è importante monitorare attentamente le modalità di applicazione e gli effetti a lungo termine di questa misura per valutarne l’impatto complessivo sul sistema pensionistico e sull’economia. Una revisione costante delle politiche previdenziali è essenziale per garantire un adeguato sostegno ai lavoratori anziani e la sostenibilità del sistema nel lungo periodo.

Pensioni, dall’età agli anni di contributi: i casi

La riforma del sistema previdenziale voluta dal governo di Mario Draghi parte dall’introduzione dei parametri di “Quota 102” validi però solo nel 2022 per portare a un graduale ritorno alla soglia dei 67 anni di età.

La finestra, secondo le stime dei sindacati, dichiaratamente contrari a questa trovata dell’esecutivo, riguarderà però soltanto dalle 10mila alle 15mila persone, nate non oltre il 1958.

A svantaggio di tutti quei lavoratori che, attualmente con 61-62 anni di età e 37 di contributi, assaporavano l’uscita dal lavoro dal prossimo anno se solo “Quota 100” fosse stata prorogata anche per il 2022 e che invece dovrebbero aspettare il 2026 per andare in pensione.

Al netto di eventuali modifiche in sede di approvazione della Manovra in Parlamento e delle misure di accomodamento offerte dall’allargamento dell’Ape sociale e da “Opzione donna”, per un dipendente, ad esempio, 40 anni di contributi non sono più sufficienti: bisognerà attendere i 64 anni per incassa la pensione di anzianità, anche dopo più di 45 anni di contributi.

Pensioni, dall’età agli anni di contributi: l’Ape sociale e Opzione donna

Ci sarà poi l’Ape sociale a ridurre lo scarto per coloro che versano in una situazione di difficoltà economica e che appartengono alle otto categorie professionali aggiunte alle 15 già previste per l’indennità erogata dall’Inps.

Lavoratori dipendenti pubblici e privati, autonomi e lavoratori iscritti alla gestione separata potranno richiedere l’anticipo della pensione a 63 anni con un assegno fino a massimo 1.500 euro fino al raggiungimento dell’età di vecchiaia.

Si tratta di disoccupati senza Naspi, lavoratori che assistono il coniuge, un genitore o un figlio con handicap grave, invalidi civili, e lavoratori impiegati in settori considerati gravosi o usuranti.

Le lavoratrici potranno poi fare ricorso a “Opzione donna“, altra misura di mitigazione dei criteri previdenziali prorogata di un anno, uscendo così dal lavoro a 60 anni le dipendenti e a 61 anni le autonome, per coloro che avranno racimolato 35 anni di contributi entro la fine del 2021.

Nella riforma il governo ha però posticipato di due anni i criteri di accesso all’opzione, per cui le impiegate 59enne che contavano di ricevere la pensione nel 2022, dovranno attendere i 61 anni e mezzo, 63 nel caso delle libere professioniste.