Tutte le novità sulla riforma delle pensioni

Scopri tutte le ultime novità sulla riforma delle pensioni

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Alessandro Speziali

Esperto di Economia

Dopo la laurea triennale in Economia e Gestione Aziendale, durante gli studi magistrali vola all'Università della California dove ha modo di studiare la finanza da un punto di vista internazionale.

Pubblicato: 27 Dicembre 2021 09:52Aggiornato: 16 Aprile 2024 17:09

Il 2022 è stato un anno pieno di novità in campo pensionistico. Con la nuova Legge di Bilancio è stata infatti introdotta la nuova riforma delle pensioni. Pensione anticipata, Quota 102, Opzione Donna e APE Social sono solo alcune delle novità, o delle riconferme, previste.

Purtroppo, si tratta di un terreno piuttosto scivoloso, dove non sempre è facile fare chiarezza. Su QuiFinanza cercheremo di analizzare quali sono le novità previste dalla riforma delle pensioni nel 2022; con i risultati del confronto tra Governo e Sindacati.

Un necessario confronto: sistema contributivo e sistema retributivo

Non si possono avere le idee chiare in merito al sistema pensionistico se non si ha una conoscenza della differenza tra il sistema contributivo e il sistema retributivo.

  • La pensione calcolata con il metodo contributivo corrisponde ad un assegno mensile calcolato in base all’ammontare dei contributi effettivamente versati nell’arco della vita lavorativa di un soggetto. I contributi accantonati – il montante – sono convertiti in rendita in base all’età di pensionamento in rapporto alle aspettative di vita.
  • La pensione calcolata con il metodo retributivo corrisponde invece ad un assegno mensile calcolato in base alle ultime retribuzioni. Si tratta sicuramente di un sistema più vantaggioso per il pensionato.

Nel 1995, il metodo retributivo si considera troppo oneroso per le casse dello Stato, specie in virtù della sempre maggiore aspettativa di vita della popolazione. Così, mediante quella conosciuta come la Riforma Dini, viene dato il via ad un sistema misto. Nel 2011 si è invece detto addio al sistema misto con la Riforma Fornero, che ha aperto le porte al sistema contributivo, innalzando l’età pensionabile e alleggerendo di molto gli assegni previdenziali dei pensionati italiani.

Al momento, ci troviamo di fronte – nuovamente – ad un sistema misto. Questo prevede che, per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, si applica il metodo retributivo per gli anni fino al 31 dicembre 2011 e contributivo per gli anni successivi. Mentre, per i lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, si applica il retributivo fino al 1995 e il contributivo per gli anni successivi.

Cosa prevede la riforma delle pensioni nel 2021

Il 28 maggio 2021 viene pubblicato il consueto Rapporto annuale sul coordinamento della finanza pubblica. Con questo, i magistrati della Corte dei Conti, hanno evidenziato il rischio che la spesa previdenziale, nel «prossimo biennio potrà rappresentare un rilevante elemento critico per i conti pubblici». Per questo motivo, la proposta è quella di «costruire, […] un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro».

Questo, in sostanza, significa che tutti i lavoratori possono in egual modo aspirare alla possibilità di raggiungere il pensionamento anticipato, prima concesso soltanto ai lavoratori con sistema pensionistico puramente contributivo. Il pensionamento anticipato potrà essere però raggiunto – di base – con un’età anagrafica di 64 anni e con almeno 20 anni di versamenti contributivi. Tutto ciò, per un assegno pensionistico minimo pari a 2,8 volte l’assegno sociale che ammonta a 460,00 € mensili.

APE Sociale: come funziona e quali sono i requisiti

L’APE Sociale è uno scivolo pensionistico introdotto per la prima volta con la Legge di Bilancio del 2017, al fine di accompagnare verso un pensionamento anticipato soggetti che si trovano in determinate condizioni, quali:

  • stato di disoccupazione a seguito di cessato del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale;
  • mancanza di lavoro a seguito di scadenza del contratto a tempo determinato. A condizione che abbiano avuto, nei 36 mesi precedenti la cessazione del rapporto; periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi e che abbiano concluso la prestazione per la disoccupazione da almeno 3 mesi. Inoltre, devono essere in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;
  • Assistenza al coniuge/un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità da almeno 6 mesi al momento della richiesta. Oppure ancora prestino assistenza ad un parente o affine di secondo grado convivente, qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap i abbiano compiuto i 70 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti, siano deceduti o mancanti. Inoltre, devono essere in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;
  • La riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, superiore o uguale al 74% e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;
  • lavoratori dipendenti, al momento della decorrenza dell’indennità, in possesso di almeno 36 anni di anzianità contributiva e che abbiano svolto da almeno sette anni negli ultimi 10 una o più attività gravose.

Opzione Donna: come funziona e quali sono i requisiti

Opzione Donna è uno scivolo pensionistico che consente alle donne – che abbiano raggiunto determinati requisiti – di ottenere un pensionamento anticipato. Introdotta con il Decreto legge 4/2019, è stata prorogata anche con la Legge di Bilancio 2021. Ciò il che significa che sarà valida per tutto il 2022.

Dopo un primo momento che prevedeva un innalzamento del requisito anagrafico all’età di 60 anni, l’attuale e definitiva versione prevede nuovamente la possibilità di optare per il trattamento pensionistico anticipato. I requisiti per accedervi sono ora i seguenti:

  • Aver maturato i requisiti anagrafici di almeno 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti;
  • Aver maturato i requisiti anagrafici di almeno 59 anni di età per lavoratrici autonome;
  • Raggiunto il requisito contributivo di almeno 35 anni, maturati entro il 31 dicembre 2021.

Da Quota 100 a Quota 102: il ritorno alla “Manovra lacrime e sangue”

Proposta dalla Legge di Bilancio 2019 e introdotta definitivamente con la legge 4/2019, Quota 100 è lo scivolo pensionistico che consente ai lavoratori – autonomi, dipendenti e parasubordinati – di andare in pensione con i seguenti requisiti:

  • Aver maturato i requisiti anagrafici di almeno 62 anni di età
  • Aver maturato un requisito contributivo pari ad almeno 38 anni

Purtroppo, il nuovo Governo Draghi non è riuscito a trovare le coperture finanziarie necessarie a rinnovare Quota 100 anche per il 2022: la manovra ha infatti avuto termine il 31 dicembre 2021. Ciò, stando a quanto affermato dall’ex Premier, si instaura nell’ottica di un ritorno alla Legge Fornero in versione integrale, la famosa manovra denominata “Lacrime e sangue” a causa dei tagli e delle rinunce che ha richiesto ai futuri pensionati.

Con la nuova riforma delle pensioni e Quota 102, si cerca quindi di trovare un compromesso tra i due estremi. Si tratta sempre di un prepensionamento dedicato a lavoratori autonomi, dipendenti e parasubordinati, i quali potranno andare in pensione con i seguenti requisiti:

  • Aver maturato i requisiti anagrafici di almeno 64 anni di età
  • Aver maturato un requisito contributivo pari ad almeno 38 anni

L’idea è quella di ridurre “l’esodo pensionistico” grazie all’innalzamento della soglia dell’età anagrafica.

La riforma delle pensioni propone la pensione di garanzia

Come abbiamo potuto constatare, l’introduzione del sistema contributivo ha significato una netta riduzione delle pensioni; anche per coloro la cui pensione sarà calcolata secondo il sistema misto. La sorte peggiore toccherà a tutti coloro la cui pensione sarà calcolata soltanto in base al regime contributivo, ovvero coloro che hanno iniziato a maturare contributi a dopo il 31 dicembre 1995.

Questa manovra riguarda soprattutto i giovani che saranno costretti a lavorare fino a tarda età e con una pensione minima che probabilmente non supererà i 500,00 euro. Inoltre, a chi è sotto la morsa del calcolo contributivo, non sarà più concessa l’integrazione al minimo. Si tratta di una pensione minima di circa 500,00 euro che invece è ancora garantita a chi si è pensionato con il meccanismo retributivo.

La pensione di garanzia mira quindi a livellare queste disuguaglianze in sede di pensionamento. Si consente agli attuali giovani lavoratori di raggiungere una pensione minima calcolata per 1,2 volte (invece che 1,5 volte) l’assegno sociale, che dovrebbe aggirarsi attorno ai 650,00.

I requisiti per accedervi sono i seguenti:

  • Il lavoratore deve aver maturato almeno 20 anni di contributi;
  • Il lavoratore deve andare in pensione dal 1° gennaio 2030.