Le banche italiane e europee a rischio crollo? Cosa può succedere

Dopo il crollo di Silicon Valley Bank, Credit Suisse e Deutsche Bank cosa può accadere alle altre banche europee e italiane?

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Silicon Valley Bank, Credit Suisse, Deutsche Bank. E poi? Toccherà ad altre banche la stessa sorte beffarda che ha portato al crollo di colossi della finanza come questi, che, per inciso, tutto sommato rispettavano le regole del gioco? Tra gli esperti aleggia una certa aria di ottimismo, posizione legittima dal punto di vista finanziario perché serve a rassicurare i mercati. Ma dobbiamo fidarci? Come sempre, quando si ha a che fare con scenari così vasti e potenzialmente compromettenti, è difficile fissare dei punti fermi e fare previsioni almeno approssimative.

Tuttavia, la Bce continua a minimizzare. In una delle ultime interviste rilasciate alla stampa – a parlare è il vicepresidente della Banca centrale europea Luis de Guindos, sulle pagine del Business Post del 26 marzo – l’istituto bancario europeo ribadisce che si tratta, oggi, di una situazione “molto diversa” da quella che abbiamo avuto nel 2008 con il crollo della Lehman Brothers e lo scoppio della bolla dei mutui subprime. Perché? Proviamo a capirlo.

Perché non ci sarà una crisi come quella del 2008

Come spiega de Guindos, per prima cosa le banche hanno posizioni patrimoniali e di liquidità molto migliori rispetto ad allora, ben al di sopra dei requisiti minimi: la loro situazione è complessivamente più solida, anche a causa di una regolamentazione più stringente. In secondo luogo, guardando alla situazione macroeconomica, non ci sono problemi rispetto alla competitività delle economie europee. Ad esempio, la bilancia dei pagamenti in Spagna, Grecia, Irlanda o Portogallo si trova in una posizione molto migliore. Infine, l’approccio di politica economica è diverso rispetto al 2010, 2011 e 2012.

La situazione negli Stati Uniti ha creato molta incertezza in termini di fiducia nel sistema finanziario e questo ha avuto un impatto su alcune banche, come Credit Suisse. Ma le situazioni sono molto diverse. Nel caso degli Stati Uniti, la Silicon Valley Bank aveva un modello di business piuttosto unico. La base di prestiti e depositi era molto concentrata sulle società tecnologiche e, a causa del disallineamento della durata tra attività e passività, era estremamente esposta al rischio di tasso di interesse.

Anche per Credit Suisse ci sono stati fattori specifici. “La nostra principale preoccupazione in termini di stabilità finanziaria è la situazione dei soggetti non bancari. È così da alcuni anni ed è il punto debole del sistema finanziario. A livello di sistema, il settore bancario in Europa è solido e resiliente.

La soluzione per Credit Suisse è stata rapida “e va bene”. In area euro, la Bce ha chiarito che l’ordine di anzianità seguito in questo caso in termini di assorbimento delle perdite non sarebbe possibile. “Rispetteremo l’ordine stabilito dalla direttiva sul risanamento e la risoluzione bancaria. Gli strumenti di capitale ordinario sono i primi ad assorbire le perdite e solo dopo il loro pieno utilizzo gli strumenti di Additional Tier 1 dovrebbero essere svalutati. Non abbiamo visto molti contagi. È chiaro che il nostro ordine gerarchico è prima l’equità e solo dopo il debito junior. Lo abbiamo chiarito e questo ha ridotto ogni potenziale incertezza che la decisione delle autorità svizzere avrebbe potuto creare”.

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Cosa farebbe la Bce in caso di contagio bancario?

La domanda a questo punto è cosa è pronta a fare la BCE in caso di contagio tra le banche europee. “La stabilità finanziaria è essenziale e la stiamo monitorando da vicino. Gli strumenti di liquidità nella nostra ‘cassetta degli attrezzi’ sono pronti per essere riutilizzati. Sono disponibili qualora si rendesse necessario” chiarisce il vicepresidente.

“Abbiamo avuto quattro anni di regole fiscali più flessibili. Questa è stata la risposta corretta alla crisi durante la pandemia. Era una sorta di tutto ciò che serve nella politica fiscale, mentre anche la politica monetaria è stata molto favorevole. Ora abbiamo altre difficoltà, ma queste possono essere affrontate più facilmente che durante la grande crisi finanziaria” dice.

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Cosa accadrà all’economia dell’area euro

Gli indicatori economici sembrano aprire una luce in fondo al tunnel, decisamente inattesa. Le proiezioni di dicembre della Bce prospettavano una recessione tecnica, con due trimestri consecutivi di crescita negativa. Ora, la linea è cambiata. Anche i nuovi indicatori e dati sull’inflazione complessiva sono stati piuttosto positivi da ottobre. “Le proiezioni pubblicate la scorsa settimana erano più ottimistiche su crescita e inflazione. Tuttavia, i numeri della crescita non sono stati eccezionali, oscillando intorno all’1%, mentre l’inflazione è stata chiaramente più positiva, in particolare l’inflazione complessiva” spiega de Guindos.

La domanda ora è in che modo quanto accaduto sul mercato bancario Usa, e in Europa a Credit Suisse e Deutsche Bank, impatterà sull’economia dell’area euro. Nelle prossime settimane e mesi, dobbiamo valutare se daranno luogo a un ulteriore inasprimento delle condizioni di finanziamento.

Secondo il vice della Bce, questi tipi di eventi aumentano l’incertezza “e dobbiamo tenerne conto. La nostra impressione è che porteranno a un ulteriore inasprimento degli standard creditizi nell’area dell’euro. E forse questo si ripercuoterà sull’economia in termini di minore crescita e minore inflazione. Ma dobbiamo valutare l’intensità di questo fattore. Adesso è ancora troppo presto per dirlo” chiarisce.

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L’obiettivo della Bce resta l’inflazione al 2%

Ciò che resta fermo, nella politica della Bce, è l’obiettivo di riportare l’inflazione al 2%. L’Ue si è data 2 anni di tempo per raggiungere questo risultato. “Ma la traiettoria dell’inflazione è molto più importante del semplice raggiungimento dell’obiettivo del 2%”. L’inflazione complessiva diminuirà piuttosto rapidamente nei prossimi 6-7 mesi – prevede la Bce – poiché gli effetti di base giocano a favore di una rapida riduzione dell’inflazione.

In questo senso il calo dei prezzi dell’energia svolgerà un ruolo molto importante: “Le strozzature dal lato dell’offerta hanno iniziato a svanire e le nostre decisioni di politica monetaria, con un certo ritardo, hanno iniziato ad avere un impatto. La nostra indagine sui prestiti bancari mostra già un inasprimento delle condizioni di finanziamento. Quindi questi sono i tre elementi che contribuiranno a ridurre l’inflazione complessiva”.

Tuttavia, ci sono altri aspetti che saranno meno positivi. Il primo – anche se per le persone significa miglioramento delle proprie condizioni – è l’evoluzione dei salari: gli aumenti salariali stanno accelerando. Questo è fondamentale perché ha un impatto principalmente sui prezzi dei servizi.

Il secondo aspetto è la politica fiscale e il modo in cui le misure di sostegno fiscale evolvono nel tempo. Queste misure possono essere positive e ridurre l’inflazione a breve termine, ma una volta che inizieranno a essere ritirate nel 2024, ci si può aspettare l’effetto opposto.

Infine, prosegue ancora de Guindos, c’è da considerare anche la riapertura della Cina, il che rappresenta un segnale positivo per la crescita, ma che, com’è successo per le materie prime, può innescare spirali pericolose rispetto all’aumento dei prezzi.

La politica monetaria e quella fiscale hanno dunque un ruolo essenziale nel traghettarci verso una fase di deflazione: ma attenzione, come la Bce ha più volte evidenziato, le misure fiscali devono essere temporanee, mirate e selettive. Allo stesso tempo, è necessaria la moderazione salariale, e in questo senso la politica fiscale può aiutare.

I tassi di interesse aumenteranno ancora?

Riguardo al sistema delle banche Ue, a marzo la Bce ha alzato i tassi di ulteriori 50 punti base e ciò che accadrà nei prossimi mesi è tutto da capire: “Siamo aperti al futuro” dice de Guindos, “dipendiamo dai dati”. La Banca europea ha condotto stress test (i cui risultati saranno pubblicati a luglio) che indicano nel complesso che la situazione nel sistema bancario dell’area dell’euro è molto migliore rispetto a dieci anni fa in termini di liquidità, capitale e vigilanza. “Pertanto, riteniamo che il settore nel suo insieme sia resiliente, solido e sicuro. Ma non dobbiamo accontentarci”.

La previsione della Banca centrale Ue per il futuro del Vecchio Continente, comunque, è che il periodo dei tassi di interesse negativi sia finito, almeno nel medio termine: stiamo attraversando un periodo di altissima incertezza, e probabilmente sarà così ancora per un po’.

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Il sistema delle banche in Italia è sicuro?

Anche in Italia intanto è palpabile la preoccupazione per un possibile contagio al sistema bancario. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha rassicurato parlando di sistema bancario solido: “Il governo monitora, controlla, ma devo dire che il sistema bancario italiano appare solido, i problemi stanno altrove”.

“Naturalmente non trascuriamo il fatto che in un mercato globale come quello finanziario l’infezione può dilagare, quindi quello che fa il governo con le autorità di vigilanza è stare in continuo contatto e dare quello che è giusto dare come governo, cioè un segnale di fiducia e sicurezza ai risparmiatori”, ha aggiunto. “Il governo è sempre pronto per i provvedimenti: siamo inseriti in un sistema come quello europeo che ha delle regole e un sistema di controlli, ma ribadisco che fino a questo momento per quanto riguarda il sistema bancario non abbiamo segnali di preoccupazione”.

Al pari della Bce, anche Giorgetti ha ammesso che sui mercati “l’infezione può dilagare” ma “i problemi che hanno avuto a esempio in Svizzera con Credit Suisse riguardano delle fattispecie che non sono tipiche della banche italiane“. “Per questo motivo al momento non abbiamo segnali di preoccupazione”, ha concluso.

Il ruolo dell’Unione bancaria europea: ci salverà?

Anche il Presidente di Abi-Associazione Bancaria Italiana Antonio Patuelli sembra relativamente tranquillo, pur mantenendo una certa attitudine prudenziale, che male non fa. In un articolo pubblicato su Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione il 23 marzo, ha colto l’occasione per rilanciare in qualche modo l’unicità del sistema bancario europeo.

“Le crisi bancarie di questi giorni, scoppiate addirittura negli Stati Uniti d’America e in Svizzera, templi del capitalismo e della finanza, hanno ulteriormente valorizzato il ruolo dell’Unione Europea, ed in particolare dell’Unione bancaria, che è divenuta la principale cooperazione rafforzata nel vecchio continente” scrive.

In queste settimane di turbolenze bancarie internazionali, le banche europee vigilate dalla Bce e dagli organismi nazionali, come la Banca d’Italia, hanno dimostrato maggiore resistenza in virtù delle rigide disposizioni adottate negli anni e applicate dalle banche commerciali.

“Già durante la pandemia – continua il ragionamento – l’Unione Europea è stata rivalutata dall’opinione pubblica, in particolare in virtù degli imponenti programmi da essa finanziati che vedono assai ingenti fondi destinati innanzitutto all’Italia. Ora rimangono le polemiche sui tassi aumentati dalle Banche centrali in quasi ogni parte del mondo: la Bce è il condominio delle Banche centrali che aderiscono all’euro, la moneta che sta fornendo maggiore resistenza difronte all’inflazione di quanta se ne ricordi della vecchia lira italiana”.

Va detto in effetti che la Bce è stata una delle ultime Banche centrali del mondo ad aver iniziato ad aumentare i tassi, che da luglio scorso non sono più a zero, né negativi per le banche commerciali.

“Gli aumenti dei tassi decisi dalla Bce negli ultimi 9 mesi sono stati più limitati dell’impressione che essi hanno determinato, perché ci si era abituati agli infimi tassi d’interesse di molti anni, di gran lunga i più bassi di tutta la storia dell’Italia unita”. Patuelli ricorda come i tassi ufficiali Bce, pur cresciuti più delle stesse iniziali previsioni, sono ora al 3,5%, inferiori al 4,75%-5% degli Usa, al 4% della Gran Bretagna e a quelli di altri Paesi europei che non appartengono all’euro, come la Polonia (6,75%), Ungheria (13%), per non parlare della Russia (7,5%) e della Turchia (8,5% ) e di tanti altri Paesi non europei.

La conclusione, per il numero uno dell’Abi, comunque è che queste crisi bancarie e le turbolenze nei mercati non solo finanziari internazionali debbano portare ora a nuove e ulteriori innovative riflessioni non solo sull’importanza delle rigide misure adottate nell’Europa dell’euro a tutela della stabilità delle banche e della tutela del risparmio, ma anche sulle prospettive delle politiche monetarie, a cominciare dalla definizione dei tassi di interesse.

“Non basta – dice – garantire le importantissime stabilità della moneta e delle banche, ma occorre anche evitare i rischi di nuove recessioni e favorire in vario modo il sostegno allo sviluppo e all’occupazione”.