Pensioni, il benessere immeritato dei dirigenti d’azienda

Dai dati pubblicati dall'INPS emerge che in 9 casi su 10 il contribuente finanzia la bella vita dei dirigenti in pensione

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Redazione

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Tito Boeri sta rivoluzionando la gestione dell’INPS. Rispetto alla gestione Mastrapasqua, ora agli arresti domiciliari per truffa ai danni dello Stato (mentre era presidente dell’INPS, al contempo era direttore generale dell’Ospedale Israelitico di Roma), siamo ad anni luce di distanza.

Sul sito dell’INPS leggiamo che i dirigenti d’azienda ricevono un sussidio nell’88% per cento dei casi. Si conferma che il welfare state italiano – che è meglio chiamare sistema assistenziale passivo – tutela chi sta bene e non i poveracci. In 9 casi su 10 il contribuente finanzia la bella vita dei dirigenti.

Differenze di trattamento

Chiariamo subito: non diamo addosso a coloro che hanno una pensione alta in assoluto. Siamo invece contro l’erogazione di pensione non meritate, ossia quando i contributi (+interessi di rivalutazione) sono ben inferiori alla pensione ricevuta.

Aggiungiamo che il sistema retributivo non prende in considerazione la speranza di vita, che è il dato statistico di base per il calcolo del coefficiente di trasformazione utilizzato per il metodo contributivo. Per cui che si viva, dopo il momento di pensionamento, 20 o 50 anni, l’ammontare non cambia. Paga Pantalone.

L’INPDAI (Istituto Nazionale Previdenza per i Dirigenti di Aziende Industriali), ossia il fondo di previdenza dei manager d’azienda, si era dotato di un fondo privato che è stato assorbito dall’INPS, per evitare il fallimento, dato dall’erogazione di pensioni insostenibili rispetto ai contributi versati. Nel solo 2013, secondo il Civ (Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’INPS) il deficit è stato di 3,7 miliardi di euro.

Cosa dice l’Inps

Citiamo l’INPS: “Al 31 dicembre 2014, a fronte di circa 30 mila iscritti, le pensioni ex Inpdai vigenti sono 126.580, per un importo medio annuo di 50.206 Euro. Gli istogrammi qui sotto documentano come le pensioni di vecchiaia e anzianità ex-Inpdai in pagamento nel 2015 si rapportano con le prestazioni che sarebbero state erogate applicando il metodo contributivo. Il grafico mostra che l’88% delle pensioni subirebbe una riduzione se calcolata col metodo contributivo, e quasi una pensione su 5 una riduzione superiore al 40% (e ben il 61% meriterebbero una decurtazione superiore dal 20% in su, ndr).
grafico_pensioni_manager1Nel complesso considerando non il numero delle pensioni ma gli importi lordi in pagamento, si avrebbe una riduzione media del 23,4% delle pensioni in essere ricalcolandole col metodo contributivo. Le percentuali di variazione cambiano secondo l’età di pensionamento, come si vede dal grafico qui sotto.

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L’INPS, per evitare fraintendimenti e distorsioni percettive, fa degli esempi ben chiari. “Ad esempio, un dirigente ex Inpdai medio, andato in pensione a 58 anni nel 1990 con un assegno pari a 3.585 euro, nel 2015 ha ottenuto una prestazione di circa 1.521 euro lordi al mese più alta di quella che avrebbe ottenuto con le regole contributive. Un dirigente ex Inpdai andato in pensione all’età di 63 anni nel 2013 vedrebbe il suo assegno pensionistico ridursi di circa 676 euro (passando da 5.820 euro lordi al mese a circa 5.144) con il ricalcolo secondo le regole del contributivo.

Le pensioni ex-Inpdai sono generalmente più alte di quelle che sarebbero state erogate se si fosse applicato il metodo contributivo oggi in vigore per tutti i lavoratori.

Secondo il vocabolario Treccani, dirigere viene dal latino dirigĕre, comp. di di(s)-1 e regĕre «reggere, guidare», indirizzare. Dove ci guidano i dirigenti d’azienda? Nel baratro.

In conclusione

Una riflessione finale. Il cittadino è incline a non guardare in casa sua ma critica in continuazione il sistema politico, la “casta”, corrotta, accusata di rubare a man salva. Come nel caso eclatante del Comune di Sanremo, dove si timbrava in mutande a casa propria e poi si tornava a letto o si andava bellamente a fare un giro in canoa, la colpa è sempre degli altri, mai si ammette che il proprio comportamento è malsano.
Aspettiamo quindi con ansia commenti di dirigenti piccati per i calcoli, i prospetti pubblicati meritoriamente dall’INPS, che dimostrano come la “casta” non è costituita solo dalla politica, ma da milioni di soggetti, che grazie a lobby perverse, hanno ottenuto negli anni ammontari pensionistici fuori luogo.

Chi paga?” (Ugo La Malfa, cit.). Nell’ultima recente indagine del think tank tedesco Bertelsmann Stiftung, l’Italia è fanalino di coda per quel che riguarda la giustizia sociale, (25esima su 28 Paesi): un netto peggioramento per quanto riguarda la performance del nostro paese nel mercato del lavoro rispetto allo scorso anno. Nei 4 Paesi mediterranei – Spagna, Grecia, Portogallo e Italia – il numero dei ragazzi a rischio povertà, dal 2007 è aumentato da 6,4 milioni a 7,6 milioni. Giovani che vivono con meno del 60% del reddito medio, crescono in famiglie quasi prive di reddito o con gravi privazioni materiali.

Poveri giovani, non poveri pensionati!

A cura di Beniamino Piccone
Docente di Sistema Finanziario e Private banker