L’Inps smentisce il “buco” di bilancio, come funziona la svalutazione dei crediti

Il Civ ha sottolineato che le gestioni Inps dei dipendenti dovranno trovare 6,6 miliardi in futuro, l'Istituto ha tenuto a sottolineare che questo non pesa sul suo bilancio

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 16 Aprile 2025 13:26

L’Inps ha diffuso un comunicato che specifica che non esiste alcun “buco” nelle casse dell’Istituto, dovuto alla svalutazione dei crediti per le misure di saldo e stralcio. Rimane però la delibera del Comitato di Indirizzo e Vigilanza (Civ), che ha sottolineato i danni che la rottamazione di queste cartelle esattoriali apporta al sistema pensionistico.

Il bilancio dell’Inps non ne viene effettivamente intaccato, ma ciò non toglie che esista la necessità di intervenire per 6,6 miliardi di euro, attraverso la fiscalità generale, per compensare i mancati introiti dovuti alla svalutazione dei crediti.

Il comunicato dell’Inps sul “buco” nel bilancio

Nella tarda mattinata del 16 aprile l’Inps ha tenuto a specificare una delibera del Civ del giorno precedente, che parlava della svalutazione dei crediti dell’Istituto dovuta principalmente alle misure di saldo e stralcio delle cartelle esattoriali, attuate da governi sostenuti da tutte le parti politiche, tra il 2018 e il 2022.

Il presidente, il consiglio di amministrazione e il direttore generale dell’Istituto “intendono ribadire con forza che non sussiste alcun ‘buco’ nei conti dell’Inps e che, invece, nell’ottica della massima trasparenza del bilancio, le operazioni di eliminazione dei crediti contributivi sono state improntate al rigoroso rispetto dei criteri contabili e della normativa vigente” recita il comunicato.

Questo era chiaro anche nel comunicato del Civ. I bilanci dell’Inps sono in ordine, la svalutazione dei crediti è stata compensata con l’apposito fondo dedicato e non ha creato problemi all’istituto in sé. La questione riguarda invece la gestione Inps dei lavoratori pubblici.

Come si deteriora un credito

Il 15 aprile il Civ ha pubblicato una delibera che ha riassunto quanto il deterioramento dei crediti pesi sull’Inps. L’Istituto vanta diversi miliardi in crediti, principalmente verso persone fisiche o società che non hanno pagato i contributi previdenziali obbligatori per legge. Questi crediti possono deteriorarsi, quindi diventare difficili o impossibili da riscuotere, in diversi modi:

  • la persona fisica debitrice dell’Inps risulta deceduta;
  • la società debitrice dell’Inps risulta fallita;
  • i crediti sono così esigui che riscuoterli costerebbe più di quanto si otterrebbe.

Quest’ultimo punto è quello che ha dato origine alle misure di saldo e stralcio. Per tre volte, tra il 2018 e il 2022, vari governi hanno previsto che i debiti al di sotto di una certa soglia fossero annullati (mille euro in due occasioni, 5mila nella terza).

Cosa ha detto il Civ sul bilancio dell’Inps

Il deterioramento dei crediti, secondo il Civ, ha creato un danno all’Inps da oltre 16 miliardi di euro. La ragione è che i contributi stralciati e mai versati diventano per l’Istituto un’entrata mancata e quindi, di fatto, un’uscita. Una spesa che negli anni si è accumulata ma che è ampiamente prevista.

Esiste un fondo apposito, che compensa il deterioramento dei crediti, e che protegge il bilancio dell’Inps che quindi, come dice il comunicato, non subisce nessuna ripercussione.

In buona parte, il saldo e stralcio non crea nuovi crediti deteriorati, ma di fatto li anticipa. Debiti così esigui non verrebbero comunque riscossi, perché costerebbe più di quanto si otterrebbe ricaverebbe.

La situazione dell’Inps

Non tutti i crediti deteriorati con il saldo e stralcio però scompaiono senza lasciare traccia.

Il Civ, su questo, è stato chiaro: “A causa di questo stralcio, ulteriori oneri, pari a 6,6 miliardi, ricadranno in futuro sulle gestioni dei lavoratori dipendenti, nelle quali vige l’automaticità delle prestazioni, e pertanto sottolinea l’esigenza di garantire specifici interventi compensativi nei confronti dell’Istituto a carico della fiscalità generale”.

Questo passaggio sottolinea due problemi. Il primo è dato dal principio dell’automaticità delle prestazioni. Secondo la legge, il lavoratore ha diritto alla pensione anche se il suo datore di lavoro non paga i contributi. Quindi, le leggi di saldo e stralcio hanno creato un buco. Non nei bilanci dell’Inps, ma nelle gestioni dei lavoratori dipendenti.

Lo Stato deve ai pensionati importi che avrebbero dovuto essere coperti anche dai contributi stralciati. Mancano quindi 6,6 miliardi di euro. Qui si presenta il secondo problema: a pagare deve essere la “fiscalità generale“, quindi le altre entrate dello Stato.

La più importante di queste è l’imposta sul reddito, l’Irpef. I pensionati vi contribuiscono per il 30% circa del totale del gettito. Contribuiranno quindi con le proprie tasse a colmare il buco lasciato dai loro datori di lavoro, che non hanno mai pagato i contributi dovuti.