Parlare di streetwear è, prima di tutto, parlare di Supreme. Sostanzialmente è a questo brand che dobbiamo la trasformazione delle tendenze “da strada” in marchio super cult. Supreme apre i battenti a New York nell’aprile 1994, in Lafayette Street, nel centro di Manhattan, e diventa la casa della cultura skate della Grande Mela. Quell’angolo di città, che non era mai stato uno snodo commerciale particolarmente interessante, improvvisamente si accende. Al centro di Supreme c’è solo un gruppo di ragazzi del quartiere, skater di New York e artisti locali che diventano sia lo staff che i clienti del negozio.
La storia del brand Supreme
Il suo fondatore è un tale James Jebbia, arrivato dall’Inghilterra, che prima aveva fatto solo qualche esperienza lavorando presso Parachute negli anni 80. Sei anni dopo l’approdo negli States, Jebbia decide prima di aprire un negozio di streetwear con brand Union in Spring Street, poi inaugura il negozio Stüssy in Wooster Street. Ma si rende conto che, proprio nella Big Apple, manca un negozio di skate.
Jebbia progetta lo store Supreme con gli skater, scegliendo un design unico: dispone i vestiti intorno al perimetro del negozio, lasciando un grande spazio centrale per far entrare proprio i ragazzi con le tavole. Tra gli artisti che lo frequentano c’è il regista Harmony Korine, che ha un appartamento a due passi dal negozio, dove lo stesso James si trasferisce per un po’. Harmony descrive lo store come un luogo di ritrovo per il mondo artistico e dello skate. Nessuno pensa che, dopo qualche anno, diventerà uno dei brand più ricercati al mondo.
Supreme ha il merito di accompagnare lo sviluppo dello skateboard nella cultura popolare. Nel 1994, il canale sportivo americano ESPN lancia i primi X-Games, il che mette lo skateboard sullo stesso livello di altri sport estremi, come lo sky surf. Il successo non arriva subito, ma la tendenza corre. Supreme cresce fino a incarnare la cultura di un pezzo di città, che diventa tutte le città, e arriva a svolgere un ruolo fondamentale nella sua costante rigenerazione. Skater, punk, hip-hop, insomma tutte le controculture iniziano a gravitare attorno a Supreme.
Nel 2004 Jebbia apre un secondo negozio sulla North Fairfax Ave a Los Angeles, grande quasi il doppio di quello di New York. Poi arrivano Parigi nel marzo 2016, Londra nel settembre 2011, il Giappone. Giovedì 5 ottobre 2017 apre i battenti il secondo negozio a New York, nel regno delle tendenze, Brooklyn.
Il marchio lavora con generazioni di artisti, fotografi, designer, musicisti, registi e scrittori, tutti uniti dall’urgenza di sfidare le convenzioni. Supreme diventa un brand unico, autentico, democratico ma anche esclusivo.
Le collaborazioni con gli artisti cult delle controculture
Il logo distintivo rosso con “Supreme” in bianco è in gran parte basato sull’arte di propaganda di Barbara Kruger, artista oggi 78enne che ha fatto la storia. Celebre in tutto il mondo per la sua arte visiva fatta di installazioni, video, foto, architettura e molto altro, a renderla riconoscibile è proprio quel bianco e nero a cui abbina, sin dal 1979, scritte rosse o nere in carattere Futura Bold o Helvetica Extra Bold: in apparenza manifesti con slogan pubblicitari, le sue opere rivelano una pungente critica alla società contemporanea. Kruger bersaglia il maschilismo, il consumismo, il potere. Tutti paradigmi da scardinare che si ritrovano in Supreme.
Il fotografo di moda Terry Richardson immortala alcuni degli scatti più iconici collegati al marchio: Michael Jordan, Kermit la Rana, Three Six Mafia, Lou Reed, Lady Gaga, Neil Young, Gucci Mane, Nas e Morrissey. Kenneth Cappello invece fissa nei suoi obiettivi alcune delle foto di t-shirt Supreme più famose, come quella di Mike Tyson, Dipset, Michael Jackson e Raekwon.
Attorno a Supreme gravitano artisti come Blade, David Sims, Toshio Maeda, David Lynch, Takashi Murakami, Daniel Johnston, Peter Saville, Futura 2000, Adam Kimmel, Dash Snow e Andreas Serrano.
Anche gli skate Supreme diventano arte da collezionare. A disegnare le tavole come vere opere ci sono pezzi da novanta come Urs Fischer, Harmony Korine, George Condo, Rammellzee, Ryan McGinness, KAWS, Larry Clark, Christopher Wool, Nate Lowman, Damien Hirst e John Baldessari.
Le ragioni del successo: l’esclusività
Gli “hypebeasts” sono disposti a stare in fila ore pur di entrare almeno una volta in uno store Supreme, che oggi simboleggia, senza dubbio, il massimo dell’underground cool. Uno dei punti di forza del marchio è la sua esclusività.
Oggi, il brand conta appena 15 negozi in tutto il mondo: 5 negli Usa (New York, Brooklin, San Francisco, West Hollywood, Chicago), 4 in Europa (Londra, Parigi, Berlino e, il 6 maggio 2021, unico in Italia, Milano, al numero 20 di corso Garibaldi), e ben 3 solo a Tokyo (nei quartieri di Shibuya, Harajuku e Daikanyama), e infine altri 3 in altre città del Giappone (Osaka, Fukuoka e Nagoya).
Per entrare negli store, anche a Milano, non basta fare la coda, bisogna prenotare sul sito: si deve scegliere ora e data del proprio slot, ma attenzione, è un’operazione che si può fare solo un giorno alla settimana, solitamente il martedì alle 11 ora americana, quindi in realtà le 18 per noi. Nella stessa giornata viene chiesta la conferma della registrazione e si può finalmente avere il permesso di varcare le porte dell'”Olimpo”.
Le collaborazioni con altri brand, anche non di moda
Una delle ragioni del successo del brand è senz’altro la sua esclusività, come detto – pochi pezzi che poi vengono rivenduti sui mercati dell’usato – ma anche la capacità di creare collaborazioni con altri marchi che vanno anche al di fuori dell’ambito della moda.
Supreme ha sviluppato linee con Nike, Bialetti, Lacoste, Nerf, Bape, Oreo, Emilio Pucci, Speedo, Everlast, Champion, Swarovski, Colgate, Air Jordan, Wilson, Hot Wheels, Vans, Clarks, Dickies, The North Face, Hammer, Playboy, Levi’s, Pyrex, Timberland, Comme des Garçons, Stone Island, Louis Vuitton, Schott, ma anche Fox Racing e Honda.
Nel 2017 Supreme chiede ai Circlemakers, gruppo di creatori di cerchi nel grano del Regno Unito, fondato dall’artista John Lundberg, di creare un cerchio nel grano che rappresentasse il box-logo Supreme in una posizione segreta in California (lo si può vedere nel cortometraggio “Crop Fields”).
Ma il 2017 segna una data storica anche per un altro motivo: il 18 gennaio Louis Vuitton tiene una sfilata di moda dove viene confermata una collaborazione tra i due marchi. I negozi popup con la collaborazione inaugurano il 30 giugno 2017 a Houston, New York, Hollywood, San Francisco, Los Angeles, Honolulu, Vancouver, Milano, Londra, Berlino e Hong Kong. Nel 2017, persino Lacoste collabora con Supreme per una collezione limitata.
Nel corso degli anni, Supreme lavora con tutti i tipi di artisti, tutti i tipi di marchi, “ed è parte di ciò che rende il marchio così interessante”, ha spiegato Justin Gage, data scientist e analista di streetwear. Gage aggiunge che le collaborazioni di Supreme con marchi di lusso di fascia alta come Louis Vuitton e Gucci “spingono davvero i confini” di come i consumatori vedono la cultura dello skateboard.
I simboli anticonformisti
I “Supreme-heads“, gli addicted del brand, sono disposti a pagare ovunque fino a 100 dollari per una maglietta o un cappello e dai 150 a oltre 450 dollari per una giacca, 340 per una giacca varsity di lana, 200 per un set da ping pong persino. La tendenza è dettata dai riferimenti alla cultura pop pubblicizzati in molti prodotti Supreme: dalle leggende del rock The Velvet Underground a Miles Davis, dai Muppets al genio di Basquiat.
Una spiegazione della popolarità di Supreme tra i giovani consumatori ha a che fare con l’idea che i prodotti del marchio siano “emblematici della cultura giovanile ribelle“, aggiunge Gage. Un marchio fortemente integrato con l’arte e la cultura, che tende a guidare la domanda attraverso il desiderio e la passione del consumatore piuttosto che il marketing esplicito.
Supreme di fatto ha avuto successo nel commercializzare il proprio marchio, paradossalmente, non commercializzando il proprio marchio. Non investe in marketing a pagamento nella stessa misura in cui lo fanno la maggior parte delle aziende di abbigliamento o media.
La comunità, i micro-eventi e il mercato resell
Ciò che lo rende davvero di successo è la comunità di cui fa parte e che ha costruito. Tuttavia, a modo suo, Supreme ha trovato il modo di costruire e sfruttare uno storytelling così potente che ha generato così clamore da far esplodere un marchio underground fino a farlo diventare globale.
Il marketing è il passaparola, è trasformare un lancio di un prodotto in un micro-evento esclusivo, ma potenzialmente aperto a tutti, basta arrivare prima. Le persone devono andare in certi luoghi, comprare biglietti, entrare in liste, finire in fila fuori dai negozi. Si entra solo partecipando a una sorta di asta a inviti.
Ed è qui che il marchio si fa genialità: la maggior parte degli appassionati ne resta escluso, e così si alimenta un mercato di resell dove vestiti e sneakers vengono rivenduti a prezzi incredibili. Una maglietta con il semplice logo della scatola rossa di Supreme è stata venduta a un prezzo medio di oltre 900 dollari lo scorso anno su StockX: in negozio costava poco più di 30 dollari.
Oggetti che non ti aspetteresti mai
Supreme è unico anche perché vende di tutto, persino articoli che nessuno si aspetterebbe: martelli, nunchaku (la tipica arma giapponese) e kayak con marchio Supreme, ma pure mattoni Supreme: letteralmente mattoni di argilla rossa con il logo stampato sopra. Molti di questi oggetti stravaganti sono ancora disponibili per l’acquisto online di seconda mano, dove un mattone Supreme può essere venduto per 130 dollari su StockX. Il marchio ha persino realizzato una moto da cross a marchio Supreme attraverso una partnership con Honda e Fox Racing nel 2019.
“Ad un certo punto si rende conto che la domanda di suoi prodotti è così forte che può letteralmente produrre qualsiasi cosa e la gente lo comprerà comunque perché il marchio è così forte”, afferma Gage.
La società di ricerche di mercato SEMrush spiega che Supreme è in cima alla sua lista di marchi con il maggior numero di ricerche online di prodotti contraffatti e replica sia nel 2017 che nel 2018.
Il brand ha vinto pure una causa in un tribunale italiano nel 2018, contro una società chiamata “Supreme Italia”, che vendeva quelli che gli avvocati specializzati in marchi commerciali chiamavano prodotti “falsi legali” che assomigliano molto ai prodotti di Supreme, fino ai loghi della scatola rossa con la parola “Supreme”. ” Supreme Italia è stata costretta a ritirarsi dal mercato italiano, tuttavia, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, sta ancora vendendo articoli contraffatti in altri Paesi, tra cui Spagna e Cina.
L’ingresso del private equity
Nel 2017 il fondo di investimenti Carlyle Group ha comprato circa il 50% del marchio Supreme. L’operazione è stata confermata da Jebbia stesso senza fornire ulteriori dettagli, ma sul sito Business of Fashion hanno riportato un prezzo d’acquisto di circa 500 milioni di dollari, valutando quindi l’intera società 1 miliardo di dollari.
Nel 2020 il brand è stato poi acquistato da VF Corporation per circa 2,1 miliardi di dollari. L’azienda ha inoltre acquisito le quote di Good Partners e Carlyle Group.
L’investimento di Carlyle ha portato alcuni a chiedersi come in un negozio di skateboard, poco avvezzo al marketing tradizionale, si possa inserire un gigante del private equity che in precedenza aveva investito in aziende, come il colosso dell’autonoleggio Hertz, la società di consulenza Booz Allen Hamilton e il fast-food Dunkin ‘Donuts.
Il marketing stile “guerriglia” di Supreme sembra aver avuto l’effetto desiderato. La ricerca sulle abitudini al dettaglio degli adolescenti condotta dalla banca d’investimento Piper Jaffray ha dimostrato negli ultimi anni che gli stili streetwear, guidati da marchi come Supreme e Vans, hanno stimolato un aumento della spesa tra i consumatori adolescenti. Inoltre, un sondaggio della primavera 2019 ha rilevato che Supreme era il decimo marchio preferito della Generazione Z, anche se gli analisti della banca hanno notato che la popolarità del marchio potrebbe ora iniziare a diminuire con i nuovi adolescenti.
L’ingresso del private equity può danneggiare Supreme? Forse. Ciò che appare probabile è che, se il marchio diventa di massa, contraddice il modo in cui ha costruito il suo modello, con versioni in edizione limitata e eventi esclusivi. E questo potrebbe tra non molto, potenzialmente, compromettere la sua reputazione di streetwear.